Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32231 del 15/07/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 32231 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
THARTORI LEONARD N. IL 12/05/1986
avverso l’ordinanza n. 81/2014 TRIB. LIBERTA’ di ANCONA, del
14/03/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO;
bantsentite le conclusioni del PG Dott.

M. Giuseppina Fodaroni, che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso;

N
i ensofAvvi3

Data Udienza: 15/07/2014

RITENUTO IN FATTO

1. In data 14/03/2014 il Tribunale di Ancona, in funzione di giudice del
riesame, ha confermato l’ordinanza di rigetto dell’istanza di sostituzione della
misura della custodia in carcere pronunciata il 20/02/2014 dal Giudice per le
indagini preliminari presso il Tribunale di Pesaro nei confronti di Thartori Leonard
in relazione ad un procedimento in cui risulta contestato il reato di detenzione a
fini di spaccio di gr.758,86 di sostanza stupefacente del tipo cocaina,

tre e mesi quattro di reclusione oltre alla multa.

2. Ricorre per cassazione, con atto sottoscritto dal difensore, Leonard
Thartori, censurando l’ordinanza impugnata con unico, articolato, motivo per
violazione di legge ed omessa motivazione in relazione agli artt.276, comma iter, e 292, comma 2, lett.c-bis) cod. proc. pen. Premesso che l’ordinanza
impugnata ha rigettato la domanda rimarcando come fosse stata recentemente
emessa sentenza di condanna per il reato di evasione e considerando
obbligatorio l’aggravamento della misura degli arresti domiciliari in caso di
allontanamento dal domicilio, il ricorrente lamenta che il giudice del riesame non
abbia vagliato la concreta portata lesiva, rispetto alle esigenze cautelari
tutelabili, della condotta di evasione da lui posta in essere, non privando tale
condotta il giudice del potere di apprezzare la trasgressione in concreto
realizzata per verificarne il carattere di effettiva lesività.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. La questione di diritto sottoposta all’esame di questa Corte concerne
l’ambito di operatività dell’art.276, comma 1-ter, cod.proc.pen., a mente del
quale “In deroga a quanto previsto nel comma 1, in caso di trasgressione alle
prescrizione degli arresti domiciliari concernenti il divieto di non allontanarsi dalla
propria abitazione o da altro luogo di privata dimora, il giudice dispone la revoca
della misura e la sua sostituzione con la custodia cautelare in carcere”, in
relazione alla domanda di sostituzione della custodia cautelare in carcere già
disposta a seguito di allontanamento dall’abitazione ove era in esecuzione la
misura degli arresti domiciliari.
2.1. Ricorre, in effetti, nella giurisprudenza di questa Corte la massima
secondo la quale la revoca obbligatoria degli arresti domiciliari, prevista dall’art.
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attualmente definito in primo grado con sentenza di condanna alla pena di anni

276, comma 1-ter, cod. proc. pen. per l’inosservanza delle prescrizioni degli
arresti domiciliari concernenti il divieto di non allontanarsi dalla propria
abitazione, impone al giudice di verificare l’effettiva lesività e le caratteristiche
strutturali della condotta dell’indagato, che deve in concreto essere qualificata
come una effettiva trasgressione (Sez. 3, n.28606 del 06/06/2012, Cavalli,
Rv. 253061; Sez. 6, n.21487 del 18/02/2008, Matera, Rv. 240065); tanto al fine
di escludere che condotte oggettivamente qualificabili in termini di
allontanamento dall’abitazione, o di mancato rientro, comportino

esame delle ragioni giustificative della condotta medesima.
2.2. Sotto tale profilo, può condividersi l’assunto del ricorrente in merito alla
necessità che il giudice investito della domanda di aggravamento ai sensi
dell’art.276, comma 1-ter, cod.proc.pen. non possa esimersi dall’esaminare le
peculiarità del caso concreto in relazione al principio di adeguatezza sotteso
all’applicazione della misura più afflittiva.

3. Tale assunto risulta, tuttavia, inconferente nel caso concreto, posto che il
diniego di sostituzione della misura carceraria è stato fondato, oltre che sulla
gravità del fatto, desunta dalla condanna intervenuta in primo grado, sulla
pronuncia di condanna del prevenuto, nelle more intervenuta, in ordine al reato
di evasione; sulla base dei due elementi indicati, il Tribunale ha ritenuto che il
breve tempo trascorso dal provvedimento di aggravamento non consentisse di
apprezzare l’evolversi del quadro cautelare e che il ripristino della misura meno
afflittiva si sarebbe sostanziato in un aggiramento del dato normativo.
3.1. Va, in proposito, considerato che l’ambito del giudizio svolto dal
Tribunale del riesame, concernente la sostituzione della custodia cautelare in
carcere con la misura cautelare meno afflittiva degli arresti domiciliari, investe la
valutazione della natura e del grado delle esigenze cautelari da soddisfare,
nonché l’inadeguatezza della misura meno afflittiva, ancorché accompagnata da
prescrizioni, limiti o divieti ai sensi dell’art.284 cod. proc. pen.
3.2. La scelta della misura, data la pacifica sussistenza tanto di gravi indizi
di colpevolezza quanto di esigenze cautelari, deve essere improntata ai principi
di proporzionalità, adeguatezza e graduazione, che sono espressione dei principi
costituzionali dettati dagli artt. 13 e 27 Cost. L’applicazione della misura
massima della custodia in carcere obbliga poi il giudice, a pena di nullità, ad
esporre le concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze di cui all’art. 274
cod.proc.pen. non possano essere soddisfatte con altre misure (art. 292, comma
2, lett. c-bis, cod. proc. pen.); l’esposizione di tali specifiche ragioni è imposta
anche al giudice del riesame chiamato a valutare la correttezza dell’ordinanza di
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automaticamente la pronuncia del provvedimento di aggravamento, senza alcun

diniego della sostituzione della misura custodiale, considerato che tutte le norme
che disciplinano il procedimento in materia di misure cautelari devono essere
applicate ed interpretate nel rispetto del criterio del “minore sacrificio
necessario” (Corte Cost. n.255 del 4 maggio 2005), nel senso che la
compressione della libertà personale dell’indagato deve essere contenuta entro i
limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari riconoscibili nel caso
concreto (Corte Cost. n.265 del 21 luglio 2010).
3.3. La necessità di individuare quali siano le specifiche ragioni del caso

custodia carceraria risponde, più in generale, a principi affermati anche a livello
sovranazionale (Corte EDU, 2/07/2009, Vafiadis c. Grecia; Corte EDU,
8/11/2007, Lelievre c. Belgio), laddove si è confermata la natura di soluzione
estrema della carcerazione preventiva, che si giustifica solamente allorquando le
esigenze processuali o extraprocessuali non possano essere soddisfatte con
misure di minore incisività.
3.4. In assenza di allegazioni diverse dall’esigenza di verificare la concreta
lesività della trasgressione, che in ipotesi avrebbero dovuto essere vagliate in
sede di impugnazione del provvedimento di aggravamento, il Tribunale ha
ritenuto di confermare il provvedimento di diniego della sostituzione della misura
in atto giustificando tale decisione con l’intervenuta condanna dell’imputato per il
reato di evasione, con ciò mostrando di aver preso in esame esattamente il
profilo evidenziato dalle doglianze della difesa, congruamente disattese in
ragione della natura dolosa del reato per il quale era intervenuta condanna.

4. Per come argomentata, l’ordinanza impugnata risulta rispettosa dei
principi ai quali si deve ispirare il giudice della cautela, che consentono di
desumere il pericolo di recidiva dalla personalità dell’indagato, rivelata dalle
modalità e gravità del fatto e dalla vita anteatta, e che impongono di prendere in
considerazione, qualora si debba giudicare dell’inadeguatezza di misure meno
afflittive rispetto alla custodia in carcere, l’ulteriore profilo che si può descrivere
in termini di prognosi di spontaneo adempimento da parte dell’indagato agli
obblighi ed alle prescrizioni eventualmente collegati alla misura meno afflittiva. Il
Tribunale ha, infatti, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, esaminato
elementi specifici inerenti al fatto, alle motivazioni della condotta e alla
personalità del soggetto al fine di valutare il peculiare profilo della propensione
dell’imputato a non attenersi di sua spontanea volontà agli obblighi ed alle
prescrizioni finalizzate ad impedire, in regime di detenzione domiciliare, la
ricaduta nell’illecito (Sez.6, n.44904 del 23/10/2013, non massimata sul punto;
Sez.1, n.30561 del 15/07/2010, Miceli, Rv.248322; Sez.4, n.37644 del
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concreto che giustifichino il ricorso alla forma di restrizione più intensa della

30/06/2004, Rinaudo, n.m.; Sez.2, n.5699 del 21/11/1997, Primerano,
Rv.209028), spiegando altresì che il breve lasso di tempo decorso
dall’aggravamento della misura non consentisse di ipotizzare modifiche del
quadro cautelare.

5. Conclusivamente, l’ordinanza impugnata risulta aver fornito motivazione
conforme al dettato normativo, completa ed esente da illogicità con riferimento
alle ragioni per cui le circostanze concrete inerenti all’imputato inducessero a

valutazione conseguendo il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.

6. Deve essere disposto inoltre che copia del presente provvedimento sia
trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a
quanto stabilito dall’art. 94, comma 1-ter disp. att. cod.proc.pen.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa
al direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a quanto
stabilito dall’art. 94 c. 1 ter disp. att. c.p.p.

Così deciso il 15/07/2014

privilegiare il mantenimento della custodia cautelare in carcere, da tale

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