Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32217 del 27/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 32217 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LEALE DANIELE N. IL 17/10/1979
avverso l’ordinanza n. 51/2014 TRIB. LIBERTA’ di LECCE, del
04/02/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO;
10e/sentite le conclusioni del PG Dott. h AR i A C-ii/STePtwil f0 60/11(
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Il provvedimento restrittivo risulta emesso sulla base di indagini condotte, tra aprile 2010 e giugno 2012, sulla base di intercettazioni telefoniche e ambientali (queste ultime effettuate nel carcere dove venivano monitorati i colloqui avuti da alcuni degli arrestati con i loro familiari), nonché servizi di videosorveglianza e pedinamenti, i cui esiti erano anche riscontrati da una serie di arresti operati nella flagranza del reato di spaccio, dal sequestro di sostanza stupefacente, armi e munizioni. All'esito di tali operazioni gli investigatori hanno ritenuto di individuare l'odierno ricorrente attivamente coinvolto, con ruolo di vertice, in una organizzazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti in territorio del Comune di Taranto, la quale risultava avere anche disponibilità di armi e di mezzi. I contenuti di tali conversazioni sono, per le parti che riguardano la posizione del Leale e le condotte delittuose allo stesso contestate, tratti dalla stessa ordinanza custodiale e specificamente ritrascritti per ampi stralci nell'ordinanza impugnata, ove sono poi, con riferimento a ciascun reato, singolarmente interpretati e commentati. Hanno quindi ritenuto, i giudici del riesame, in esito all'attività di verifica e di controllo ad essi demandato dalla legge, che il provvedimento cautelare dovesse ritenersi legittimamente emesso in relazione alla gravità del contesto probatorio emerso ed alla sussistenza di concrete esigenze di cautela, sotto il profilo del pericolo di reiterazione, che imponevano il ricorso alla misura più afflittiva. 2. Avverso tale ordinanza propone ricorso per cassazione Leale Daniele, per mezzo del proprio difensore, sulla base di tre motivi. 2.1. Con il primo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza degli ipotizzati illeciti. 2 M, Q, Q1, R, R1, V, AA, AM, AO e CD) nonché per delitti di detenzione illegale di Lamenta, in sintesi, che il Tribunale del riesame: - si è limitato a ripetere in modo acritico le motivazioni contenute nell'ordinanza custodiale la quale a sua volta altro non ha fatto che recepire acriticamente la relativa richiesta di applicazione di misura formulate dal pm; - non ha preso in considerazione gli elementi a favore dell'indagato proposti dalla difesa con i motivi nuovi depositati ai sensi dell'art. 309, comma 6, cod. proc. pen.,; - non ha illustrato i motivi per i quali ha ritenuto che gli elementi indiziari misura custodiale; - attribuisce erroneamente valore di grave indizio dell'ipotizzato reato associativo al colloquio in carcere intercorso tra l'indagato e i congiunti (nel corso del quale il primo affermava che avrebbe «schiacciato» il coindagato Catapano, arrogandosi esclusiva posizione di comando), atteso che - sostiene il ricorrente tali affermazioni ben possono in realtà considerarsi frutto di uno sfogo o di una mera vanteria e, comunque, esprimono al più un proposito per il futuro e non valgono ad attestare una situazione preesistente e attuale; - desume in modo illogico la gravità indiziaria del reato associativo degli stessi elementi ritenuti gravemente indizianti per i reati fine di cui all'art. 73 d.P.R. 309/90, a tanto ostando l'autonomia concettuale delle due distinte fattispecie; - attribuisce in modo altrettanto erroneo gravità indiziaria dei reati fine alle conversazioni intercettate che, in realtà, non hanno univoco significato, spesso non vedono Leale Daniele come interlocutore e, comunque, sono sfornite di riscontri. In particolare, con specifico riferimento ai singoli episodi, il ricorrente muove le censure di seguito sintetizzate: capo C) le conversazioni intercettate utilizzano termini generici e il Tribunale inoltre, allo scopo di rafforzare l'affermazione della sussistenza dei gravi indizi, fa presi in considerazione assumessero rilevanza al fine di supportare la richiesta inammissibilmente riferimento a una generalizzata presunzione di dedizione allo spaccio tratta dagli altri episodi; capo H) manca nelle conversazioni captate alcun riferimento esplicito alla droga, manca comunque la prova della effettiva cessione dello stupefacente; capo M) non vengono indicate le ragioni per cui si ritiene di interpretare le conversazioni come riferite a sostanza stupefacente; ancora una volta il Tribunale trae conferma dei gravi indizi da quelli riferibili ad altri episodi; c_ capi Q) e Q1) nelle conversazioni intercettate non figura quale interlocutore Leale Daniele; in modo illogico il Tribunale trae conferma della gravità indiziaria 3 I ritenuta per i reati in questione dall'arresto per detenzione di stupefacenti avvenuto il 15/3/2012 (pagina 9 dell'ordinanza); capi R e R1) non vi è prova che la sostanza stupefacente che si assume ad oggetto delle conversazioni captate sia stata effettivamente presa in consegna da Leale Daniele; capo V) non vi è prova che nelle conversazioni intercettate si parlasse di droga, né che la ipotizzata consegna sia effettivamente avvenuta; capo AA) il contenuto degli SMS scambiati con il coindagato Ciracira non è capo AM) anche in tal caso si fa uso nelle conversazioni di termini criptici («festa») e di non univoco significato; non v'è prova dell'effettiva consegna della merce cui si riferivano i locutori; capo AO) non è dato evincere, dalle videoriprese poste a fondamento dell'ipotesi d'accusa, se le persone ivi ritratte stessero lavorando oppure confezionando sostanza stupefacente; il successivo arresto del Ciracira non può valere come riscontro, posto che in quell'occasione Leale Daniele non era presente; capo CD) le conversazioni captate risultano generiche e di significato non univoco; anch'esse rimangono prive di riscontri oggettivi. Con particolare riferimento, poi, alle conversazioni captate nel corso dei colloqui in carcere, sostiene il ricorrente che l'interpretazione di esse esplicitata a pagina 61 dell'ordinanza impugnata contiene mere «enunciazioni di principio», prive dei necessari riscontri. Rileva, inoltre, che non v'è prova che le armi sequestrate al coindagato Casarano fossero di proprietà di Leale Daniele o del coindagato Catapano. Contesta al riguardo la validità logica degli argomenti esposti a pagina 60 dell'ordinanza impugnata, tratti dal colloqui in carcere tra l'indagato e la moglie, e in particolare dall'affermazione del primo secondo cui il coindagato Bianco Ciro non era a conoscenza del luogo ove le armi erano nascoste, osservando che da essa non può desumersi che tale conoscenza avesse invece l'indagato medesimo. 2.2. Con il secondo motivo deduce inosservanza di norma processuale e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza di esigenze cautelari. Lamenta al riguardo che, con motivazione scarna, il Tribunale ha giustificato il proprio convincimento sul punto omettendo di considerare gli elementi che invece deponevano in senso contrario, quali segnatamente rappresentati dall'assenza di recenti o gravi precedenti a suo carico e dal tempo trascorso dai fatti. 4 univoco, trattandosi di termini criptici; 2.3. Con un terzo connesso motivo deduce, infine, inosservanza della previsione di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen. e vizio di motivazione per avere il Tribunale omesso di motivare in ordine alla inadeguatezza di altra misura meno afflittiva. Considerato in diritto 3.1. Dal coordinamento della norma di cui all'art. 292 comma 2 lett. c e c bis cod. proc. pen. (secondo cui a pena di nullità, rilevabile anche d'ufficio, il giudice nell'ordinanza cautelare deve esporre le specifiche esigenze cautelari e la necessità della custodia in carcere, non essendo sufficienti altre misure) e quello di cui all'art. 309 comma 9 cod. proc. pen. (secondo cui il Tribunale dei riesame può sì annullare il provvedimento impugnato, ma anche confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione dei provvedimento stesso), si ricava che al Tribunale del riesame, quale giudice collegiale e di merito sulla vicenda de libertate, non è commessa tanto la valutazione della legittimità dell'atto, quanto la cognizione della vicenda sottostante e, quindi, primariamente la soluzione dei contrasto sostanziale tra la libertà dei singolo e la necessità coercitiva, sia pure filtrata dalle determinazioni già prese al riguardo. Ne discende che, nell'espletamento di tale compito (di merito e non di legittimità) la rilevazione di un difetto di motivazione dei provvedimento custodiale, in tanto può darsi con esito di nullità preclusivo della valutazione spettante al collegio del riesame, in quanto nel testo dei provvedimento non vi sia una motivazione graficamente intesa o in quanto - ove esista una motivazione grafica, pur risolventesi in clausole di stile - non sia possibile, interpretando e rivalutando l'intero contesto, individuare le esigenze cautelari il cui soddisfacimento si persegue (così Sez. 6, n. 52 del 10/01/2000, Iadadi, Rv. 215433; v. anche Sez. 6, n. 8590 del 16/01/2006, Pupuleku, Rv. 233499; Sez. 2, n. 39383 del 08/10/2008, D'Amore, Rv. 241868; Sez. 3, n. 33753 del 15/07/2010, Pm in proc. Lteri Lulzim, Rv. 249148). Alla luce di tali consolidati criteri interpretativi, deve escludersi che nella specie potessero ravvisarsi i presupposti perché al Tribunale del riesame fossero preclusi spazi per la propria valutazione di merito, certamente non impedendo il ricorso da parte del G.I.P. alla tecnica redazionale del copia incolla di individuare con certezza le ragioni poste a base del proprio convincimento e gli elementi sui quali comunque potesse il tribunale operare la propria autonoma valutazione. 5 3. È infondato il primo motivo di ricorso. In tal senso è stato più volte precisato che l'ordinanza applicativa di una misura cautelare è legittimamente motivata con l'integrale riproduzione della richiesta del P.M. (atteso che il giudice che adotta la misura cautelare non opera in sede di impugnazione e non ha pertanto alcun obbligo di manifestare aver valutato criticamente gli atti di indagine), purché sia consentito al giudice del riesame ed a quello di legittimità, nell'ambito delle rispettive competenze, di controllare il quadro indiziario e la correttezza dell'iter logico seguito dal giudice di prime cure (Sez. 6, n. 46484 del 30/10/2013, Teatro, non mass.; Sez. 2, n. 14830 del 28/03/2012, P.M. in proc. Faye, Rv. 252274; Sez. 2, n. 13385 del 16/02/2011, Soldanoj, Rv. 249682; Sez. 4, n. 4181 del 14/11/2007, Benincasa, Rv. 238674). Inoltre, quando un provvedimento non si limita a richiamare altro atto, ma ne recepisca graficamente il contenuto, non può certo dirsi che manchi di motivazione, né che si sia in presenza di una motivazione meramente apparente, la quale invero ricorre nel caso in cui esse sia del tutto avulsa dalle risultanze processuali o si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa, cioè in tutti i casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente (Sez. 5, n. 24862 del 19/05/2010 - dep. 01/07/2010, Mastrogiovanni, Rv. 247682). Nella specie, è lo stesso ricorrente ad ammettere che il G.I.P. ha fatto proprie le argomentazioni della parte pubblica inserendole nel suo provvedimento "in maniera del tutto passiva e acritica": ciò che è quanto basta per escludere la sussistenza di una radicale difetto di motivazione nei sensi sopra detti. Se è vero infatti che la mera riproduzione di ampi stralci della richiesta cautelare giustifica l'annullamento del provvedimento impositivo per difetto di motivazione, è anche vero che tale conseguenza non può riguardare l'elaborato motivazionale che comunque renda evidente l'adesione del giudice all'impianto argomentativo del richiedente consentendo di riferire ad esso le motivazioni poste a base della misura cautelare. Il ricorso alla tecnica del "copia e incolla" non può, dunque, di per sè e per ciò solo, ritenersi equivalente all'omissione della motivazione. Tanto deve affermarsi a maggior ragione nel caso di specie, laddove la tecnica motivazionale contestata risponde all'esigenza di provvedere a una individuazione completa e chiara degli elementi probatori utilizzati e che, provenendo dall'interpretazione dei contenuti delle conversazioni captate, non 6 6966 del 26/01/2011, P.M. in proc. Giampapa e altro, Rv. 249681; Sez. 1, n. poteva prescindere dall'ampia riproduzione degli stessi, sì da rendere possibile a chiunque di esaminarli e di esprimere il proprio autonomo giudizio. 3.2. Quanto agli altri profili, più direttamente impingentì la motivazione resa dal Tribunale della libertà in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, le censure mosse si rivelano parimenti infondate. In proposito giova preliminarmente rimarcare che, in tema di misure cautelari personali, l'insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (art. 273 cod. cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge od in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato. Il controllo di legittimità, in particolare, non riguarda né la ricostruzione dei fatti, né l'apprezzamento del giudice di merito circa l'attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, per cui non sono consentite le censure che, pur formalmente investendo la motivazione, si risolvono in realtà nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze esaminate dal giudice di merito. Da ciò derivando che, ove venga denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento cautelare in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte di legittimità spetta solo il compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai princìpi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie. È appena il caso poi di sottolineare come gli elementi istruttori in sede cautelare chiedono d'essere valutati nella fluida prospettiva della gravità indiziaria riferita alla riconducibilità all'indagato delle fattispecie criminose agli stessi ascritte, la cui funzione (lungi dal dover attestare in termini di piena certezza probatoria la responsabilità penale dell'indagato) non può che limitarsi al riscontro di una rilevante probabilità di fondatezza delle ipotesi criminose prospettate in sede d'accusa. Essendo poi nella specie, come detto, la valutazione di gravità indiziaria desunta essenzialmente da conversazioni intercettate, è opportuno rammentare ancora che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, è questione di fatto rimessa all'apprezzamento del giudice di merito e si sottrae al giudizio di legittimità se la valutazione risulta logica in 7 proc. pen.) e delle esigenze cautelari (art. 274 cod. proc. pen.) è rilevabile in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (Sez. 6, n. 11794 del 11/02/2013, Melfi, Rv. 254439; Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, Gionta, Rv. 239724). Nel caso di specie l'ordinanza impugnata ha giustificato la propria valutazione degli elementi indiziari con motivazione dotata di logica coerenza e linearità argomentativa, avendo i giudici del merito cautelare riscontrato le ipotesi accusatorie sulla base di una analitica ed esaustiva valutazione degli elementi di indagine, rappresentati dalle numerose conversazioni telefoniche e ambientali intercettate, come detto riportate per ampi stralci, unitamente agli controllo e osservazione, e valorizzando altresì i riscontri desumibili dai sequestri di sostanza stupefacente, dagli arresti in flagranza del reato di spaccio: tutti elementi la cui rilevanza il Tribunale - diversamente da quanto genericamente dedotto dal ricorrente - non manca di specificamente evidenziare per ciascuno dei reati ipotizzati e giustificare sul piano logico in termini in questa sede non censurabili. Per contro le critiche mosse dal ricorrente, lungi dall'evidenziare profili di evidente illogicità o carenza argomentativa, si risolvono nella prospettazione dell'esistenza di diverse chiavi di lettura, le quali, però, non si impongono rispetto a quella avversa con carattere di oggettività e univocità e non possono pertanto trovare ingresso in questa sede, tanto più in quanto caratterizzata come detto dai criteri valutativi più fluidi ed elastici propri della fase cautelare. Tanto deve affermarsi anche per quel che riguarda il contenuto del colloquio in carcere intercorso tra il Leale e i propri congiunti in data 12/4/2012 (minuto 47) atteso che l'affermazione: «io a quello lo devo schiacciare, devo comandare io» (chiaro essendo dal contesto il riferimento al coindagato Catapano, anch'egli collocato secondo gli investigatori in posizione di vertice all'interno dell'organizzazione) appare del tutto plausibilmente indicativa, coerentemente con la lettura datane dal Tribunale, di un conflitto tra le figure apicali e dell'esistenza di ragioni di rancore, la quale a sua volta evidentemente presuppone la consapevolezza da parte dell'odierno ricorrente di avere un ruolo quanto meno di pari importanza, tale da potersi anche imporre sull'altro. Non può poi assegnarsi decisivo rilievo ostativo alla circostanza, spesso opposta dal ricorrente quale motivo di inadeguatezza del compendio indiziario considerato, che alcune delle conversazioni captate intercorrano tra terze persone ovvero alla mancata prova della effettiva conclusione della cessione di stupefacente ipotizzata alla stregua di tali emergenze. Sotto il primo profilo, va invero rammentato che, secondo incontrastato indirizzo, gli indizi raccolti nel corso delle intercettazioni telefoniche possono costituire fonte diretta di prova della colpevolezza dell'imputato - e 8 esiti di una complessa attività investigativa condotta anche attraverso servizi di indipendentemente se sia lui stesso il conversante - e non devono necessariamente trovare riscontro in altri elementi esterni, qualora siano: a) gravi, cioè consistenti e resistenti alle obiezioni e quindi attendibili e convincenti; b) precisi e non equivoci, cioè non generici e non suscettibili di diversa interpretazione altrettanto verosimile; c) concordanti, cioè non contrastanti tra loro e, più ancora, con altri dati o elementi certi (Sez. 4, n. 22391 del 02/04/2003, Qehalliu Luan, Rv. 224962). Quanto al secondo profilo devesi rammentare che, secondo altrettanto stupefacente (nella specie certamente dimostrato alla stregua delle emergenze descritte) è di per sé sufficiente a integrare la fattispecie criminosa contestata, indipendentemente dalla effettiva traditi° (v. e pluribus Sez. 4, n. 3950 del 11/10/2011 - dep. 31/01/2012, Conti, Rv. 251736; Sez. 4, n. 38222 del 19/05/2009, Casali, Rv. 245293; Sez. 4, n. 32911 del 11/05/2004, Saber ed aa., Rv. 229267). 4. In punto di esigenze cautelari, l'ordinanza impugnata ha, infine, altresì compiutamente motivato l'espresso convincimento relativo alla loro sussistenza e alla inadeguatezza di misure meno afflittive di quella disposta, facendo riferimento in particolare, come detto, alla tipologia e gravità dei reati contestati, al radicamento sul territorio dell'organizzazione criminale, al ruolo ricoperto e al contributo reso dall'indagato, alla notevole spregiudicatezza criminale e pervicacia a delinquere attestata da tali elementi. Quanto poi al tempo trascorso dalla commissione dei reati, va rilevato conformemente a costante indirizzo giurisprudenziale sul punto - che allo stesso potrebbe assegnarsi rilievo solo in presenza di altri elementi di convergente valenza sintomatica, nella specie mancanti e recessivi rispetto ad elementi di segno contrario quali quelli sopra richiamati (v. ex multis Sez. 2, n. 49453 del 08/10/2013 - dep. 09/12/2013, Scortechini e altro, Rv. 257974; Sez. 4, n. 6797 del 24/01/2013 - dep. 11/02/2013, Canessa e altro, Rv. 254936). A fronte di un tale cospicuo ed esaustivo impianto motivazionale, le censure in questa sede mosse dal ricorrente, come detto meramente reiterative di quelle già prese in esame nell'ordinanza impugnata, si appalesano generiche e non si confrontano con le contrarie argomentazioni svolte nell'ordinanza impugnata, risolvendosi nella spesso apodittica e autoreferenziale contrapposizione di mere affermazioni di segno opposto, avulse da specifici riferimenti ai passaggi motivazionali censurati e da qualsiasi illustrazione concreta delle ragioni di critica ad essi riferite. Non può poi in particolare dubitarsi della piena adeguatezza delle 9 consolidato indirizzo, il perfezionamento dell'accordo diretto alla cessione dello motivazioni poste a fondamento della ravvisata sussistenza di esigenze cautelari tali da giustificare la più severa misura applicata. Il riferimento alla gravità del reato ed alla personalità dell'indagato appare, invero, da un lato, sufficiente a giustificare tale valutazione e, dall'altro, a sua volta congruamente supportato proprio dagli elementi indiziari sopra considerati, anche a tal fine del resto contestati dal ricorrente in termini del tutto generici e apodittici. rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell'istituto penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito dall'art. 94, comma 1 ter disp. att. c.p.p. Così deciso il 27/6/2014 5. In definitiva, il ricorso è nella sua interezza destituito di fondamento e va

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