Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3233 del 08/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 3233 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: MACCHIA ALBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MANCUSO CIRO N. IL 21/06/1970
IMPROTA PAOLO N. IL 01/07/1968
LANDINI ARMANDO N. IL 20/08/1966
avverso la sentenza n. 4904/2012 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
11/12/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALBERTO MACCHIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
1
che ha concluso per y
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 08/01/2014

Con sentenza dell’ 1 l dicembre 2012, la Corte di appello di Napoli ha
confermato la sentenza emessa il 27 febbraio 2012 dal Giudice per le indagini
preliminari del Tribunale di Napoli con la quale, all’esito del giudizio abbreviato, ha
condannato MANCUSO Ciro, IMPROTA Paolo e LANDINI Armando alla pena di
anni sei di reclusione ed euro 2.000 di multa ciascuno quali imputati del delitto di
estorsione aggravata a norma dell’art. 7 del d.l. n. 152 del 1991 ne confronti di
Sanrmino Giovanni e Sannino Rosa. Evocava in particolare la Corte territoriale
‘intervenuto riconoscimento fotografico degli imputati, le dichiarazioni della persona
offesa, reputate affidabili, nonché le ulteriori acquisizioni in ordine alle vicende
relative ai sodalizi camorristici operanti nello specifico territorio teatro dei fatti e la
convergenza di tali acquisizioni rispetto al ruolo ricoperto dagli imputati nella
organizzazione e gestione della estorsione praticata ai danni delle persone offese,
titolari di una impresa di lavorazione di indumenti usati. Il tutto, contestando la
fondatezza dei diversi rilievi articolati dagli imputati nei motivi di appello.
Avverso la sentenza di appello tutti gli imputati predetti hanno proposto ricorso
per cassazione. Nei ricorsi rassegnati personalmente dal MANCUSO e dal
LANDINI, di identico tenore, rievocando doglianze già dedotte in appello e disattese
dai giudici del grado, si lamenta che il riconoscimento fotografico non sia stato
effettuato adottando tutte le cautele del caso e se ne sottolinea la scarsa portata
dimostrativa, tenuto conto del tempo trascorso e della peculiarità del mezzo di prova
impiegato. La narrazione del collaboratore Grande non sarebbe poi risolutiva e
mancherebbero elementi di conferma. Anche nel ricorso proposto nell’interesse di
IMPROTA Paolo si rievocano le stese doglianze già devolute in grado di appello e si
sottolinea, nel primo motivo, come erroneamente sia stata disattesa la richiesta
formulata in una memoria di disporre di ufficio una ricognizione personale o una
perizia, sul rilievo della inappagante ricognizione fotografica, sul risultato della quale
si riproducono le stesse osservazioni già svolte in appello e liquidate nella sentenza
impugnata sulla base di considerazioni reputate incongrue. Nel secondo motivo si
prospetta l’opportunità di rimettere alle sezioni unite la questione relativa alla omessa
valutazione delle memorie difensive e se tale vizio integri una nullità di ordine
generale.
I ricorsi sono tutti palesemente inammissibili, in quanto si limitano a riprodurre
questioni, non soltanto ampiamente scrutinate e motivatamente disattese, con rilievi
del tutto appaganti sul piano della coerenza logica e della correttezza giuridica, da
parte dei giudici dell’appello, ma anche tese nella sostanza ad un improprio riesame
del merito, evidentemente eccentrico rispetto alla odierna sede di legittimità. La
questione, poi, relativa alla presunta omessa disamina di una memoria nella quale
l’IMPROTA avrebbe sollecitato in sede di giudizio abbreviato il giudice a far appello
ai propri poteri di integrazione probatoria ex officio, si rivela, oltre che contraddetta
dalla motivazione esibita sul punto dai giudici del gravame, anche del tutto
1

OSSERVA

P. Q. M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno della somma di euro mille in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, 1’8 gennaio 2014
/

inconferente, trattandosi di giudizio abbreviato rispetto al quale non è stata formulata
alcuna richiesta condizionata intesa alla assunzione di determinati mezzi di prova.
I ricorsi sono quindi tutti inammissibili per aspecificità dei relativi motivi, dal
momenti che le doglianze finiscono per risultare sterilmente reiterative dei motivi di
appello, senza che la motivazione esibita dai giudici del gravame sui diversi aspetti
trattati dagli appellanti abbia poi formato oggetto di una effettiva ed argomentata
critica impugnatoria. La giurisprudenza di questa Corte è infatti ormai da tempo
consolidata nell’affermare che deve essere ritenuto inammissibile il ricorso per
cassazione fondato su motivi che riproducono le stesse ragioni già discusse e ritenute
infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La
mancanza di specificità del motivo, infatti, deve essere apprezzata non solo per la sua
genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione
tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni
del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma
dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., alla inammissibilità della
impugnazione (Cass., Sez. I, 30 settembre 2004, Burzotta; Cass., Sez. VI, 8 ottobre
2002, Notaristefano; Cass., Sez. IV, 11 aprile 2001 Cass., Sez. IV, 29 marzo 2000,
Barone; Cass., Sez. IV, 18 settembre 1997, Ahmetovic).
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti
al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di
una somma che si stima equo determinare in euro 1.000,00 ciascuno alla luce dei
principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000.

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