Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32220 del 27/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 32220 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PADOVANI CARLO N. IL 26/10/1979
avverso l’ordinanza n. 8015/2013 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
26/02/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO;
e:Mentite le conclusioni del PG Dott.
M. Giuseppina Fodaroni, che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso;

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rvv.,

Data Udienza: 27/06/2014

RITENUTO IN FATTO

1. In data 26/02/2014 il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del
riesame, ha rigettato l’appello proposto nell’interesse di Padovani Carlo avverso
l’ordinanza con la quale il Giudice del medesimo Tribunale aveva respinto il
14/12/2013 l’istanza volta ad ottenere la revoca o la sostituzione della misura
cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari. Trattasi di
misura cautelare applicata nel corso di un procedimento in cui Carlo Padovani è

ottobre 1990, n.309, 61 n.2, 81, comma 2, e 110 cod. pen. e 2 I. 2 ottobre
1967, n.895, 23, comma 3, I. 18 aprile 1975, n.110 e 697 cod. pen., 377 bis
cod. pen., definito con rito abbreviato in primo grado con condanna alla pena di
anni diciotto e mesi sei di reclusione ed in grado di appello con rideterminazione
della pena in anni quindici e mesi dieci di reclusione, previa esclusione
dell’aggravante di cui all’art.7 d.l. 13 maggio 1991, n.152, conv. con
modificazioni dalla 1.12 luglio 1991, n.203.

2. Ricorre per cassazione, con atto sottoscritto dal difensore, Carlo Padovani
censurando l’ordinanza impugnata con unico, articolato, motivo per violazione
degli artt.275 e 275 bis cod.proc.pen. e per vizio di motivazione. Il ricorrente
lamenta che l’ordinanza impugnata non avrebbe risposto ad alcuna delle
doglianze difensive devolute con l’atto d’impugnazione, limitandosi ad
affermazioni assertive e solo apparentemente logiche e sufficienti. La ritenuta
sussistenza di esigenze cautelari idonee a giustificare il mantenimento della
misura cautelare estrema, si assume, si fonderebbe esclusivamente
sull’osservazione della tipologia dei reati e sulla entità della pena, peraltro ridotta
a seguito del giudizio di appello. L’ordinanza, secondo il ricorrente, avrebbe
omesso di rilevare un ulteriore elemento che doveva essere preso in
considerazione, ossia l’esclusione dell’aggravante di cui all’art.7 I. d.l. 13 maggio
1991, n.152, convertito con modificazioni dalla I. 12 luglio 1991, n.203 operata
dalla Corte di Appello, e non avrebbe preso in considerazione le argomentazioni
difensive in merito al fatto che gli arresti domiciliari, con gli strumenti elettronici
di controllo previsti dall’art.275 bis cod.proc.pen., unitamente alla dislocazione
dell’abitazione in zona ben distante dagli ambienti criminogeni di provenienza,
avrebbero garantito la protezione delle esigenze cautelari con lo stesso grado di
sicurezza della detenzione inframuraria. La contestuale detenzione di tutti i
sodali, si assume, renderebbe assolutamente impossibile l’eventuale
riorganizzazione della compagine associativa; nell’ordinanza impugnata alcun
accenno vi sarebbe alla condizione detentiva cui è sottoposto il ricorrente,
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imputato, unitamente ad altri, dei reati di cui all’art.74, commi 1,2,3 e 4 d.P.R. 9

privato degli spazi vitali e della possibilità di partecipare a percorsi finalizzati alla
rieducazione; più in generale, l’ordinanza impugnata non specificherebbe con
adeguata puntualità le ragioni giustificative della misura estrema.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. L’ambito del giudizio svolto dal Tribunale del riesame, concernente la
revoca o la sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura

natura e del grado delle esigenze cautelari da soddisfare, nonché l’inadeguatezza
della misura meno afflittiva, ancorché accompagnata da prescrizioni, limiti o
divieti ai sensi dell’art.284 cod. proc. pen.
1.1. La scelta della misura, data la pacifica sussistenza di gravi indizi di
colpevolezza, deve essere improntata ai principi di proporzionalità, adeguatezza
e graduazione, che sono espressione dei principi costituzionali dettati dagli
artt.13 e 27 Cost. L’applicazione della misura massima della custodia in carcere
obbliga poi il giudice, a pena di nullità, ad esporre le concrete e specifiche ragioni
per le quali le esigenze di cui all’art. 274 non possano essere soddisfatte con
altre misure (art. 292, comma 2, lett. c bis, cod. proc. pen.); l’esposizione di tali

specifiche ragioni è imposta anche al giudice chiamato a valutare in grado di
appello la correttezza dell’ordinanza di diniego della revoca o della sostituzione
della misura custodiale, considerato che tutte le norme che disciplinano il
procedimento in materia di misure cautelari devono essere applicate ed
interpretate nel rispetto del criterio del “minore sacrificio necessario” (Corte
Cost. n.255 del 4 maggio 2005), nel senso che la compressione della libertà
personale dell’indagato deve essere contenuta entro i limiti minimi indispensabili
a soddisfare le esigenze cautelari riconoscibili nel caso concreto (Corte Cost.
n.265 del 21 luglio 2010).
1.2. La necessità di individuare quali siano le specifiche ragioni del caso
concreto che giustifichino il ricorso alla forma di restrizione più intensa della
custodia carceraria risponde, più in generale, a principi affermati anche a livello
sovranazionale (Corte EDU, 2/07/2009, Vafiadis c. Grecia; Corte EDU,
8/11/2007, Lelievre c. Belgio), laddove si è confermata la natura di soluzione
estrema della carcerazione preventiva, che si giustifica solamente allorquando le
esigenze processuali o extraprocessuali non possano essere soddisfatte con
misure di minore incisività.

2.

Nell’ordinanza impugnata, il Tribunale ha evidenziato che l’appello

riproponeva temi già sottoposti all’esame del giudice di primo grado, che a
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cautelare meno afflittiva degli arresti domiciliari, investe la valutazione della

seguito di rito abbreviato aveva condannato l’imputato alla pena di anni diciotto
e mesi sei di reclusione, aggiungendo che il 24 febbraio 2014 la Corte di Appello
aveva riformato la sentenza di primo grado determinando la pena in anni
quindici e mesi dieci di reclusione e che il contesto storico-cautelare non potesse
considerarsi infirmato da alcun serio e concreto fatto dotato di forza estintiva o
deflattiva del rilevante pericolo di recidivanza. Il Tribunale ha ritenuto che le
argomentazioni difensive, afferenti la questione dell’organizzazione e della
idoneità del sistema penitenziario a garantire le risposte di rieducazione e

dimostrare in termini di reale e tangibile effettività la sopravvenuta modificazione
della situazione cautelare, tale da legittimare una rivisitazione del giudizio di
elevata capacità delinquenziale dell’imputato, comprovato da due gradi di merito
e da un trattamento sanzionatorio esponenziale del giudizio di disvalore, anche
personologico, formulato dai giudici della cognizione.

3. Se è vero che corollario dei principi costituzionali ai quali si ispira il
sistema delle misure cautelari è l’esigenza che le condizioni e i presupposti per
l’applicazione di una misura cautelare restrittiva della libertà personale, così
come per il diniego della revoca o della sua sostituzione con una misura meno
afflittiva, siano apprezzati e motivati dal giudice sulla base della situazione
concreta, senza automatismi, alla stregua dei principi di adeguatezza,
proporzionalità e minore sacrificio, al fine di realizzare una piena
individualizzazione della coercizione cautelare, è però anche ripetutamente
affermato nella giurisprudenza di questa Corte che la prova della permanenza di
un contributo apprezzabile alla vita e all’organizzazione del gruppo criminale,
ancorché solo di carattere morale, non sia esclusa dal sopravvenuto stato
detentivo, in considerazione del fatto che, in determinati contesti delinquenziali, i
periodi di detenzione sono accettati dai sodali come prevedibili eventualità che
non impediscono possibili contatti anche in pendenza di detenzione, dunque la
partecipazione alle vicende del gruppo e alla programmazione delle sue attività,
nè fanno cessare la disponibilità a riassumere un ruolo attivo non appena venga
meno il forzato impedimento (Sez.4, n.2893 del 7/12/2005, dep.25/01/2006,
Attolico, Rv.232883), essendo richiesta la prova dell’intervenuta dissociazione
dell’interessato (Sez.2, n.17100 del 22/03/2011, Curtopelle e altri, Rv.250021).
3.1. Tali principi devono essere, poi, messi in relazione al particolare oggetto
del giudizio di appello in materia cautelare. Il giudizio prognostico relativo al
pericolo di recidiva deve, infatti, avere riguardo alle specifiche modalità e
circostanze del fatto, indicative dell’inclinazione del soggetto a commettere reati
della stessa specie e, in generale, alla personalità dell’indagato, da valutare alla
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reinserimento del detenuto, fossero sfornite di pregio processuale e incapaci di

stregua dei suoi precedenti penali e giudiziari, all’ambiente in cui il delitto è
maturato, nonché alla vita anteatta, come pure ad ogni altro elemento compreso
fra quelli enunciati nell’art. 133 cod. pen.
3.2. A detti elementi, all’evidenza, il giudice può fare riferimento
congiuntamente o alternativamente, potendo, quindi, inferire il concreto pericolo
di recidiva anche soltanto dalle specifiche modalità e circostanze del fatto-reato.
Così che, la negativa valutazione della personalità dell’indagato ben può fondarsi
sugli specifici criteri oggettivi indicati dall’art. 133 cod. pen., tra i quali rientrano,

giudice sia tenuto a motivare singolarmente sulla ricorrenza di tutti gli elementi
valutativi previsti dal predetto articolo (Sez. 5, n. 2416 del 19/05/1999,
Marchegiani, Rv. 214230).
3.3. D’altra parte, il parametro della concretezza, cui si richiama l’art. 274
lett. c) cod. proc. pen., non si identifica con quello dell’ «attualità» del pericolo
derivante dalla riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla
commissione di nuovi reati, dovendo, al contrario, il predetto requisito essere
riconosciuto alla sola condizione necessaria e sufficiente che esistano elementi
«concreti» (cioè non meramente congetturali) sulla base dei quali possa
affermarsi che l’indagato possa, verificandosene l’occasione, commettere reati
della stessa specie di quello per cui si procede, ossia che offendono lo stesso
bene giuridico (Sez. 1, n. 25214 del 03/06/2009, Pallucchini, Rv. 244829; Sez.
1, n. 10347 del 20/01/2004, Catanzaro, Rv. 227227).

4. Non deve, peraltro, trascurarsi di sottolineare un argomento che appare
dirimente nel caso concreto, in cui il ricorrente è sottoposto a custodia cautelare
in carcere in quanto imputato quale coordinatore dell’attività di un’associazione
armata finalizzata a commettere delitti in materia di stupefacenti.
4.1. La pronuncia della Corte Costituzionale n.231 del 19 maggio 2011 (che
ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.275, comma 3, secondo periodo,
cod.proc.pen., come modificato dall’art. 2, comma 1, d.l. 23 febbraio 2009, n.
11, convertito con modificazioni dalla 1.23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al
delitto di cui all’art.74 d.P.R. n.309/90, è applicata la custodia cautelare in
carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono
esigenze cautelar’ – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi
specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari
possono essere soddisfatte con altre misure), pur avendo escluso la presunzione
assoluta di adeguatezza della sola misura cautelare della custodia in carcere con
riferimento a coloro che, come il ricorrente, sono imputati del delitto di cui
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appunto, la gravità del reato e le modalità della sua commissione, senza che il

all’art.74 d.P.R. n.309/90, impone al giudice un obbligo di motivazione più
analitico, qualora ritenga non vincibile la presunzione, a condizione che
l’indagato abbia dedotto elementi idonei a dimostrare l’insussistenza di esigenze
cautelari o la possibilità di tutelare le stesse con altre misure (Sez. 1, n.29530
del 27/06/2013, De Cario, Rv. 256634).
4.2. Tale inversione dell’onere probatorio rende congrua, nel caso concreto,
la valutazione operata dal Tribunale che, per ipotesi gravemente indiziarie di fatti
connotati da particolare gravità, si è fatto carico di evidenziare l’assenza di

5. Conclusivamente, l’ordinanza impugnata risulta aver fornito satisfattiva
motivazione con riferimento alle ragioni per cui le circostanze concrete inerenti
alla personalità dell’indagato, desunte da fatti specifici, escludessero la
sopravvenienza di elementi di valutazione idonei a rendere non più adeguata la
misura della custodia cautelare in carcere, imponendosi, pertanto, il rigetto del
ricorso e la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art.616 cod.proc.pen., al
pagamento delle spese processuali.

6. Deve essere disposto, inoltre, che copia del presente provvedimento sia
trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a
quanto stabilito dall’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod.proc.pen.

P.Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa
al direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a quanto
stabilito dall’art. 94, c. 1 ter disp. att. del c.p.p.

Così deciso in data 27/06/2014

Il Cons

e estensore

Il Presi ente

elementi di novità tali da modificare il quadro cautelare.

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