Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32235 del 09/04/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 32235 Anno 2013
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: GALLO DOMENICO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
TERLIZZI ARMANDO N. IL 05/08/1965
avverso la sentenza n. 5316/2011 CORTE APPELLO di ROMA, del
31/10/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. DOMENICO GALLO;

Data Udienza: 09/04/2013

RITENUTO IN FATTO

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto fondato su motivi non consentiti nel giudizio per
cassazione e comunque manifestamente infondati.
Le censure, in punto di sussistenza degli estremi del reato di cui all’art. 489 cod. pen.
postulano, al di là dei vizi formalmente denunciati, una rivalutazione di merito di risultanze
processuali già esaurientemente e coerentemente esaminate dalla sentenza impugnata nella
operata ricostruzione dei fatti e nella puntuale indicazione degli elementi confermativi
dell’accusa formulata e risultano, pertanto, inammissibili.
Ugualmente inammissibili (infondate) sono le censure in merito al trattamento
sanzionatorio in quanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nell’ipotesi in cui la
determinazione della pena non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, il giudice
ottempera all’obbligo motivazionale di cui all’art. 125, comma terzo, cod.pen., anche ove
adoperi espressioni come “pena congrua”, “pena equa”, “congruo aumento”, ovvero si
richiami alla gravità del reato o alla personalità del reo (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 33773 del
29/05/2007 Ud. (dep. 0309/2007 ) Rv. 237402). E’ stato, poi, ulteriormente precisato che la
specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in
relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di
gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere
sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. le espressioni del
tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravità
del reato o alla capacità a delinquere (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 36245 del 26,06/2009 Ud.
(dep. 18,09/2009) Rv. 245596). Nel caso di specie la pena inflitta è molto al di sotto della
misura media di quella edittale. Pertanto nessuna censura può essere mossa, sotto questo
profilo alla sentenza impugnata.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al
pagamento delle spese del procedimento, nonché — ravvisandosi profili di colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità — al pagamento a favore della Cassa delle
ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza
n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in euro 1.000,00
(milleP0).

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Così deciso, il 9 aprile 2013

DEPOSITATA t

Con sentenza in data 31/10/2011, la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della
sentenza del Tribunale di Roma, in data 20 maggio 2010, esclusa la recidiva e riconosciuta
l’ipotesi lieve di cui all’art. 648, Il comma, cod. pen., riduceva la pena inflitta a Terlizzi
Armando per i reati di ricettazione, uso di contrassegno falso ed evasione, rideterminandola
in mesi nove di reclusione ed C. 350,00 di multa .
Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato deducendo violazione di legge in relazione
al reato di cui all’art. 489 cod. pen. e dolendosi della dosimetria della pena

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