Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32237 del 09/04/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 32237 Anno 2013
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: GALLO DOMENICO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
ROMANO ALFONSO N. IL 15/04/1985
avverso la sentenza n. 5907/2007 CORTE APPELLO di ROMA, del
08/11/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. DOMENICO GALLO;

Data Udienza: 09/04/2013

RITENUTO IN FATTO

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto fondato su motivi non consentiti nel giudizio per
cassazione e comunque manifestamente infondati.
Per quanto riguarda il primo motivo con il quale l’imputato contesta il valore degli
elementi di prova a suo carico, il ricorso costituisce, con tutta evidenza, reiterazione delle
difese di merito ampiamente e compiutamente disattese dai giudici del merito, oltre che
censura in punto di fatto della sentenza impugnata, inerendo esclusivamente alla
valutazione degli elementi di prova ed alla scelta delle ragioni ritenute idonee a giustificare
la decisione, cioè ad attività che rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il
cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità se sorretto, come nel caso in esame,
da adeguata e congrua motivazione esente da vizi logico-giuridici.
Ugualmente inammissibili sono le censure in merito al trattamento sanzionatorio in
quanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nell’ipotesi in cui la determinazione della
pena non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, il giudice ottempera all’obbligo
motivazionale di cui all’art. 125, comma terzo, cod.pen., anche ove adoperi espressioni
come “pena congrua”, “pena equa”, “congruo aumento”, ovvero si richiami alla gravità del
reato o alla personalità del reo (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 33773 del 29/05/2007 Ud. (dep.
03,09/2007 ) Rv. 237402). E’ stato, poi, ulteriormente precisato che la specifica e dettagliata
motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o
aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla
misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto
dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. le espressioni del tipo: “pena congrua”,
“pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla
capacità a delinquere (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 36245 del 26406/2009 Ud. (dep. 18/09/2009)
Rv. 245596). Nel caso di specie la pena inflitta è molto al di sotto della misura media di
quella edittale. Pertanto nessuna censura può essere mossa, sotto questo profilo alla
sentenza impugnata.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al
pagamento delle spese del procedimento, nonché al pagamento a favore della Cassa delle
ammende di una somma che si stima equo determinare in euro 1.000,00 (mille/00).

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Così deciso, il 9 aprile 2013

DEPOSITATA

Con sentenza in data 8/11/2011, la Corte di appello di Roma, confermava la sentenza del Gup
presso il Tribunale di Roma, in data 27 aprile 2007, che aveva condannato Romano Alfonso
alla pena di anni uno, mesi quattro di reclusione ed C. 400,00 di multa per il reato di tentativo
di rapina aggravata.
Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato deducendo vizio della motivazione in
relazione alla ritenuta responsabilità dell’imputato per il reato a lui ascritto e dolendosi
dell’entità della pena inflitta.

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