Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32240 del 02/07/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 32240 Anno 2014
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: CAPOZZI ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GALLO CLAUDIO CARLO N. IL 12/08/1967
avverso la sentenza n. 2752/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
25/09/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 02/07/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANGELO CAPOZZI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. A Utto P9 (,(c, STO
che ha concluso per ) r 4to 4,.ftereors,o

Udito, per la parte civile, l’Avv
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Data Udienza: 02/07/2014

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Considerato in fatto e ritenuto in diritto

1.

Con sentenza dei 25.9.2013 la Corte di appello di Milano, a seguito
di gravame interposto dall’imputato GALLO Claudio Carlo avverso la
sentenza emessa il 7.2.2013 dal Tribunale della stessa città, ha
confermato detta sentenza con la quale l’imputato è stato riconosciuto

cui agli artt. 110/416 bis c.p. perché, quale assistente della polizia
penitenziaria in servizio presso la Casa circondariale di Pavia forniva
consapevolmente

apporto

esterno

all’associazione

mafiosa

‘ndraghetistica nella sua articolazione della «locale di Legnano-Lonate
Pozzolo», garantendo – quantomeno a partire dal 2010 – costanti e
stabili rapporti tra i membri del sodalizio detenuti MANCUSO Luigi e
FILIPPELLI Nicodemo e MAGARACI Alessandro ; contribuendo
consapevolmente alla circolazione di informazione tra gli esponenti
mafiosi detenuti e quelli in libertà e, quindi, al mantenimento in vita dei
legame associativo, fornendo in tal modo un prezioso apporto al
rafforzamento e alla conservazione dell’associazione; nonché (capo 3) al
reato di cui agli artt. 319 c.p. – 7 I.n. 203/91 per aver ricevuto in più
occasioni da MANCUSO Luigi somme complessivamente dell’importo di
circa euro 2.000,00 per compiere ed aver compiuto atti contrari ai
doveri di ufficio consistiti nel garantire, quantomeno a partire dal 2010,
stabili e costanti rapporti tra gli affiliati detenuti e quelli in libertà
veicolando in modo riservato all’interno ed all’esterno del carcere
missive e/o messaggi verbali e scritti, avendo commesso il fatto al fine
di agevolare il predetto sodalizio criminoso `ndranghetistico.
2.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato, a
mezzo del difensore, che deduce:

2.1.

illogicità della motivazione e travisamento della prova, nonché
errata applicazione della legge penale in relazione agli artt. 192 e 234
c.p.p., con riferimento alla produzione in giudizio della sentenza
assolutoria emessa nei confronti di MAGARACI Alessandro. La Corte
territoriale, in contraddizione con l’assunto secondo il quale il GALLO
avrebbe fatto da stabile cerniera tra gli affiliati detenuti MANCUSO e
FILIPPELLI ed il loro sodale MAGARACI, – all’esito della assoluzione di
quest’ultimo -, ha negato che fosse decisivo doverne qualificare;
giuridicamente la figura. Inoltre, la Corte avrebbe omesso di considerare

1

colpevole e condannato a pena di giustizia in ordine (capo 2) al reato di

I
la predetta sentenza assolutoria per il portato probatorio favorevole che
rappresentava nei confronti dell’imputato;
illogicità della motivazione; erronea qualificazione giuridica dei

2.2.

fatto; errata applicazione della legge penale in relazione agli
artt.110,416bis c.p. e 378 co. 2 c.p., 192 c.p.p. e violazione dell’«oltre
ogni ragionevole dubbio». In particolare, la Corte avrebbe posto a
base della affermazione di responsabilità elementi non forniti di certezza

quali la difesa aveva offerto debita ed alternativa ricostruzione ( ad es.
chiave interpretativa della omosessualità del ricorrente per spiegare
determinati episodi). Si censura, inoltre, la stessa ipotizzabilità in
astratto del c.d. concorso esterno che, in ogni caso, non sarebbe
ravvisabile in capo al ricorrente, al quale sarebbe estranea sia qualsiasi
organicità che consapevolezza di agevolare una associazione di stampo
mafioso, risultando per contro, ravvisabile il diverso reato ex art. 378
co. 2 c.p.;
2.3.

illogicità della motivazione in ordine alla determinazione della
pena e violazione dell’art. 133 c.p., siccome viziata da una inesatta
individuazione della pena di partenza / che si discosterebbe dai parametri
effettivi da applicarsi al caso di specie e senza motivazione. Non si
comprenderebbe, inoltre, perché non sia stata riconosciuta al ricorrente
l’attenuante di cui all’art. 8 I.n. 203/91, pur in presenza della sua
collaborazione auto-accusatoria.

3.

Il ricorso è infondato.

4.

Il primo motivo è infondato.

4.1.

Quanto alla portata probatoria della sentenza non definitiva, è
stato insegnato da questa Corte che la sentenza pronunciata in altro
procedimento penale e non ancora irrevocabile è da considerare
documento e può essere utilizzata come prova dei fatti documentali da
essa rappresentati (Cass. Sez. 5, n. 11905 del 22/01/2010, D.R. e altri,
Rv. 246550), ravvisati, nella specie, nella iscrizione di un procedimento
penale nei confronti della persona offesa per fatti connessi a quelli
oggetto del giudizio; ancora, quantunque le sentenze pronunciate in altri
procedimenti penali e non ancora divenute irrevocabili, da considerare
documenti, possano essere utilizzate come prova solo per i fatti
documentali in esse rappresentati, ma non anche per la ricostruzione dei
fatti e la valutazione delle prove in esse contenute, non è precluso al
giudice che si avvalga degli elementi di prova acquisiti al processo, di

2

probatoria ( ad es. utilizzo della cabina telefonica pubblica) o rispetto ai

4

ripercorrere gli itinerari valutativi tracciati in quelle sentenze, fermo
restandone

il

dovere di sottoporre gli elementi di prova di cui

legittimamente dispone ad autonoma valutazione critica, secondo la
regola generale prevista dall’art. 192, comma primo, cod. proc. pen.
(Cass. Sez. 1, n. 46082 del 09/10/2007, Lago e altri, Rv. 238167; Cs
Sez. 6, n. 33519 del 04/05/2006, Acampora e altro, Rv. 234400).
4.2. La

Corte territoriale si è attenuta

all’alveo di legittimità

definitiva – del MAGARACI in ordine alla sua partecipazione associativa.
Invero, essa ha correttamente ritenuto di non riconoscerle la valenza
attribuitagli dalla difesa, osservando – da un lato – che tutti i dati di
fatto considerati nella sentenza di primo grado avevano trovato positivo
accertamento anche nell’ambito del processo all’esito del quale era stata
pronunciata l’assoluzione e – dall’altro – che la valutazione della loro
idoneità a giustificare l’appartenenza associativa del MAGARACI (la cui
posizione è analiticamente vagliata a pg. 58 e ss. della sentenza di
primo grado) non vincolava la Corte. Valutazione del tutto congrua
anche rispetto al ruolo di collegamento svolto dal ricorrente tra i mafiosi
detenuti e quelli liberi, rappresentando – comunque- il MAGARACI, uomo
di fiducia dell’affiliato detenuto MANCUSO, una espressione fiduciaria del
contesto criminale.
4.3.

Del tutto generica, ancora, si palesa la pretesa violazione in tema
di valutazione probatoria della predetta sentenza, in quanto essa non ne
specifica il contenuto e, in ogni caso, non potendo questo ricomprendere
– né essendo questa rilevante – la valutazione giuridica delle condotte
del MAGARACI.

5.
5.1.

Il secondo motivo è infondato.
In tema di associazione di tipo mafioso, assume il ruolo di
“concorrente esterno” il soggetto che, non inserito stabilmente nella
struttura organizzativa dell’associazione e privo dell'”affectio societatis”,
fornisce un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo,
sempre che questo esplichi un’effettiva rilevanza causale e quindi si
configuri come condizione necessaria per la conservazione o il
rafforzamento delle capacità operative dell’associazione (o, per quelle
operanti su larga scala come “Cosa nostra”, di un suo particolare settore
e ramo di attività o articolazione territoriale) e sia diretto alla
realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima;
inoltre, ai fini della configurabilità del concorso esterno occorre che ..il

3

richiamato in relazione alla produzione della sentenza assolutoria – non

dolo investa sia il fatto tipico oggetto della previsione incriminatrice, sia
il contributo causale recato dalla condotta dell’agente alla conservazione
o

al rafforzamento dell’associazione, agendo l’interessato nella

consapevolezza e volontà di recare un contributo alla realizzazione,
anche parziale, del programma criminoso del sodalizio (Cass. Sez. U, n.
33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231671;conformi, Cass. Sez. 6, n.
29458 del 26/06/2009, Anzelmo, Rv. 244471; Sez. 6, n. 47081 del
24/10/2013, Malaspina,Rv. 258028;Sez. 6, Sentenza n. 49820 del

Imbalzano, Rv. 258807).
5.2.

Quanto alla specifica rilevanza penale della realizzazione e del
mantenimento di «canali informativi» tra mafiosi detenuti o latitanti
e sodali liberi, in più occasioni è intervenuta la giurisprudenza di
legittimità. Questa Corte ha ritenuto configurabile il concorso esterno a
carico delle persone che avevano curato la trasmissione di messaggi – i
c.d. pizzini – tra uno dei capi dell’associazione mafiosa, latitante da
lungo tempo, ed un rappresentante di spicco della stessa, detenuto, in
quanto tali condotte avevano fornito un contributo consistente
all’associazione – garantendo agli esponenti di vertice di “Cosa Nostra” di
mantenerne la gestione anche in situazioni di difficoltà quali la latitanza
e la detenzione – e sussisteva la piena consapevolezza di recare aiuto
all’intera organizzazione in capo agli autori delle condotte, a conoscenza
del ruolo ricoperto all’interno dell’organizzazione dal soggetto ristretto in
carcere, per effetto del vincolo di parentela ed affinità con quest’ultimo,
vincolo che aveva legittimato la continua ammissione ai colloqui nella
casa circondariale. Ed ha statuito il principio di diritto secondo il quale,
affinchè risulti integrato il concorso esterno, gli effetti delle condotte dei
soggetti agenti devono risultare utili per l’intera associazione, e non solo
per qualche suo componente, come nell’ipotesi di mero favoreggiamento
personale (Cass.Sez. 1, n. 1073 del 22/11/2006,Alfano e altri,Rv.
235855). Nell’ambito di una fattispecie relativa alla moglie del capo di
una cosca ristretto da lungo tempo in carcere, è stato ritenuto integrare
il delitto di partecipazione ad una associazione mafiosa la condotta di
colui che assolve il compito di far circolare ordini ed informazioni tra
accoliti detenuti ed accoliti in libertà (Cass.Sez. 2,n. 13506 del
28/02/2013,Bonaddio,Rv. 255731); ancora, è stato ritenuto integrare il
reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, e non la meno
grave fattispecie di favoreggiamento personale, la condotta del

4

05/12/2013,Billizzi e altri, Rv. 258137;Sez. 6, n. 8674 del 24/01/2014,

soggetto, estraneo all’associazione, che faccia da “corriere” tra un
latitante e altri membri del sodalizio criminale, mediante la consegna di
messaggi inerenti alle attività delittuose del gruppo (Cass. Sez. 1,n. 54
del 11/12/2008,Sarracino, Rv. 242577).
La Corte territoriale ha correttamente applicato il richiamato
insegnamento di legittimità, senza vizi logici, confermando – sulla base
dell’analitico accertamento condotto dalla conforme sentenza di primo
grado – la responsabilità del ricorrente in ordine al concorso esterno alla
compagine `ndraghetistica (della quale è stata accertata la esistenza ed
operatività – v., in particolare, pg. 4 e ss. della sentenza di primo grado)
individuandola nella sua fattiva e costante collaborazione manifestata
attraverso la trasmissione di messaggi, anche contenenti disposizioni di
pagamento, mediante gli stabili e continui rapporti con il MAGARACI,
anche tramite la triangolazione di contatti con FILIPPELLI Cataldo
Gaetano (v. analitico esame dei contatti, fatti anche di improvvisi ed
urgenti appuntamenti aventi ad oggetto consegne di messaggi verbali e
scritti coinvolgenti soggetti terzi – v. pg. 75 e ss. nonchè, in particolare,
pg. 96 e ss. della sentenza di primo grado). Condotte correttamente
ritenute espressive di una «messa a disposizione» del ricorrente che
ha strumentalizzato le proprie funzioni di assistente di polizia
penitenziaria, costituendo un essenziale anello di collegamento tra gli
affiliati MANCUSO e FILIPPELLI, detenuti in reparto di alta sicurezza, e
quelli in libertà in tal modokgarantendo i rapporti con i referenti esterni
ed il conseguente rafforzamento dell’associazione ‘ndranghetistica,
contribuendo a superare la crisi indotta dai numerosi avvenuti arresti
(l’analitica disamina del contributo causale e della sua consapevolezza
da parte del ricorrente è condotta a pg. 116 e ss. della sentenza di
primo grado); non mancando di notare la stessa sentenza il
mantenimento da parte

del

ricorrente di rapporti con lo stesso

MAGARACI anche dopo il trasferimento dei detenuti dal carcere di Pavia.
Collaborazione e «messa a disposizione» di spessore tale da indurre
la Corte territoriale ad affermare la posizione del ricorrente prossima a
quella di un vero e proprio associato, distinguendosi solo per la mancata
formale affiliazione al gruppo criminale. Rispetto al quale, inoltre, il
grado di consapevole compenetrazione è non illogicamente desunto
anche dal coinvolgimento del ricorrente, da parte dello stesso
MANCUSO, in una operazione di vendita di svariati beni sottratti ad una
azienda prossima al fallimento (v.,in particolare, la ricostruzione della

5

5.3.

vicenda alle pg. 106 e ss. della sentenza di primo grado), nonché dal
patto corruttìvo stretto in favore della cosca (in ordine al cui contenuto è
stato Io stesso ricorrente a confermarne fa esistenza – v. pg. 108 sent.
di primo grado).
Del tutto generica ed in fatto è la doglianza relativa alla

5.4.

considerazione di fatti non provati o passibili di interpretazioni
alternative.

Dei primi, genericamente criticati, non si manifesta

la

giustificazione della loro non condivisione, senza essere attaccata dal
ricorso.
5.5.

Anche la doglianza sul mancato riconoscimento della diversa
ipotesi di favoreggiamento si pone in termini di assoluta genericità
rispetto alla motivazione resa„ che espressamente ne ha escluso la
ricorrenza in adesione all’insegnamento di legittimità richiamato e senza
vizi logici rispetto alla compiuta ricostruzione dei rapporti mantenuti dal
ricorrente ed al consapevole contributo prestato alla compagine
associativa diramando all’esterno le disposizioni degli affiliati detenuti,
ed osservandosi dalla sentenza anche il difetto, nella specie, di qualsiasi
finalità elusiva di investigazioni e ricerche.

6.

Il terzo motivo è infondato e, in parte, inammissibile. Alla dedotta
eccessività della pena la Corte territoriale – nell’ambito del potere
discrezionale demandatogli -, senza vizi logici e giuridici, ha valutato la
equità, anzi, la mitezza della pena inflitta, consentita solo dal
comportamento processuale dell’imputato, non ulteriormente riducibile
nelle sue componenti di pena base ed aumento per la continuazione
attesa la oggettiva gravità dei reati ed la sua prosecuzione nel tempo;
nulla era, invece, stato prospettato in appello relativamente alla
attenuante speciale.

7.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente ai pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, 2.7.2014.

decisività; in ordine alle seconde, la sentenza dà compiuta

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