Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3234 del 08/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 3234 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: MACCHIA ALBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LEVAKOVIC SONITA N. IL 16/11/1985
avverso l’ordinanza n. 74/2013 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
19/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALBERTO MACCHIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. O
che ha concluso pert42444/1
Gh
11,71 * P .

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 08/01/2014

Con sentenza del 19 marzo 2013 la Corte di appello di Brescia in parziale
riforma della sentenza emessa dal Tribunale della medesima città 1’11 ottobre 2012
nei confronti di LEVAKOVIC Sonita, imputata di rapina pluriaggravata di cui all’art.
628, comma 3-bis, e 61 n. 5 cod. pen., ha concesso le attenuanti generiche ed ha
rideterminato la pena inflittale in anni due e mesi quattro di reclusione ed euro 750 di
multa. In particolare, la predetta era imputata perché, in concorso con Levakovic
Elisabet, nei confronti della quale si è proceduto separatamente, dopo essersi
introdotte all’interni della abitazione di Cerutti Rosa — persona ultraottantenne mentre una di loro distraeva la persona offesa, l’latra si recava al piano superiore ed
asportava alcuni monili d’oro che s trovavano all’interno della camera da letto;
quindi, la odierna imputata dava un morso alla mano sinistra di Castellucchio Nicola
nipote della Cerutti, procurandogli una escoriazione, al fine di assicurarsi la impunità
ed il profitto del reato. La Corte territoriale, in particolare, disattendeva la richiesta
della appellante di qualificare il reato come tentato e di escludere l’aggravante del
fatto commesso in luogo di privata dimora, in quanto la violenza era stata esercitata al
di fuori della abitazione della vittima, al fine di assicurarsi la impunità, mentre nella
dimora era stato commesso solo il furto. il tutto in quanto la ratio della aggravante
era quella di perseguire le cosiddette “rapine in villa”. Reputavano sul punto i giudici
dell’appello che, al di là di quale fosse l’obiettivo perseguito dal legislatore nella
introduzione della aggravante di che trattasi, la stessa deve ritenersi applicabile a
prescindere dal fatto che la violenza sia stata esercitata al di fuori del luogo di privata
dimora.
Propone ricorso per cassazione personalmente l’imputata la quale rinnova la
questione deducendo che nell’ambito della configurazione del delitto di rapina, tanto
propria che, come nella specie, impropria, il ruolo centrale è assunto dalla violenza o
dalla minaccia, con la conseguenza che per “fatto” commesso in luoghi di privata
dimora deve intendersi quello riconducibile al momento consumativo in cui si esplica
l’uso della violenza o della minaccia. Se deduce poi la illegittimità costituzionale
dell’art. 628, terzo comma, n. 3-bis, cod. pen., in riferimento all’art. 3 Cost., nella
parte in cui è previstala operatività della aggravante anche nel caso di rapina
impropria, attese le gravi conseguenze sanzionatorie che ne derivano in riferimento
ad una condotta meno grave della rapina propria.
Il ricorso non è fondato. Questa Corte ha avuto modo di sottolineare, infatti,
che il delitto di rapina ha nelle sua duplice configurazione di rapina propria e di
rapina impropria, natura unitaria quale figura di reato complesso (art. 84 cod. pen.),
nell’ambito del quale convergono, quali tratti identificativi che accomunano le due
figure, la struttura plurioffensiva delle fattispecie, in cui, attraverso la condotta
violenta o minacciosa e la sottrazione del bene, si determina la offesa tanto del
patrimonio che della persona (Cass., Sez. Un., n. 34952 del 19 aprile 2012, Reina).
Gli elementi circostanziali, dunque, fra i quali anche quello del fatto commesso nei

OSSERVA

P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, 1’8 gennaio 2014
Il Consigli,te estensore

Il Presidente

luoghi di privata dimora, non si proiettano su elementi della condotta
aprioristicamente parcellizzati, come pretenderebbe la ricorrente, ma riguardano
ciascun “segmento” all’interno del quale si colloca il “fatto” riguardato
dall’ordinamento come illecito. Con la conseguenza che, nell’ambito della figura
della rapina impropria, articolandosi quel “fatto” in una scansione contestualizzata
dalla sottrazione della res e dall’uso della violenza realizzata “immediatamente
dopo”, per integrare il presupposto della aggravante è necessario e sufficiente che
anche la sola sottrazione sia avvenuta in un luogo di privata dimora, giacchè nulla
impone di ritenere che la violazione del domicilio perduri anche nel successivo
momento della vis esplicata per procurarsi la impunità o il mantenimento del
possesso del bene sottratto. Reputare, infatti, che sia solo la violenza o la minaccia a
rappresentare il “nucleo” della condotta o del “fatto” nel delitto di rapina impropria
equivarrebbe a strutturare la fattispecie in termini arbitrariamente deprivati di un
segmento — parimenti fondamentale e qualificante — della condotta tipica. E ciò, per
di più, in riferimento alla configurazione di una circostanza aggravante la cui ratio
essendi è proprio quella di reprimere condotte che, come quelle che si realizzano
nelle abitazioni, risultano suscettibili di generare un pericolo anche per le persone
(tale è stata, non a caso, la ragione che ha indotto il legislatore ad individuare il reato
di cui all’art. 624-bis, come figura autonoma di furto, connotato da maggiore gravità).
Deve quindi concludersi nel senso che l’aggravante di cui all’art. 628, terzo comma,
n. 3-bis, cod. pen., deve ritenersi realizzata anche nella ipotesi di rapina impropria,
pure se la violenza o la minaccia si siano realizzate al di fuori dei luoghi di cui all’art.
624-bis cod. pen., qualora l’impossessamento della cosa mobile altrui sia stato posto
in essere all’interno dei luoghi stessi.
La questione di legittimità si rivela, invece, palesemente inconsistente, in
quanto la applicabilità delle aggravanti anche alla figura della rapina impropria
costituisce frutto, tutt’altro che irragionevole, delle discrezionali scelte del legislatore;
non senza sottolineare, d’altra parte, che la equiparazione sanzionatoria tra la rapina
propria e quella impropria non è affatto priva di una sua coerenza intrinseca,
coesistendo all’interno delle due figure, una sostanziale identità di disvalore in
considerazione della compresenza degli stessi elementi strutturali di fattispecie
(sottrazione del bene e uso della violenza o della minaccia).
Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle
spese processuali.

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