Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3232 del 11/12/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 3232 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: AMORESANO SILVIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
SPOTO FRANCESCO N. IL 03/02/1970
avverso la sentenza n. 2302/2011 CORTE APPELLO di CATANIA, del
05/11/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SILVIO AMORESANO;

Data Udienza: 11/12/2015

I

1)Con sentenza del 5.11.2012 la Corte di Appello di Catania confermava la sentenza del
Tribunale di Catania, sez. dist. di Paternò, in composizione monocratica, emessa in
data 11.4.2011, con la quale Spoto Francesco era stato condannato alla pena (sospesa
alle condizioni di legge) di mesi 1 di arresto ed euro 8.000,00 di ammenda per i reati
di cui agli artt.44 lett.b), 93, comma 1, 94, commi 1 e 4, DPR 380/2001.
Ricorre per cessazione l’imputato, denunciando l’inosservanza ed erronea applicazione
dell’art.20 L.R. 4/2003 in relazione all’art.9 L.R.37/1985, la mancata assunzione di una
prova decisiva, la mancanza di motivazione; deduce, infine, che i reati erano prescritti
già al momento della emissione della sentenza impugnata.
2) Il ricorso è manifestamente infondato.
2.1) L’art.20 L.R. Sicilia 16.4,2003 n.4, richiamato dal ricorrente, disciplina: la chiusura
di terrazze di collegamento e/o copertura di spazi interni con strutture precarie; la
realizzazione di verande, definite come “chiusure o strutture precarie relative a
qualunque superficie esistente su balconi, terrazze e anche tra fabbricati”; la
realizzazione di altre strutture, comunque denominate (a titolo esemplificativo si fa
riferimento a tettoie, pensiline e gazebo), che vengono assimilate alle verande, a
condizione che ricadano su aree private, siano realizzate con strutture precarie e
siano aperte da almeno un lato.
Secondo la predetta norma gli interventi descritti non sono considerati aumento di
superficie utile o di volume né modifica della sagoma della costruzione e sono da
considerare strutture precarie tutte quelle realizzate in modo tale da essere
suscettibili di facile rimozione.
Nell’individuare alcune opere precarie non soggette, in via di eccezione, a permesso di
costruire la legge regionale fa riferimento ad un “criterio strutturale” (la facile
rimovibilità) piuttosto che al “criterio funzionale” (l’uso temporaneo e provvisorio).
Come già affermato da questa Corte tali disposizioni non possono essere, pertanto,
applicate al di fuori dei casi espressamente previsti e vanno interpretate in modo
restrittivo in ordine alla suscettibilità di facile rimozione (cfr.Cass.pen.sez. 3 n.35011
del 26.4.2007; Cass.pen.sez.3 n.2017 del 25.10.2007; Cass. sez. 3 n.16492 del
16.3.2010; Cass. sez. 3 n.48005 del 17.9.2014).
2.2) I giudici di merito, con accertamento in fatto adeguatamente argomentato, come
tale non sindacabile in questa sede di legittimità, hanno ritenuto che l’opera realizzata
dal ricorrente non avesse il carattere della precarietà (si trattava, infatti, come da
contestazione, di un manufatto avente superficie di mt.6,50 X 6,00, con altezza di
mt.3,00 al colmo e 2,50 alla gronda, completamente chiuso ai lati nord ed ovest e con
predisposizione di quattro aperture sui restanti lati, realizzato attraverso
l’elevazione dei muri perimetrali). Ci si trovava, quindi, palesemente in presenza di una

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OSSERVA

nuova costruzione (incremento volumetrico del preesistente edificio con carattere di
stabilità ed i namovib il i tà).
2.2) Il ricorrente ripropone i medesimi rilievi, lamentando che non sia stata ammessa
la relazione del consulente di parte (la Corte, sul punto ha però rilevato
correttamente che tale documento non potesse trovare ingresso nel fascicolo per il
dibattimento se non a seguito dell’escussione del consulente, che non risultava però
essere stata chiesta.). Irrilevante è che la consulenza in questione fosse stata già
depositata presso l’Ufficio urbanistica del Comune di Paternò.
2.3) Quanto al quarto motivo, la prescrizione non era certo maturata al momento della
emissione (5.11.2012) della sentenza impugnata. Il termine massimo di prescrizione di
anni cinque, previsto per le contravvenzioni secondo il combinato disposto degli
artt.157, comma 1, e 161, comma 2, c.p., non era, infatti, ancora decorso, essendo la
permanenza cessata, secondo quanto evidenziato dallo stesso ricorrente, con il
sequestro effettuato il 4.3.2008 (pag.6 ricorso).
2.4) Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad
escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a
favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria che pare congruo
determinare in euro 1.000,00 ai sensi dell’art.616 c.p.p.
Va solo aggiunto che l’inammissibilità del ricorso preclude la possibilità di dichiarare la
prescrizione, maturata dopo l’emissione della sentenza impugnata
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 11.12.2015

a

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