Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3227 del 07/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 3227 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

Data Udienza: 07/01/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto da Manca Ketty, nata il 20.1.1980; Pillitu Stefano, nato il
10.12.1985 avverso la sentenza della Corte di appello di Cagliari del 5.6.2013.
Sentita la relazione della causa fatta dal consigliere Fabrizio Di Marzio; udita
la requisitoria del sostituto procuratore generale Eduardo Scardaccione, il
quale ha concluso chiedendo che la sentenza sia annullata senza rinvio con
riguardo al delitto di cui all’art. 494 c.p. essendosi lo stessoe stinto per
prescrizione; rigetto nel resto.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Cagliari ha confermato la
sentenza del tribunale della medesima città in data 18 giugno 2012, di
condanna degli odierni imputati: il Pillitu per il delitto di cui all’art. 624 bis c.p.
(per lo scippo, tra l’altro, di una carta di credito) e la Manca per i delitti di cui
agli articoli 494 e 648 c.p. (per la ricezione di detta carta e l’utilizzo della
stessa attribuendosi falsamente le generalità della titolare).
Nel ricorso presentato nell’interesse della Manca si contesta, innanzitutto, il
giudizio sulla penale responsabilità per i fatti ascritti sia sotto il profilo della

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violazione delle richiamate norme incriminatrici che sotto il profilo del vizio di
motivazione, esponendo una dettagliata critica in fatto alle pagine 3-5 del
ricorso.
Violazione di legge e vizio di motivazione sono inoltre contestati per non avere
la corte di appello condiviso l’argomento difensivo, fondato su una
giurisprudenza di questa corte (Cass. 27 settembre 1984, Tana), per cui non
sussisterebbe il dolo di ricettazione quando la cosa di provenienza illecita

fosse ricevuta da una persona convivente more uxorio, pur essendo nel caso
di specie accertato il vincolo affettivo tra gli imputati.
Si contesta inoltre violazione di legge e vizio di motivazione per non essere
stata ritenuta la fattispecie attenuata di cui all’articolo 648 comma 2 0 c.p.
benché l’evento abbia avuto, complessivamente, un disvalore modesto.
Si contesta infine violazione di legge e illogicità della motivazione circa la
decisione della corte territoriale di rinviare ogni statuizione sull’indulto alla
sede esecutiva attesa la sussistenza di altre condanne a carico dell’imputata;
si richiama infatti l’art. 1 della legge n. 241 del 2006 secondo cui l’indulto è
concesso per tutti i reati commessi fino al 2 maggio 2006 prescindendo dalle
esclusioni di cui all’ultimo comma dell’articolo 151 c.p. (tra le quali la
condizione di recidivanza).
Nel ricorso presentato \rVell’interesse del Pillittu la critica colpisce la sentenza
con riguardo alla mancata pronuncia della intervenuta prescrizione del reato,
invero già maturata qualora si consideri illegittima la sospensione del processo
e del decorso del termine prescrizionale effettuata dai giudici di merito ai
sensi della legge numero 125 del 2008 con violazione, secondo la difesa,
dell’articolo 2 ter di detta legge: prevedendo quest’ultimo che l’imputato può
prestare opposizione alla sospensione medesima, essendo stato dichiarato nel
caso di specie l’imputato contumace, e non essendo stato in nessun modo lo
stesso avvertito della decisione sulla sospensione, alla quale non ha perciò
potuto opporsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono manifestamente infondati.
Quanto alle doglianze sul giudizio circa la penale responsabilità della Manca,
deve preliminarmente osservarsi come questa Corte ha ripetutamente
affermato che ricorre il vizio di motivazione illogica o contraddittoria solo
quando emergono elementi di illogicità o contraddizioni di tale macroscopica
evidenza da rivelare una totale estraneità fra le argomentazioni adottate e la
soluzione decisionale (Cass. 25 maggio 1995, n. 3262). In altri termini,

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occorre che sia mancata del tutto, da parte del giudice, la presa in
considerazione del punto sottoposto alla sua analisi, talché la motivazione
adottata non risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità
del discorso argomentativo su cui la decisione è fondata e non contenga gli
specifici elementi esplicativi delle ragioni che possono aver indotto a
disattendere le critiche pertinenti dedotte dalle parti (Cass. 15 novembre
1996, n. 10456).

Queste conclusioni restano ferme pur dopo la legge n. 46 del 2000 che,
innovando sul punto l’art. 606 lett. e) c.p.c., consente di denunciare i vizi di
motivazione con riferimento ad “altri atti del processo”: alla Corte di
cassazione resta comunque preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o
diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti
maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa,
dovendosi essa limitare a controllare se la motivazione dei giudici di merito sia
intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico
seguito, (ex plurimis: Cass. 10 ottobre 2008 n. 38803). ‘Quindi, pur dopo la
novella, non hanno rilevanza le censure che si limitano ad offrire una lettura
alternativa delle risultanze probatorie, dal momento che il sindacato della
Corte di cassazione si risolve pur sempre in un giudizio di legittimità e la
verifica sulla correttezza e completezza della motivazione non può essere
confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite. La Corte, infatti,
deve limitarsi a verificare se la giustificazione del giudice di merito sia
compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di
apprezzamento (v. Cass. 3 ottobre 2006, n. 36546; Cass. 10 luglio 2007, n.
35683; Cass. 11 gennaio 2007, n. 7380) e tale da superare il limite del
ragionevole dubbio. La ‘condanna al là di ogni ragionevole dubbio implica,
infatti, in caso di prospettazione di un’alternativa ricostruzione dei fatti, che
siano individuati gli elementi di conferma dell’ipotesi ricostruttiva accolta, in
modo da far risultare la non razionalità del dubbio derivante dalla stessa
ipotesi alternativa, con la precisazione che il dubbio ragionevole non può
fondarsi su un’ipotesi alternativa del tutto congetturale seppure plausibile (v.
Cass. sez. IV, 17.6.2011, n. 30862; sentenza Sezione 1^, 21 maggio 2008,
Franzoni, rv. 240673; anche Sezione 4^, 12 novembre 2009, Durante, rv.
245879).
La motivazione è invece mancante non solo nel caso della sua totale assenza,
ma anche quando le argomentazioni addotte dal giudice a dimostrazione della

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fondatezza del suo convincimento siano prive di completezza in relazione a
specifiche doglianze formulate dall’interessato con i motivi d’appello e dotate
del requisito della decisività (Cass. 17 giugno 2009, n. 35918).
Nessuno di tali vizi ricorre nel caso di specie, dal momento che il giudice di
appello ha esposto alle pagine 5-6 un ragionamento argomentativo coerente,
completo e privo di discontinuità logiche giungendo ..per tale via ad una
adeguata ricostruzione dei fatti e a una corretta qualificazione giuridica degli

stessi. Invece, nel ricorso, si prospettano esclusivamente ricostruzioni
alternative del materiale probatorio non soltanto eccedendo ampiamente i
limiti del sindacato di legittimità rimesso a questa corte, ma per di più
prospettando argomenti di nessuna plausibilità attese le prove in atti: avendo
la corte territoriale in particolare chiarito come l’imputata sia stata
riconosciuta dalle vittime del reato come il soggetto che acquistò i beni
spacciandosi per la titolare della carta di credito al titolare del negozio,
essendo poi riconosciuta dal collaboratore dello stesso incaricato della
consegna di detti beni all’indirizzo del coimputato, dove la Manca dimorava in
quel periodo.
Deve inoltre rilevarsi come negli scritti difensivi e anche’ nel ricorso in esame
sia richiamata, quanto alla esclusione della punibilità del fatto di ricettazione,
una giurisprudenza non soltanto risalente ma anche superata, senza in nessun
modo prendere in considerazione gli indirizzi attuali. Per la giurisprudenza di
questa corte, invero, la causa di non punibilità relativa ai delitti contro il
patrimonio prevista dall’art. 649, comma 1, c.p., non si applica in favore
dell’autore del reato legato alla persona offesa da un ràPlporto di convivenza
“more uxorio”; né è prospettabile al riguardo una non manifestamente
infondata q.l.c. della norma per violazione degli art. 3 e 24 cost. difettando
nella convivenza i caratteri di certezza e tendenziale stabilità propri del
vincolo coniugale (Cass. Sez. II, 13.10.2009, 44047). Nel caso di specie,
peraltro, come puntualmente rilevato dalla corte di appello, nemmeno può
ritenersi sussistente un rapporto di convivenza more’ – uXòrio correttamente
inteso tra gli imputati, essendo risultato tra gli stessi, secondo le risultanze
testimoniali semplicemente un fidanzamento e risultando la Manca soltanto
alloggiata nella casa familiare del coimputato avendo ella maturato dissapori
con i propri genitori.
Inoltre, in tema di ricettazione, perché possa trovare applicazione l’ipotesi
prevista dal capoverso dell’art. 648 c.p., è necessario 6e^rla cosa ricettata sia
di valore economico particolarmente tenue, restando comunque

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impregiudicata la facoltà del giudice, pur in presenza di un valore modesto, di
escludere il “fatto di particolare tenuità” prendendo in esame gli ulteriori
elementi di valutazione della vicenda, e in particolare ogni altra circostanza
idonea a delineare la gravità del reato e la capacità a delinquere del
colpevole; tale ulteriore operazione, tuttavia, deve essere compiuta secondo i
criteri di cui all’art. 133 c.p. e con riferimento al comportamento concreto
dell’agente, con esclusione di qualsiasi valutazione inerente alla gravità in

astratto del reato, la quale compete al legislatore ai fini della previsione delle
relative sanzioni, ma non all’interprete in sede di applicazione delle norme
preesistenti. (Cass. Sez. II, 12.11.2009, n. 45831). Applicando correttamente
questa giurisprudenza, la corte di appello ha escluso che possa ricorrere un
fatto di particolare tenuità in acquisti effettuati con carta di credito provento di
furto rigettata per complessivi euro 1.200, attesa la ‘soglia oggettivamente
elevata del danno arrecato al legittimo titolare della carta.
Manifestamente infondata è poi la doglianza sulla mancata decisione in tema
di indulto, non avendo la corte territoriale escluso l’applicazione del beneficio,
pertanto sempre applicabile dal giudice dell’esecuzione; cosicché il ricorso
accusa una evidente carénza di interesse.
Manifestamente infondata è pure la doglianza sollevata nell’interesse del
Pillitu. Deve infatti rilevarsi che la stessa non è stata sollevata in appello. Ne
discende l’inammissibilità del motivo ai sensi dell’art. 606 comma 3 cod. proc.
pen. ultima parte, per il quale il ricorso in cassazione è inammissibile se
concerne violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello.

In ogni caso, il motivo sarebbe manifestamente infondato. Essendo rimasto
contumace nel giudizio di merito, l’imputato è stato in e;sso rappresentato dal
proprio difensore ai sensi dell’art. 420 quater cod. proc. pen. Quest’ultimo
nulla ha obiettato in merito al rinvio disposto dal tribunale ai sensi dell’art. 2ter della I. 24 luglio 2008, n.125, di conversione del decreto-legge 23 maggio
2008, n. 92, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica, dedicato
alle misure per assicurare la rapida definizione dei processi relativi a reati per
i quali è prevista la trattazione prioritaria.
Dispone la norma in oggetto che al fine di assicurare la rapida definizione dei
processi pendenti alla data di entrata in vigore della legge di conversione in
oggetto, per i quali è prevista la trattazione prioritaria, nei provvedimenti
adottati ai sensi del comma 2 dell’articolo 132-bis delle norme di attuazione,
di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto
legislativo 28 luglio 1989, n. 271, come sostituito ‘iiiil’articolo 2-bis del

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presente decreto, i dirigenti degli uffici possono individuare i criteri e le
modalità di rinvio della trattazione dei processi per reati commessi fino al 2
maggio 2006 in ordine ai quali ricorrono le condizioni per l’applicazione
dell’indulto, ai sensi della legge 31 luglio 2006, n. 241, e la pena
eventualmente da infliggere può essere contenuta nei limiti di cui all’articolo
1, comma 1, della predetta legge n. 241 del 2006. Nell’individuazione dei
criteri di rinvio i dirigenti degli uffici tengono, altresì, conto della gravità e

della concreta offensività del reato, del pregiudizio che può derivare dal
ritardo per la formazione della prova e per l’accertamento dei fatti, nonchè
dell’interesse della persona offesa. Si chiarisce, al comma successivo, che il
rinvio della trattazione del processo non può avere durata superiore a diciotto
mesi, e che il termine di prescrizione del reato rimane sospeso per tutta la
durata del rinvio. Il coniNa terzo precisa che il rinvio non può essere disposto
se l’imputato si oppone ovvero se è già stato dichiarato chiuso il dibattimento.
Orbene, “non risulta che l’imputato abbia presentato opposizione al disposto
rinvio a mezzo del suo difensore. Cosicché il richiamo fatto nel ricorso alla
giurisprudenza di questa corte secondo cui la sospensione del termine di
prescrizione disposta ai sensi dell’art. 2 ter cit. richiede la previa instaurazione
del contraddittorio è

al

tutto fuori luogo, essendo nel caso di specie il

contraddittorio regolarmente in essere. Infatti, se il pro ■ivedimento del giudice
è pronunciato in udienza alla presenza del difensore e nella contumacia
dell’imputato, il principio del contraddittorio deve ritenersi pienamente
rispettato (in tal senso Cass. Sez. II, 17.7.2013, n. 32368; mentre nel caso
richiamato nel ricorso, deciso da Cass.s ez. II, 13.11.2013, n. 3343, la
sospensione del terminé di prescrizione era stata decisa con provvedimento
pronunciato fuori udienza omettendo qualsivoglia avvis•S’all’imputato).
Da ultimo il Collegio osserva che non possono trovare applicazione le norme
sulla prescrizione del reato, dal momento che – secondo la giurisprudenza
delle Sezioni Unite di questa Corte – l’inammissibilità del ricorso per
cassazione dovuta alla mancanza, nell’atto di impugnazione, dei requisiti
prescritti dall’articolo 581 cod proc. pen., ovvero alla manifesta infondatezza
dei motivi non consente il formarsi di un valido rappdkò di impugnazione e
preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause. di non
punibilità a norma dell’articolo 129 cod. proc. pen. (cfr.: Cass. Sez. Un., sent.
n. 21 del 11.11.1994 dep. 11.2.1995 rv 199903; Cass. Sez. Un., sent. n. 32
del 22.11. 2000 dep. 21.12.2000 rv 217266).
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrente al

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pagamento delle spese processuali nonché ciascuno al versamento, in favore
della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa
emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.
PQM

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuno della somma di euro 1000,00 alla Cassa delle

Così deliberato il 7.1.2014

ammende.

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