Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32272 del 08/04/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 32272 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: BELTRANI SERGIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DI PONTO SERGIO N. IL 16/09/1974
avverso la sentenza n. 1266/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
09/05/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI;

Data Udienza: 08/04/2014

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Milano ha
confermato la sentenza emessa in data 22 novembre 2011 dal Tribunale di
Vigevano, che aveva dichiarato l’imputato SERGIO DI PONTO colpevole di
truffa, condannandolo alla pena ritenuta di giustizia.
L’imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo mancata e/o
manifesta illogicità della motivazione quanto all’affermazione di responsabilità,

della motivazione quanto alla qualificazione giuridica del fatto accertato
(asseritamente integrante il reato di cui all’art. 641 c.p.), erronea applicazione
degli artt. 62-bis e 133 c.p. (quanto alla mancata concessione delle attenuanti
generiche ed alla quantificazione della pena) nonché omissione,
contraddittorietà ed illogicità della motivazione sui punti.
Il ricorso è integralmente inammissibile perché assolutamente privo di
specificità in tutte le sue articolazioni, del tutto assertivo e, comunque,
manifestamente infondato,

Deve premettersi che non è denunciabile il vizio di motivazione con
riferimento a questioni di diritto.
Invero, come più volte chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte
Suprema (Sez. II, sentenze n. 3706 del 21. – 27 gennaio 2009, CED Cass. n.
242634, e n. 19696 del 20 – 25 maggio 2010, CED Cass. n. 247123), anche
sotto la vigenza dell’abrogato codice di rito (Sez. IV, sentenza n. 6243 del 7
marzo – 24 maggio 1988, CED Cass. n. 178442), il vizio di

motivazione

denunciabile nel giudizio di legittimità è solo quello attinente alle questioni di
fatto e non anche di diritto, giacché ove queste ultime, anche se in maniera
immotivata o contraddittoriamente od illogicamente motivata, siano comunque
esattamente risolte, non può sussistere ragione alcuna di doglianza, mentre,
viceversa, ove tale soluzione non sia giuridicamente corretta, poco importa se e
quali argomenti la sorreggano.
E, d’altro canto, l’interesse all’impugnazione potrebbe nascere solo
dall’errata soluzione di una questione giuridica, non dall’eventuale erroneità
degli argomenti posti a fondamento giustificativo della soluzione comunque
corretta di una siffatta questione (Sez. IV, sentenza n. 4173 del 22 febbraio 13 aprile 1994, CED Cass. n. 197993).

erronea applicazione della legge penale e mancanza e/o manifesta illogicità

Va, in proposito, ribadito il seguente principio di diritto:
«nel giudizio di legittimità il vizio di motivazione non è denunciabile con
riferimento alle questioni di diritto decise dal giudice di merito, allorquando la
soluzione di esse sia giuridicamente corretta. D’altro canto, l’interesse
all’impugnazione potrebbe nascere soltanto dall’errata soluzione delle suddette
questioni, non dall’indicazione di ragioni errate a sostegno di una soluzione
comunque giuridicamente corretta).
Ne consegue che, nel giudizio di legittimità, il vizio di motivazione non è

E, nel caso in esame, la questione di diritto evocata in ricorso, riguardante
la qualificazione giuridica del fatto accertato, è stata decisa correttamente dal
primo giudice (cfr. f. 5 della motivazione del provvedimento impugnato, dove la
Corte di appello ha enucleato l’artifizio o raggiro che caratterizza la fattispecie
di cui all’art. 640 c.p.).

Deve, inoltre, rilevarsi che la giurisprudenza di questa Corte Suprema è,
condivisibilmente, orientata nel senso dell’inammissibilità, per difetto di
specificità, del ricorso presentato prospettando vizi di motivazione del
provvedimento impugnato, i cui motivi siano enunciati in forma perplessa o
alternativa (Sez. VI, sentenza n. 32227 del 16 luglio 2010, CED Cass. n.
248037: nella fattispecie il ricorrente aveva lamentato la “mancanza e/o
insufficienza e/o illogicità della motivazione” in ordine alla sussistenza dei gravi
indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari posti a fondamento di
un’ordinanza applicativa di misura cautelare personale; Sez. VI, sentenza n.
800 del 6 dicembre 2011 – 12 gennaio 2012, Bidognetti ed altri, CED Cass. n.
251528).
Invero, l’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. stabilisce che i provvedimenti
sono ricorribili per «mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato
ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di
gravame».
La disposizione, se letta in combinazione con l’art. 581, comma 1, lett. c),
c.p.p. (a norma del quale è onere del ricorrente

«enunciare i motivi del

ricorso, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto
che sorreggono ogni richiesta») evidenzia che non può ritenersi consentita
l’enunciazione perplessa ed alternativa dei motivi di ricorso, essendo onere del
ricorrente di specificare con precisione se la deduzione di vizio di motivazione
sia riferita alla mancanza, alla contraddittorietà od alla manifesta illogicità

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denunciabile con riferimento alle questioni di diritto decise dal giudice di merito.

ovvero a una pluralità di tali vizi, che vanno indicati specificamente in relazione
alle varie parti della motivazione censurata.
Il principio è stato più recentemente accolto anche da questa sezione, a
parere della quale «È inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso nel
quale siano prospettati vizi di motivazione del provvedimento impugnato, i cui
motivi siano enunciati in forma perplessa o alternativa, essendo onere del
ricorrente specificare con precisione se le censure siano riferite alla mancanza,
alla contraddittorietà od alla manifesta illogicità ovvero a più di uno tra tali vizi,

oggetto di gravame» (Sez. II, sentenza n. 31811 dell’8 maggio 2012, CED
Cass. n. 254329).
Per tali ragioni le reiterate censure alternative ed indifferenziate di
mancanza/omissione, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione
risultano prive della necessaria specificità, il che rende il ricorso inammissibile.

La Corte di appello (f. 5) ha comunque indicato, con motivazione esauriente
ed esente da vizi rilevabili in questa sede, gli elementi posti a fondamento
dell’affermazione di responsabilità e della qualificazione giuridica dei fatti
accertati: con taii eiementi il ricorrente in concreto non si è adeguatamente
confrontato, limitandosi a riproporre più o meno pedissequamente censure già
ritenuto inaccoglibili.

Questa Corte Suprema ha in più occasioni chiarito che, ai fini della
concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, il giudice può
limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello
che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del
beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole
o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere
sufficiente in tal senso (così, da ultimo, Sez. H, sentenza n. 3609 del 18
gennaio – 10 febbraio 2011, CED Cass. n. 249163).
A questo orientamento si è correttamente conformata la Corte di appello
valorizzando (f. 5), ai fini del diniego, l’assenza di elementi positivi sintomatici
della necessaria meritevolezza, i precedenti penali dell’imputato e l’assenza di
resipiscenza.
Quanto alla determinazione del trattamento sanzionatorio, è da ritenere
adempiuto l’obbligo della motivazione in ordine alla misura della pena allorché
sia indicato l’elemento, tra quelli di cui all’art. 133 c.p., ritenuto prevalente e di

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che vanno indicati specificamente in relazione alle parti della motivazione

dominante rilievo (Sez. un., sentenza n. 5519 del 21 aprile 1979, CED Cass. n.
142252). Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità
di pena irrogata, in tutte le sue componenti, appare necessaria soltanto nel
caso in cui la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella
edittale, potendo altrimenti risultare sufficienti a dare conto del corretto
impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. espressioni del tipo «pena
congrua», «pena equa» o «congruo aumento>>, come pure il richiamo
alla gravità del reato oppure alla capacità a delinquere (Sez. II, sentenza n.

A questo orientamento si è correttamente conformata la Corte di appello
valorizzando (f. 5) <>.

La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi
dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché – apparendo evidente che egli ha proposto il ricorso
determinando la causa di inammissibilità per colpa (Corte cost., 13 giugno 2000
n. 186) e tenuto conto della rilevante entità di detta colpa – della somma di
Euro mille in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento della somma di mille euro alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, udienza camerale 8 aprile 2014

Il Co sigliere estensore

Il Pre

nte

36245 del 26 giugno 2009, CED Cass. n. 245596).

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