Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3225 del 07/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 3225 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

Data Udienza: 07/01/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto da Sandoval Carlos Alberto, nato il 2.6.1973 avverso la
sentenza della Corte di appello di Firenze del 13.11.2012. Sentita la relazione
della causa fatta dal consigliere Fabrizio Di Marzio; udita la requisitoria del
sostituto procuratore generale Eduardo Scardaccione, il quale ha concluso
chiedendo che il ricorso sia rigettato; udito l’avv. Claudio Rotunno per
l’imputato, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Firenze ha confermato la
sentenza emessa dal gruppo del Tribunale di Montepulciano in data 19
febbraio 2012 di condanna di Sandoval Carlos Alberto per il delitto di rapina.
Nel ricorso presentato nell’interesse dell’imputato si contesta vizio di
motivazione in ordine al giudizio sulla penale responsabilità lamentando come
la stessa sarebbe stata argomentata dalla corte di merito senza considerare le
plurime emersioni istruttorie a vantaggio dell’imputato, prima tra tutte la
dichiarazione del coimputato autoaccusatosi della rapina, il quale ha
categoricamente escluso la partecipazione alla stessa da parte dell’odierno

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ricorrente. Nel ricorso si svolge una dettagliata critica in fatto in ordine alla
ricostruzione degli eventi e alla interpretazione del materiale probatorio da
pagina 2 a pagina 18.
Con un secondo motivo si lamenta sempre l’illogicità della motivazione con cui
è stata ritenuta non sussistente, nel caso di specie, l’attenuante della minima
partecipazione di cui all’art. 114, comma 1 0 c.p.
Infine si contesta, sempre sotto il profilo della illogicità della motivazione, il

trattamento sanzionatorio in generale e in particolare il giudizio sulle
circostanze, criticando la corte per non aver preso in considerazione tutti gli
elementi prospettati nell’atto di appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che ricorre iIvizio di motivazione
illogica o contraddittoria solo quando emergono elementi di illogicità o
contraddizioni di tale macroscopica evidenza da rivelare una totale estraneità
fra le argomentazioni adottate e la soluzione decisionale (Cass. 25 maggio
1995, n. 3262). In altri termini, occorre che sia mancata del tutto, da parte
del giudice, la presa in considerazione del punto sottoposto alla sua analisi,
talché la motivazione adottata non risponda ai requisiti minimi di esistenza,
completezza e logicità del discorso argomentativo su cui la decisione è
fondata e non contenga gli specifici elementi esplicativi delle ragioni che
possono aver indotto a disattendere le critiche pertinenti dedotte dalle parti
(Cass. 15 novembre 1996, n. 10456).
Queste conclusioni restano ferme pur dopo la legge n. 46 del 2000 che,

innovando sul punto l’art. 606 lett. e) c.p.c., consente di denunciare i vizi di
motivazione con riferimento ad “altri atti del processo”: alla Corte di
cassazione resta comunque preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o
diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti
maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa,
dovendosi essa limitare a controllare se la motivazione dei giudici di merito sia
intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico
seguito, (ex plurimis: Cass. 10 ottobre 2008 n. 38803). Quindi, pur dopo la
novella, non hanno rilevanza le censure che si limitano ad offrire una lettura
alternativa delle risultahze probatorie, dal momento che il sindacato della
Corte di cassazione si risolve pur sempre in un giudizio di legittimità e la
verifica sulla correttezza e completezza della motivazione non può essere

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confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite. La Corte, infatti,
deve limitarsi a verificare se la giustificazione del giudice di merito sia
compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di
apprezzamento (v. Cass. 3 ottobre 2006, n. 36546; Cass. 10 luglio 2007, n.
35683; Cass. 11 gennaio 2007, n. 7380) e tale da superare il limite del
ragionevole dubbio. La condanna al là di ogni ragionevole dubbio implica,
infatti, in caso di prospettazione di un’alternativa ricostruzione dei fatti, che

siano individuati gli elementi di conferma dell’ipotesi ricostruttiva accolta, in
modo da far risultare la non razionalità del dubbio derivante dalla stessa
ipotesi alternativa, con la precisazione che il dubbio ragionevole non può
fondarsi su un’ipotesi alternativa del tutto congetturale seppure plausibile (v.
Cass. sez. IV, 17.6.2011, n. 30862; sentenza Sezione 1^, 21 maggio 2008,
Franzoni, rv. 240673; anche Sezione 4^, 12 novembre 2009, Durante, rv.
245879). La motivazione è invece mancante non solo nel caso della sua totale
assenza, ma anche quando le argomentazioni addotte dal giudice a
dimostrazione della fondatezza del suo convincimento siano prive di
completezza in relazione a specifiche doglianze formulate dall’interessato con i
motivi d’appello e dotate del requisito della decisività (Cass. 17 giugno 2009,
n. 35918).
Nessuno di tali vizi ricorre nel caso di specie, dal montiento che il giudice di
appello ha esposto alle pagine 2-4 un ragionamento argomentativo coerente,
completo e privo di discontinuità logiche giungendo per tale via ad una
adeguata ricostruzione dei fatti e a una corretta qualificazione giuridica degli
stessi. Invece, nel ricorso, si prospettano esclusivamente ricostruzioni
alternative del fatto, peraltro espressamente e non illogicamente dichiarate
implausibili e non credibili nella sentenza impugnata; I L prospettano inoltre
interpretazioni alternative del materiale probatorio: in ogni caso eccedendo
ampiamente i limiti del sindacato di legittimità rimesso a questa corte.
Deve inoltre rilevarsi come per la giurisprudenza di questa corte, non ricorre
l’attenuante dell’art. 114 c.p. se non quando la condotta del reo abbia inciso
sul risultato finale in modo del tutto marginale e tale da poter essere esclusa,
senza apprezzabili conseguenze (Cass. Sez. VI 14.11.2013, n. 47533; Sez. I,
9.5.2013, n. 26031). In ragione di tali arresti, la corte territoriale argomenta
sulla partecipazione dell’odierno ricorrente a tutte le fasi della rapina, esclusa
la fase dell’esecuzione materiale della stessa, giungendo ad un
apprezzamento di fatto come tale insindacabile in questa sede circa la

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notevole importanza dell’apporto prestato. Cosicché la doglianza si mostra
infondata.
Sul trattamento sanzionatorio, comunque ritenuto eccessivo, deve rilevarsi
che il giudice d’appello, con motivazione per quanto sintetica tuttavia, in
quanto conformativa del trattamento sanzionatorio già irrogato motivato nella
sentenza impugnata e in quanto riferito a pena comminata-come la stessa
corte di appello rileva-in misura prossima al minimo edittale congrua ed

esaustiva, involgente valutazioni di merito come tali insindacabili nel giudizio
di legittimità, quando – come nel caso di specie – il metodo di valutazione
delle prove sia conforme ai principi giurisprudenziali e l’argomentare scevro
da vizi logici (Cass. pen. sez. un., 24 novembre 1999, Spina, 214794). Del
resto questa Corte ha chiarito che in sede di legittimità non è censurabile una
sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col
gravame quando la stessa è disattesa dalla motivazione della sentenza
complessivamente considerata. Pertanto, per la validità della decisione non è
necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed
esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente per
escludere la ricorrenza del vizio che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei
fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e
senza lasciare spazio ad una valida alternativa. Sicché, ove il provvedimento
indichi con adeguatezza e logicità quali circostanze ed émergenze processuali
si sono rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice, sì
da consentire l’individuazione dell’iter logico-giuridico seguito per addivenire
alla statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del denunciato
vizio di preterizione. (Cass. Sez. 2 sent. n. 29434 del 19.5.2004 dep.
6.7.2004 rv 229220).
Per questi rilievi, deve concludersi che la determinazidne in concreto della
pena costituisce il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio
analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicché l’obbligo della motivazione
da parte del giudice dell’impugnazione deve ritenersi compiutamente
osservato, anche in relazione alle obiezioni mosse con i motivi d’appello,
quando egli, accertata ‘ l’irrogazione della pena tra il minimo e il massimo
edittale, affermi di ritenerla adeguata o non eccessivaClò dimostra, infatti,
che egli ha considerato sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti
indicati nell’art. 133 cod. pen. ed anche quelli specificamente segnalati con i
motivi d’appello. (Cass. Sez. 6, sent. n. 10273 del 20.5.1989 dep. 12.7.1989
rv 181825. Conf. mass. N. 155508; n. 148766; n. 117242).

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Ne discende il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Il Consigliere estensore
Fabrizio Di Marzio

Il Presidente
Ciro Petti

Così deliberato il 7.1.2014

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