Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32246 del 11/04/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 32246 Anno 2014
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: DI SALVO EMANUELE

SENTENZA
sul ricorso proposto da
SORGE GIOVANNI nato il 2/01/1965
avverso l’ordinanza n.3658/2013 del Tribunale della libertà di Roma del 19/12/2013
sentita la relazione del consigliere Emanuele Di Salvo
sentite le conclusioni del p.g., dr. Giulio Romano, che ha concluso per il rigetto del
ricorso;
udito il difensore avv. Calogero Nobile, che ha richiesto l’accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Sorge Giovanni ricorre per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale
del riesame di Roma, in data 19-12-2013, che ha confermato l’ordinanza di
custodia cautelare in carcere emessa dal Gip del Tribunale di Frosinone, in ordine
a due delitti ex artt 56-317 cod. pen., commessi rispettivamente ai danni di
Marchetti Fabio ed Offreda Luigi. In relazione al reato commesso in danno del
Marchetti, la prospettazione accusatoria assume che l’indagato, in qualità di
sindaco di Ceprano, nel settembre 2011, abbia rappresentato al soggetto passivo
il suo interesse all’affidamento dell’incarico ad una ditta da lui indicata, facendo
pressioni sulla persona offesa, consistite, in particolare, nel dirgli: “Questo

Data Udienza: 11/04/2014

impianto voi non lo fate perchè, se non mi date retta su come va fatto questo
lavoro, non riuscirete a farlo. Ho io la ditta che lo fa”. In relazione al secondo
delitto, la prospettazione accusatoria assume che il Sorge abbia detto
all’imprenditore Offreda Giuseppe che, se voleva l’assegnazione di un lavoro di
bonifica dall’amianto, doveva versargli una somma pari al 10% dell’importo
dell’appalto, tramite una locale società calcistica.

2. Il ricorrente deduce, con il primo motivo, violazione degli artt. 292

valutato il contenuto della telefonata, intervenuta il 15-5-2013, tra il Ciarrocchi e
il Marchetti, dimostrativa dell’inattendibilità delle dichiarazioni rese da
quest’ultimo. Infatti, nonostante la persona offesa assuma, nel corso delle sue
deposizioni, di avere riferito al Ciarrocchi delle richieste di danaro del Sindaco,
dalla predetta conversazione si evince l’esatto contrario.
2.1 Con il secondo motivo, si deduce erroneità della qualificazione giuridica
del fatto ex artt 56-317 cod. pen. poiché dalle dichiarazioni rese dal Marchetti
non è desumibile alcun elemento dal quale possa inferirsi che il Sorge non abbia
lasciato alcuna libertà di determinazione alle persone offese. Infatti il Marchetti,
che ha precisato di non aver mai ricevuto richieste di danaro da parte del
Sindaco, si autodeterminò a consigliare alla sua cliente di soprassedere
all’operazione non per le pressioni del Sorge, bensì perchè riteneva non fossero
presenti garanzie idonee per l’esecuzione del lavoro. Anche Sabellico ha
dichiarato che Marchetti gli disse di aver compreso che il Sindaco voleva far
lavorare una sua ditta, per avere un tornaconto economico personale, riferendo
così soltanto di una impressione e deduzione, senza alcun riscontro certo.
2.2 Con il terzo motivo, si deduce contraddittorietà delle dichiarazioni
dell’Offreda, in quanto quest’ultimo, che non aveva i requisiti per aggiudicarsi
l’appalto e mirava dunque ad avere un vantaggio indebito, ben sapeva che
l’appalto era già stato aggiudicato alla Troiani e a Ciarrocchi e che, peraltro, il
Sindaco non ha alcun potere di intervento sugli appalti, che sono di competenza
esclusiva dei funzionari comunali. Comunque né Marchetti né Offreda hanno mai
fatto riferimento a tentativi di costrizione, onde alla fattispecie concreta in
disamina potrebbe, al più, essere attribuito il nomen iuris ex art 319 quater cod.
pen.
2.3 II quarto motivo si appunta sull’erroneità delle determinazioni del
giudice a quo, che ha respinto l’eccezione relativa all’inutilizzabilità dei contenuti
delle conversazioni intercettate, per difetto del requisito dell’indispensabilità delle
intercettazioni, che debbono costituire l’extrema ratio, sulla base del quadro
probatorio disponibile al momento dell’emanazione del decreto, e sono state

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comma 2-ter, e 358 cod. proc. pen. poiché il Tribunale non ha adeguatamente

effettuate invece soltanto come atto di indagine prodromico all’espletamento di
altri atti d’indagine.
2.4 II quinto motivo s’incentra sull’inutilizzabilità dei risultati dell’attività
captativa svolta nell’auto in uso al Sorge, in quanto, essendo l’abitacolo
dell’autoveicolo luogo di privata dimora, l’intercettazione può essere disposta
soltanto se ivi si stia svolgendo l’attività criminosa: requisito mancante nel caso
di specie.
2.5 Con il sesto e il settimo motivo, si denuncia violazione degli artt. 268,
178, lett c), e 309 cod. proc. Pen. nonché degli artt. 24 e 111 Cost., stante

l’assenza, nel fascicolo procedimentale, dei brogliacci e delle trascrizioni
sommarie delle intercettazioni espletate, essendo soltanto stati posti a
disposizione della difesa i files audio, di enorme quantità e quindi di impossibile
consultazione. D’altronde, erroneamente il Tribunale ha affermato, in ordine alla
richiesta difensiva di esaminare i brogliacci, che essa era tardiva, in quanto
depositata solo a ridosso dell’udienza di riesame, mentre, in realtà, la difesa si
era attivata sin dal 16-12-2013. Né era valutabile la relazione di servizio redatta
dalla p.g. e pervenuta al Tribunale il 19-12-2013, perché gli atti sopravvenuti
possono essere valutati soltanto quando siano a favore dell’imputato.
2.6 Con l’ultimo motivo, si deduce insussistenza delle esigenze cautelari,
poiché il Sorge si è dimesso dalla carica di sindaco ed è stato collocato agli
arresti domiciliari in località posta fuori dalla provincia di Frosinone. Non vi è
dunque alcun pericolo di reiterazione delle condotte criminose.
Si chiede pertanto annullamento dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è infondato. Costituisce infatti ius receptum,
nella giurisprudenza di questa Corte, che, anche alla luce della novella del 2006,
il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attenga pur sempre
alla coerenza strutturale della decisione, di cui saggia l’oggettiva “tenuta” sotto il
profilo logico-argomentativo e quindi l’accettabilità razionale del provvedimento,
restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti (Cass., Sez. III, n. 37006 del 27-9-2006, Piras, rv. 235508;
Sez VI, n. 23528 del 6-6-2006, Bonifazi, rv. 234155). Ne deriva che il giudice di
legittimità, nel momento del controllo della motivazione, non deve stabilire se la
decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti né deve
condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa
giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile

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(A

opinabilità di apprezzamento, atteso che l’art 606 co 1 lett e) cod. proc. pen. non
consente alla Corte di cassazione una diversa interpretazione delle prove. In altri
termini, il giudice di legittimità, che è giudice della motivazione e dell’osservanza
della legge, non può divenire giudice del contenuto della prova, non
competendogli un controllo sul significato concreto di ciascun elemento
probatorio. Questo controllo è riservato al giudice del merito, essendo consentito
alla Corte regolatrice esclusivamente l’apprezzamento della logicità della
motivazione (cfr, ex plurirnis, Cass.Sez. fer. n. 36227 del 3-9-2004, Rinaldi, n.

Antonelli).
1.1. Nel caso in disamina, la Corte d’appello ha evidenziato, in merito alla
telefonata intercettata sull’utenza in uso a Ciarrocchi Renato, che, durante il
colloquio tra quest’ultimo e il Marchetti, anche se Ciarrocchi affermò di non
ricordare che il Marchetti lo avesse messo a conoscenza delle pressioni ricevute
dal Sindaco, Marchetti ribadì con fermezza la propria convinzione di aver detto a
Ciarrocchi che “questo voleva i soldi o voleva lavorare con una ditta sua…
Avanzava anche delle richieste nemmeno tanto velate”. Dunque da tale
intercettazione si trae conferma che Marchetti aveva affermato di essere stato
vittima di pressioni da parte del Sindaco. Lo stesso Ciarrocchi, pur escludendo di
aver personalmente ricevuto analoghe pressioni, comunque ha confermato di
aver espresso forti dubbi in merito al comportamento del Sindaco, prospettando
anche l’eventualità che egli non ricordasse bene quanto effettivamente riferitogli
dal Marchetti. In ogni caso, gli inquirenti, dopo l’ascolto di tale intercettazione,
procedettero ad una nuova escussione del Marchetti, il quale dichiarò che il
Sindaco non gli aveva semplicemente rappresentato l’esigenza di far lavorare
una sua ditta ma aveva fatto pressioni in tal senso, chiedendo di fargli avere
l’utilità che sarebbe derivata dall’impiego della sua ditta nei lavori.
Come si vede, l’impianto argomentativo a sostegno del decisum si sostanzia
in un apparato esplicativo puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto
idoneo a rendere intelligibile l’iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò
idoneo a superare lo scrutinio di legittimità.
2.Nemmeno il secondo e il terzo motivo di ricorso possono essere accolti.
Risulta, al riguardo, dalla motivazione del provvedimento impugnato che il
Marchetti ha riferito che il Sindaco gli aveva rappresentato l’esigenza di far
lavorare una sua ditta e aveva fatto pressioni in tal senso, dicendogli che, con
l’intervento della sua impresa, lui “sarebbe stato bene” e “avrebbe messo a
posto le cose “. Il Sindaco disse al Marchetti che lui faceva l’imprenditore e
aveva spese, facendogli capire che “se avesse fatto lavorare la sua ditta al

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Sez V, n. 32688 del 5-7-2004, Scarcella, Sez V, n. 22771 del 15-4-2004,

posto di quella di Sabellico, lui ne avrebbe avuto un tornaconto economico”. In
sostanza, secondo quanto riferito dal Marchetti, il Sorge non gli chiese soldi,
ma chiese di fargli avere l’utilità che sarebbe derivata dall’impiego della sua
ditta nei lavori, dicendogli “questo impianto voi non lo fate, perché, se non mi
date retta su come va fatto questo lavoro, non riuscirete a fare questo lavoro,
ho io la ditta che lo fa “. Per quanto riguarda Offreda, quest’ultimo ha
dichiarato che Sorge gli disse che i lavori di bonifica erano urgenti e che egli
avrebbe potuto favorirlo, essendo in contatto con le imprese che avrebbero
dovuto realizzare i lavori appaltati. Offreda ha precisato che Sorge fu esplicito

nel dirgli che, se voleva il lavoro, avrebbe dovuto dargli un contributo,
rivolgendogli le frasi : ” Si sa come funziona, si sa che le percentuali sono
intorno al 10% dell’importo dell’appalto” e spiegando ad Offreda come avrebbe
dovuto fare per versare tale importo, attraverso una squadra locale di calcio.
Afferma dunque il giudice a quo che il Sorge non lasciò alcuna libertà di
autodeterminazione alle persone offese, avendo posto il Marchetti di fronte
all’alternativa di partecipare alla selezione per il subappalto dei lavori,
assicurando, come preteso dal Sorge, una partecipazione all’impresa indicata
da quest’ultimo, o non parteciparvi affatto. Per l’Offreda, poi, la richiesta di
utilità a proprio favore, da parte dell’indagato, sarebbe stata ancora più
cogente, avendo il Sorge preteso per sé, in cambio dell’affidamento dei lavori,
un contributo, ossia una tangente, del 10%. Onde è da ravvisarsi un abuso
costrittivo ex artt. 56-317 cod. pen.
2.1. Quest’impostazione non appare corretta. Al riguardo, occorre
prendere le mosse dal principio di diritto enunciato da questa Corte a Sezioni
Unite, secondo cui il discrimine fra il delitto di concussione e quello di indebita
induzione (rispettivamente previsto dagli artt. 317 e 319-quater cod. pen., nel
testo introdotto dalla legge n.190/2012) è dato dalla sussistenza, nel primo
reato, di un abuso costrittivo del pubblico ufficiale, attuato mediante violenza o
minaccia, da cui derivi una grave limitazione della libertà di autodeterminazione
del destinatario, che, senza ricevere alcun vantaggio, venga posto di fronte
all’alternativa di subire il male prospettato o di evitarlo con la dazione o la
promessa dell’utilità. Nella concussione di cui all’art. 317 cod. pen., si è quindi
in presenza di una condotta del pubblico ufficiale che limita radicalmente la
libertà di autodeterminazione del soggetto passivo.
La differenzazione del concetto di costrizione da quello di induzione va
dunque ricercata nella dicotomia minaccia-non minaccia. La minaccia non deve
necessariamente concretizzarsi in espressioni esplicite e brutali ma può anche
essere implicita, velata, allusiva, potendo, eventualmente, assumere anche la

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l

forma del consiglio, dell’esortazione, della metafora, purché tali comportamenti
siano connotati da una carica intimidatoria analoga a quella della minaccia
esplicita. La nozione di induzione, invece, esplicando una funzione di selettività
residuale rispetto al concetto di costrizione, copre gli spazi non riconducibili a
quest’ultimo, inerendo a quei comportamenti, pur sempre abusivi, del pubblico
agente che non si materializzano nella violenza o nella minaccia di un male
ingiusto e non pongono il destinatario di fronte alla scelta obbligata tra due
mali parimenti ingiusti. Il delitto di cui all’ad 319-quater cod. pen. consiste

di pubblico servizio, che, con una condotta di persuasione, suggestione,
inganno o pressione morale, condizioni in modo più tenue la libertà di
autodeterminazione del privato, il quale, disponendo di ampi margini decisori,
accetta di prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta,
nella prospettiva di un tornaconto personale. Dunque la fattispecie di induzione
indebita, di cui all’art. 319-quater cod. pen., è caratterizzata da una condotta di
pressione non irresistibile da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un
pubblico servizio, che lasci al destinatario un margine significativo di
autodeterminazione e si coniughi con il perseguimento di un indebito vantaggio
per il privato (Cass. Sez. U., n.12228 del 24/10/2013, dep. 2014, Maldera rv.
258470).
Orbene, dalla prospettazione di fatto enucleabile dal provvedimento impugnato,
,che dà conto, in particolare, di quanto riferito dalle persone offese, si evince
che non vi fu da parte dell’indagato un comportamento costrittivo ma una
condotta di pressione e di persuasione, che non attinse la soglia della minaccia
e che lasciò ai privati una certa libertà di autodeterminazione, incompatibile con
la configurabilità del tentativo di concussione. D’altronde, qualificare la
fattispecie concreta in disamina come tentativo di induzione indebita prevista
dagli artt.

56-319-quater cod. pen. non implica la necessità dell’ulteriore

requisito, di cui il giudice a quo rileva l’insussistenza, costituito dal
perseguimento di un indebito vantaggio da parte dei privati. Questo requisito,
giustifica – in coerenza con i principi fondamentali del diritto penale e con i
valori costituzionali in tema di colpevolezza, pretesa punitiva dello Stato,
proporzione e ragionevolezza – la punibilità dell’indotto che abbia dato o
promesso l’utilità al pubblico ufficiale, secondo quanto sottolineato, nella
pronuncia poc’anzi richiamata, dalle Sezioni unite, secondo cui esso assurge al
rango di “criterio di essenza” della fattispecie induttiva. L’elemento in disamina
si colloca dunque nell’ottica di una interpretazione costituzionalmente orientata
e funzionale alla salvaguardia dell’esigenza, imposta dall’art 27 Cost., di
giustificare la punibilità del privato, che cede alle richieste dell’agente pubblico
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infatti nell’abuso induttivo posto in essere dal pubblico ufficiale o dall’incaricato

non perchè coartato e vittima del “metus”, nella sua accezione più pregnante,
ma perché attratto dalla prospettiva di conseguire un indebito vantaggio. Ne
deriva che tale requisito in esame è necessario solo nell’ipotesi della
consumazione del reato di cui all’art 319-quater cod. pen. e non anche in quella
del tentativo. Il destinatario della condotta di abuso induttivo, infatti, ove si sia
determinato a dare o a promettere l’utilità al pubblico ufficiale, pur disponendo,
a differenza del concusso, di ampi margini discrezionali, è punibile per aver
prestato acquiescenza alla richiesta di prestazione non dovuta in quanto

che lo pone in una posizione di complicità con il pubblico agente e lo rende
meritevole di sanzione. Quando invece, come nel caso sub iudice, il privato non
dia o non prometta denaro o altra utilità al pubblico ufficiale, resistendo alle
illecite richieste di quest’ultimo, viene meno la ratio che si colloca a
fondamento del requisito del perseguimento di un indebito vantaggio da parte
del destinatario della condotta induttiva, che pertanto esula dal paradigma
delineato dalla norma incriminatrice. Qualora dunque l’agente pubblico,
abusando della sua qualità o dei suoi poteri , compia atti idonei diretti in modo
non equivoco a indurre il privato a dare o a promettere indebitamente
un’utilità, senza riuscire nel suo intento, perché, l’evento non si verifica per la
resistenza del privato, il requisito del perseguimento , da parte di quest’ultimo,
di un indebito vantaggio rimane estraneo alla struttura della norma
incriminatrice di cui agli artt 56-319-quater cod. pen.
2.2. La fattispecie concreta in esame è dunque effettivamente da
qualificarsi nei termini del reato di cui agli artt 56-319-quater cod. pen., ma
anche quest’ultimo delitto ammette la custodia cautelare, onde l’accoglimento
della censura, pur comportando un alleggerimento della posizione
procedimentale dell’indagato, trattandosi di un reato meno grave, non influisce
sulla legittimità della misura custodiale.
2.3. Esula poi dalla fattispecie contestata, come esattamente rilevato dal
Tribunale, la previsione incriminatrice di cui all’art 322, quarto comma, cod.
pen. Ricorre infatti il tentativo di induzione indebita e non l’istigazione alla
corruzione da parte del pubblico ufficiale laddove l’ agente, abusando della sua
qualità o dei suoi poteri, eserciti sul destinatario una pressione di tipo
psicologico superiore rispetto a quella conseguente alla mera richiesta o
sollecitazione e idonea a determinare nel soggetto passivo uno stato di
soggezione. Ricorre invece la mera sollecitazione punibile a norma dell’art. 322,
quarto comma, cod. pen., allorché l’ agente proponga al privato, esplicitamente
o implicitamente, un semplice scambio di vantaggi o di favori, senza ricorrere a
particolari argomenti di persuasione e soprattutto senza alcun tipo di minaccia

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motivato dalla prospettiva di conseguire un indebito tornaconto personale: ciò

diretta o indiretta, posta in essere dal pubblico ufficiale con abuso della sua
qualità o dei suoi poteri: il rapporto tra i due soggetti si colloca cioè in una
dimensione paritetica (Cass. Sez. VI, 4 aprile 2012, Falbo). La condotta di
sollecitazione, prevista dall’ultimo comma dell’art 322 cod. pen., copre dunque
uno spazio autonomo, che si distingue tanto dalla costrizione di cui all’art 317
cod. pen. quanto dall’induzione di cui all’art

319-quater cod. pen. Essa si

qualifica come una richiesta formulata dal pubblico agente senza esercitare
pressioni o suggestioni che tendano a piegare il privato, alla cui libertà di scelta

dall’assenza di minaccia diretta o indiretta e da ogni ulteriore abuso della
qualità o dei poteri (Cass. Sez. VI, 4 febbraio 2014, Pigozzo).
Orbene, nel caso in esame, il giudice a quo ha escluso la ravvisabilità di
una posizione di parità tra il privato e il pubblico ufficiale, rilevando come dalle
conversazioni riferite dal Marchetti e dall’Offreda si evinca che il Sindaco era in
una posizione di supremazia e che faceva valere tale posizione, al fine di
ottenere per sé un vantaggio indebito. Di qui l’esclusione della fattispecie di cui
all’art. 322 cod pen.

3.Non può essere accolto nemmeno il quarto motivo di ricorso, avendo il
Tribunale dato atto, nel contesto di un apparato giustificativo esente da vizi
logico-giuridici, dell’esistenza, nella richiesta e nel decreto autorizzativo, di una
congrua ed esauriente motivazione, in merito alla necessità di disporre
l’espletamento di intercettazioni telefoniche, al fine di accertare le gravi illiceità
che avevano connotato la gestione dell’affidamento dei lavori relativi alla bonifica
del sito in questione, potendosi ragionevolmente escludere che le persone
coinvolte nella vicenda fossero disponibili, in una eventuale audizione di fronte
agli inquirenti, a dichiarare il vero e potendosi invece ritenere altamente
verosimile che i soggetti interessati potessero commentare al telefono la vicenda
oggetto di indagine.
4.11 quinto motivo di ricorso è infondato poiché la giurisprudenza prevalente,
condivisa dal Collegio, esclude la riconducibilità alla nozione di privata dimora
dell’abitacolo di un autoveicolo, che, in quanto spazio destinato per natura al
trasporto dell’uomo o di oggetti e non ad abitazione, non può essere considerato
luogo di privata dimora, perché sfornito dei conforti minimi necessari per potervi
risiedere, in modo stabile, per un apprezzabile lasso di tempo. Né esso può
considerarsi appartenenza di privata dimora, in quanto non collegato in un
rapporto funzionale di accessorietà o di servizio con alcuna privata dimora (Cass.
Sez I ,n. 13879 del 24-2-2009, rv. 243556; Sez VI n. 4125 del 17-10-2006, rv.

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viene prospettato, su basi paritarie, un semplice scambio di favori, connotato

235601; Sez V, n. 43426 del 25-5-2004, rv. 230096; Sez. I, n. 32851 del 6-52008, rv. 241229).
5.Anche il sesto e il settimo motivo di ricorso sono infondati. Il Tribunale ha
evidenziato che la richiesta di accesso era stata depositata presso la segreteria
del pubblico ministero in data 16/12/2013 e il giorno successivo la Procura aveva
autorizzato la visione dei brogliacci. Il difensore dell’indagato si era recato, a tal
fine, presso gli uffici della Sezione di polizia giudiziaria della Procura di
Frosinone, dove gli erano stati messi a disposizione i nastri e i brogliacci.

rinunciato, esaminando solo il fascicolo procedimentale, come da relazione di
servizio del responsabile della Sezione di polizia giudiziaria, in data 18 dicembre
2013. Da ciò si evince che la richiesta di visione dei brogliacci e di ascolto delle
intercettazioni, depositata dalla Difesa, era stata immediatamente soddisfatta dal
Pubblico ministero, che aveva messo subito il difensore in condizione di
esercitare i propri diritti.
6.L’ultimo motivo di ricorso esula, a norma dell’art. 606, comma 3, cod.
proc. pen., dalle censure dal nunnerus clausus delle censure deducibili in sede di
legittimità, poiché la valutazione delle esigenze cautelari di cui all’art 274 cod.
proc. pen. integra un giudizio di merito che, se supportato da motivazione
congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell’iter logico-giuridico seguito dal
giudicante e delle ragioni del decisum, è insindacabile in cassazione 1996, Al
riguardo ,il Tribunale ha evidenziato che il Sorge ha manifestato una particolare
abilità e professionalità nel commettere le azioni delittuose a lui ascritte e nel
cercare di occultare le proprie responsabilità, esercitando evidenti pressioni sulle
persone offese; intervenendo, con i suoi poteri, in un ambito che non gli
spettava, essendo il subappalto di stretta pertinenza degli organi amministrativi
del Comune; dimostrando notevoli capacità di influenzare e controllare le
persone intorno a lui, abusando della propria posizione di vertice in seno
all’amministrazione comunale e piegando l’esercizio delle pubbliche funzioni al
raggiungimento dei propri illeciti fini, anche per i rilevanti interessi economici dei
quali egli continua ad essere portatore, pur dopo l’elezione a Sindaco. Sotto il
profilo del pericolo di inquinamento probatorio, il Tribunale sottolinea come il
Sorge abbia ripetutamente cercato di venire a conoscenza dello stato delle
indagini, prestando particolare attenzione a non essere intercettato e così
dimostrando di essere a conoscenza della presenza di microspie nel suo ufficio e
di avere quindi contatti con persone all’interno dell’apparato investigativo. Egli
ha altresì ampio controllo sugli uffici comunali, almeno quelli nevralgici, come
l’ufficio tecnico, preposto al settore degli appalti e diretto dall’architetto Tucci,

9

Tuttavia, considerata l’enorme mole di telefonate, il legale aveva espressamente

che ha manifestato, in più occasioni, di essere etero diretto e comunque in
costante contatto con il Sindaco. Ancora nel 2013, quest’ultimo cercò di impedire
l’accertamento, da parte degli organi inquirenti, delle proprie condotte illecite.
6.1.Trattasi di motivazione adeguata ed esente da vizi logico-giuridici, in
quanto ancorata a specifiche circostanze di fatto dalle quali il pericolo per
l’acquisizione o la genuinità della prova è stato desunto. Il pericolo de quo deve
infatti essere concreto e va identificato in tutte quelle situazioni dalle quali sia
possibile inferire, secondo la regola dell’id quod plerumque accidit, che l’indagato

ricerca o inquinandone le fonti, senza che sia necessario che il giudice indichi con
precisione gli atti da espletare o gli accertamenti da svolgere (Cass. Sez V n.
20146 del 12-3-2004, Tanzi). Analoghe considerazioni ineriscono alle esigenze
cautelari di cui all’art 274 lett c) cod proc. pen., avendo il giudice del merito
assolto all’obbligo di individuare, in modo puntuale e dettagliato, gli elementi atti
a denotare l’attualità e la concretezza del pericolo di reiterazione criminosa, non
fronteggiabile con misure meno gravose di quella disposta (Cass. Sez. IV, 24-51996, Aloè, rv. 205306); con esclusione di ogni presunzione o congettura (Cass.
Sez. VI 19-9-1995, Lorenzetti) e specificando i termini dell’attuale ed effettiva
potenzialità di commettere determinati reati e cioè la disponibilità di mezzi e la
possibilità di fruire di circostanze che renderebbero altamente probabile la
ripetizione di delitti della stessa specie (Cass. Sez. V 28-11-1997, Filippi, rv.
209876; Cass. Sez. I 9-6-1995, Biancato, rv. 202259). In ordine alla scelta della
misura e all’indicazione delle ragioni per le quali eventuali misure gradate sono
state ritenute inidonee a salvaguardare le esigenze cautelari ravvisabili nel caso
il giudice a quo ha sottolineato che, per la professionalità a delinquere e per la
capacità di controllo e di influenza sugli altri dimostrata dal Sorge, misure di
carattere extramurale non appaiono adeguate. In particolare, la misura degli
arresti domiciliari presuppone che l’indagato spontaneamente rispetti le
prescrizioni imposte dall’autorità, condizione che il Sorge non appare essere in
grado di soddisfare, tenuto conto della scaltrezza e abilità dimostrata nell’eludere
le investigazioni, attivando schede falsamente intestate ad altre persone e
parlando in maniera tale che le sue conversazioni non potessero essere
intercettate. Trattasi di iter giustificativo immune da vizi logico giuridici, in
quanto conforme ad una corretta impostazione concettuale, in tema di
motivazione del provvedimento cautelare, segnatamente in relazione al
parametro di cui all’art 275 cod. proc. pen.
Il ricorso va dunque rigettato, poiché basato su motivi infondati, con
conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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possa realmente turbare il processo formativo della prova, ostacolandone la

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, all’udienza dell’11-4-2014.

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