Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32359 del 10/07/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 32359 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: MARINI LUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da
PADULA Antonio, nato a Apricena il 7/6/1960
avverso la sentenza del 30/11/2012 della Corte di appello di Bari, che, in
parziale riforma della sentenza del 4/8/2009 del Tribunale di Lucera resa al
termine di rito abbreviato, ha valutato prevalenti le già concesse circostanze
attenuanti generiche e ridotto a quattro mesi di reclusione e 100,00 euro di
multa la pena inflitta per il reato ex art.349 cod. pen., accertato il 27/5/2009;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Luigi Marini;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale,
Gianluigi Pratola, che ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 30/11/2012 la Corte di appello di Bari, in parziale
riforma della sentenza del 4/8/2009 del Tribunale di Lucera resa al termine di
rito abbreviato, ha valutato prevalenti le già concesse circostanze attenuanti
generiche e ridotto a quattro mesi di reclusione e 100,00 euro di multa la pena
inflitta al sig. Padula per il reato ex art.349 cod. pen., accertato il 27/5/2009 nel
luogo ove lo stesso si era recato nonostante fosse consapevole del sequestro

Data Udienza: 10/07/2014

dell’area di cui era stato nominato custode dal personale che aveva eseguito la
misura cautelare.
2. Avverso tale sentenza il sig. Padula propone ricorso tramite il Difensore,
avv. Concetta Di Blasio, in sintesi lamentando:
a. errata applicazione di legge per essere stata disposta la condanna del
ricorrente sebbene difetti ogni prova dell’avvenuta rimozione da parte sua del
cartello apposto dai verbalizzanti e sebbene risulti pacifico che nessuna

b. vizio motivazionale per avere La Corte di appello indicato in motivazione che
la pena accessoria doveva essere determinata in misura corrispondente
all’entità della pena detentiva irrogata e quindi, in modo contraddittorio,
fissato in dispositivo la durata della pena accessoria in mesi sei e non
quattro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è ancorato a valutazioni in fatto, non introducibili in sede
di legittimità, e manifestamente infondato.
Sotto il primo profilo, la Corte rileva che il ricorrente propone censure che
sollecitano la Corte a rivisitare le valutazioni operate nel merito dal giudicante; si
tratta di richieste estranee al giudizio di legittimità alla luce di quanto affermato
dalla costante giurisprudenza, secondo cui è “preclusa al giudice di legittimità la
rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma
adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti” (fra
tutte: Sezione Sesta Penale, sentenza n.22256 del 26 aprile-23 giugno 2006,
Bosco, rv 234148).
Si tratta, inoltre, di motivo caratterizzato da genericità, perché non specifico
rispetto alle puntuali osservazioni contenute nelle sentenze del Tribunale e della
Corte di appello, e palesemente infondato: la sentenza impugnata dà atto in
modo chiaro delle ragioni per cui ritiene sussistente la consapevole violazione del
divieto di accesso nell’area soggetta a sequestro e assume una chiara rilevanza
della condotta violatoria rispetto al bene tutelato. Il che riconduce il motivo nella
sfera di applicazione degli artt.581, lett.c), e 591, lett.c), cod. proc. pen.
2.

A diversa conclusione deve giungersi quanto al secondo motivo di

ricorso: la motivazione della sentenza presenta effettivamente una
contraddizione, là dove a pagina 5 àncora la durata della pena accessoria a
quella della durata principale e quindi fissa la prima in sei mesi mentre la pena
principale viene determinata, calcolando la riduzione ex art.442 cod. proc. pen.,
in quattro mesi di reclusione.

2

effettiva modifica dei luoghi è conseguita alla condotta del ricorrente stesso;

Si è in presenza di un evidente errore materiale a cui la Corte può porre
rimedio ai sensi dell’art.619, comma 2, cod. proc. pen. procedendo a rettificare
in quattro mesi la durata della pena accessoria, senza che si k necessario
provvedere all’annullamento della sentenza impugnata
P.Q.M.
Rettifica la sentenza impugnata limitatamente alla durata della pena accessoria,
che ridetermina in quattro mesi. Rigetta il ricorso nel resto.

Così deciso il 10/7/2014

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