Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32215 del 27/06/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 4 Num. 32215 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DAMIANO ANNA N. IL 25/12/1948
DI GIOVANNI FRANCESCO N. [L 06/06/1975
DI GIOVANNI PASQUALE N. IL 07/07/1976
DI GIOVANNI PAOLO N. IL 20/06/1980
avverso [‘ordinanza n. 111/2011 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
18/06/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO;
lette/s-etititeile conclusioni del PG Dott.
Massimo Galli, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

Data Udienza: 27/06/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Il 18/06/2013 la Corte di Appello di Napoli ha rigettato l’istanza di
riparazione per ingiusta detenzione proposta dai successori di Di Giovanni Felice
in relazione alla detenzione da quest’ultimo patita, nella forma della custodia
cautelare in carcere, dal 25 settembre al 14 ottobre 1996 e dal 9 luglio 1997 al
10 febbraio 1998 e, nella forma degli arresti domiciliari, sino al 12 gennaio 1999,
nell’ambito di un procedimento nel quale era gravemente indiziato del reato di

irrevocabile il 2 novembre 2010.

2. La Corte territoriale ha ritenuto sussistente il concorso della condotta
dolosa o gravemente colposa del Di Giovanni nel dare causa alla custodia
cautelare sulla base delle seguenti specifiche circostanze fattuali: a) Di Giovanni
Felice amava frequentare i camorristi ancorché, secondo quanto accertato dal
giudice della cognizione penale, nell’unica prospettiva del raggiungimento
dell’obiettivo tangentizio per la parte politica in relazione ai subappalti relativi
alla realizzazione del Treno ad Alta Velocità in Campania; b) nei due interrogatori
resi al giudice per le indagini preliminari Di Giovanni Felice non aveva fornito una
narrazione dei fatti conforme alla ricostruzione assolutoria, negando ogni fatto,
ogni conoscenza personale, ogni risultato delle conversazioni telefoniche che gli
venivano lette e contestate nel corso dell’interrogatorio, negando frontalmente di
aver pronunciato le parole registrate dal sistema di intercettazione.

3. Ricorrono per cassazione i successori di Di Giovanni Felice censurando
l’ordinanza impugnata per violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod.proc.pen. in
relazione agli artt.314 e 315 cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione.
Secondo i ricorrenti, il codice di rito impone al giudice di valutare se il
comportamento dell’istante abbia o meno dato causa all’emissione dell’ordinanza
di custodia cautelare, senza entrare nel merito di un processo già definito con
sentenza di assoluzione; la Corte territoriale, si assume, avrebbe stravolto l’iter
logico-argomentativo seguito dai giudici del Tribunale di Noia attraverso una
valutazione frazionata dei contenuti della pronuncia emessa da tale autorità
giudiziaria, senza valutare che nella stessa sentenza si afferma, con riferimento
a Di Giovanni Felice, “Egli impersona in maniera veramente mirabile, talvolta
macchiettistica, la figura del politicante… A livello politico è poco più che
nessuno… L’indagine non ha verificato alcun intervento decisivo in quell’ambito,
documentando solo le opinioni soventemente espresse da tale imputato, nelle
più varie circostanze ed il suo ruolo meramente esecutivo o riferitivo delle

.2,

cui all’art. 416 bis cod. pen., conclusosi con sentenza di assoluzione divenuta

volontà del Fusco”. Il giudice della riparazione, secondo i ricorrenti, non avrebbe
poi valutato la realtà emergente dalla pronuncia emessa dalla Corte di Appello di
Napoli, in cui si legge “Per quanto concerne l’ultimo gruppo di imputati tra cui il
Di Giovanni, va condiviso quanto riguardo alla loro posizione è stato ritenuto
dalla sentenza impugnata… Non v’è dubbio che costoro non possono ritenersi per
converso partecipi del sodalizio camorristico configurato nel capo di imputazione
per la semplice, ma decisiva ragione che gli scopi che essi in concreto
perseguivano erano antitetici rispetto a quelli del gruppo Zagaria… quel che

bassi intenti di lucro, perseguivano tuttavia interessi propri e, dando per
scontata l’esistenza di gruppi camorristici interessati allo stesso affare, cioè lo
sfruttamento illecito dell’imprenditoria, non si attivano mai per favorirli né
tampoco aderiscono ad un programma associativo comune, giacché considerano
i camorristi come rivali ed antagonisti controinteressati”.
3.1. Con riguardo al comportamento processuale del Di Giovanni Felice, i
ricorrenti lamentano che l’ordinanza non avrebbe chiarito le ragioni per le quali si
sarebbero ritenute condivisibili le scelte del Giudice per le indagini preliminari,
sulla base della valutazione di intercettazioni telefoniche non verificate dal
giudice della riparazione, sostenendo che i chiarimenti forniti dall’indagato nel
corso degli interrogatori avrebbero trovato piena conferma negli esiti
dell’istruttoria dibattimentale e sarebbero, per tale ragione, dimostrativi di un
comportamento processuale che certamente non ha dato causa all’emissione
dell’ordinanza di custodia cautelare. Contrariamente a quanto sostenuto dalla
Corte territoriale, si assume, Di Giovanni Felice avrebbe chiarito la natura dei
rapporti intercorsi con gli altri soggetti indagati, ribadendo la propria estraneità a
contesti criminali di matrice associativa e la natura meramente politica delle
conversazioni e degli incontri avvenuti con i suoi coimputati.

4. Il Procuratore Generale, in persona del dott. Massimo Galli, nella sua
requisitoria scritta ha concluso per l’inammissibilità del ricorso in quanto
palesemente infondato.

5. Con memoria depositata in data 10 giugno 2014 il Ministero dell’Economia
e delle Finanze, svolgendo puntuali osservazioni, ha concluso per il rigetto del
ricorso.

6. Con memoria depositata in data 11 giugno 2014 i ricorrenti hanno, in
sostanza, reiterato le considerazioni svolte nel ricorso.

3

correttamente la sentenza di primo grado ha lumeggiato è che essi, mossi da

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.

2. Secondo principi ripetutamente affermati da questa Corte e consolidati in
una recente pronuncia delle Sezioni Unite Penali (Sez. U, n. 32383
del 27/05/2010, D’Ambrosio, Rv. 247664), il giudice di merito deve, in modo

con particolare riferimento alla sussistenza di comportamenti sia anteriori che
successivi alla perdita della libertà personale connotati da eclatante,
macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi e regolamenti,
fondando la deliberazione conclusiva su fatti concreti e precisi che consentano di
stabilire con valutazione ex ante se la condotta tenuta dal richiedente abbia
ingenerato o contribuito a ingenerare, nell’autorità procedente, la falsa
apparenza della configurabilità della stessa come illecito penale, dando luogo alla
detenzione con rapporto di causa ad effetto.
2.1. Come è noto, il rapporto tra giudizio penale e giudizio per l’equa
riparazione è connotato da totale autonomia ed impegna piani di indagine
diversi, che possono portare a conclusioni del tutto differenti (assoluzione nel
processo, ma rigetto della richiesta riparatoria) sulla base dello stesso materiale
probatorio acquisito agli atti, ma sottoposto ad un vaglio caratterizzato
dall’utilizzo di parametri di valutazione differenti. In particolare, contrariamente a
quanto sostenuto dai ricorrenti, è consentita al giudice della riparazione la
rivalutazione dei fatti, non nella loro valenza indiziaria o probante (smentita
dall’assoluzione), ma in quanto idonei a determinare, in ragione di una
macroscopica negligenza od imprudenza dell’imputato, l’adozione della misura,
traendo in inganno il giudice.
2.2. Inoltre, quanto alla utilizzabilità del materiale probatorio, va osservato
che la procedura riparatoria presenta connotazioni di natura civilistica, e, quindi,
nel suo ambito non possono operare automaticamente i divieti previsti dal codice
di rito esclusivamente per la fase processuale penale dibattimentale, e tra di
essi, il divieto di utilizzo degli atti delle indagini, che possono invece trovare
ingresso nell’alveo di una causa con impronta civilistica, quali fonti di prova
inquadrabili nella categoria delineata dall’art. 2712 c.c. (Sez. 4, n. 11428 del
21/02/2012 , Nocerino, Rv. 252735 ; Sez. 4, n.38181 del 23/04/2009, Ferrigno,
Rv. 245308; Sez. 4, n. 37026 del 03/06/2008, Bologna, Rv. 241981).
2.3. Tale possibilità incontra, però, due limiti:

4

autonomo e completo, apprezzare tutti gli elementi probatori a sua disposizione,

- il primo è costituito dalla inutilizzabilità patologica di atti probatori assunti
in violazione di espressi divieti di legge (art. 291 cod.proc.pen.) come ad
esempio intercettazioni captate illegalmente (art. 271 cod.proc.pen.: sul punto
Sez. U, n. 1153 del 30/10/2008, dep. 13/01/2009, Racco, Rv. 241667);
– il secondo è costituito dalla verifica che gli elementi di prova acquisiti nelle
indagini e da utilizzare nel procedimento riparatorio, non siano smentiti (non
semplicemente non confermati) inequivocabilmente da acquisizioni del processo
dibattimentale. In tal caso, infatti, la verità acclarata nel pieno contraddittorio tra

inquisitoria.

3. Con particolare riguardo al comportamento anteriore alla perdita della
libertà personale indicato nel provvedimento impugnato, le censure mosse dal
ricorrente risultano infondate, in quanto la Corte territoriale si è attenuta ai
principi di cui sopra, avendo posto a base della pronuncia di rigetto della
riparazione la condotta del ricorrente, indicata come fatto storico accertato nel
giudizio penale, concretata dal fatto che il Di Giovanni si fosse avvalso della sua
attività politica per lucrare guadagni in parallelo alle attività camorristiche
inerenti agli appalti delle opere per la realizzazione del Treno ad Alta Velocità in
Campania. Mette conto sottolineare che le doglianze mosse con riferimento a
tale preciso elemento fattuale tendono a porre in discussione la valutazione,
operata dal giudice della riparazione, in relazione agli atti istruttori acquisiti nel
procedimento penale in quanto i medesimi atti sarebbero stati giudicati
insufficienti a fondare un giudizio di colpevolezza, ignorando il costante indirizzo
giurisprudenziale, affermato da questa Corte, anche a Sezioni Unite (Sez. U
n. 43 del 13/12/1995, dep. 09/02/1996, Sarnataro, Rv.203638), per cui, nel
procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione, è necessario
distinguere nettamente l’operazione logica propria del giudice del processo
penale, volta all’accertamento della sussistenza di un reato e della sua
commissione da parte dell’imputato, da quella propria del giudice della
riparazione, il quale, pur dovendo eventualmente operare sul medesimo
materiale, deve seguire un percorso logico-motivazionale del tutto autonomo,
essendo suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno
reato, ma se queste condotte si siano poste come fattore condizionante alla
produzione dell’evento ‘detenzione’; in relazione a tale aspetto della decisione
tale giudice ha piena ed ampia libertà di valutare il materiale acquisito nel
processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno(
delle condizioni dell’azione, sia in senso positivo che negativo, compresa
l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione

5

le parti deve avere la prevalenza sulle acquisizioni probatorie captate nella fase

(Sez. 4, n. 27397 del 10/06/2010, Rv. 247867; Sez. 4, n.23128 del 22/10/2002,
dep. 27/05/2003, Iannozzi, Rv. 225506); tale valutazione costituisce attività
riservata al giudice del merito e, ove non contrastante con fatti accertati o
esclusi dal giudice nel processo penale, non è sindacabile in sede di legittimità.
3.1. La Corte territoriale si è, peraltro, attenuta al principio interpretativo,
già affermato nella giurisprudenza di legittimità, secondo il quale le
frequentazioni ambigue, ossia quelle che si prestano oggettivamente ad essere
interpretate come indizi di complicità, quando non sono giustificate da rapporti di

coinvolti in attività illecite, possono dare luogo ad un comportamento
gravemente colposo idoneo ad escludere la riparazione stessa (Sez.3, n. 363 del
30/11/2007, dep. 08/01/2008, Pandullo, Rv. 238782).
3.2. Come risulta evidente dal tenore dei passi delle sentenze assolutorie
riportati nel ricorso, inoltre, il giudice penale non ha escluso i comportamenti che
la Corte territoriale, nell’ordinanza qui impugnata, ha valutato come significativi
ai fini del giudizio circa la sussistenza di una condotta gravemente colposa in
rapporto di causa ad effetto con l’applicazione della misura cautelare ascrivibile
al Di Giovanni, risultando i medesimi brani, per altro verso, palesemente inidonei
a scardinare l’impianto logico del provvedimento impugnato.

4. La motivazione risulta completa anche sotto il profilo del riferimento al
comportamento endoprocessuale dell’istante che, negli interrogatori resi dinanzi
al Giudice per le indagini preliminari, secondo quanto si legge nell’ordinanza, ha
tenuto un comportamento mendace; le osservazioni svolte in merito a tale punto
della decisione nel ricorso risultano prive della necessaria specificità.
4.1. Giova inoltre sottolineare che questa Suprema Corte ha, sin dal 2001,
affermato il seguente principio di diritto: “In caso di richiesta di riparazione per
l’ingiusta detenzione, il giudice deve tenere conto anche della condotta del
ricorrente successiva all’esecuzione del provvedimento restrittivo e, pur nel
rispetto del diritto di costui a non rendere dichiarazioni, può legittimamente
ritenere che la circostanza di non avere il ricorrente risposto in sede di
interrogatorio e non fornito spiegazioni su circostanze obiettivamente indizianti
abbia contribuito alla formazione del quadro indiziario che ha indotto i giudici
della libertà all’applicazione e alla protrazione della custodia” (Sez. 4, n.2154 del
9/05/2001, Bergamin, Rv. 219490). Tale posizione ha trovato conferma in altre
pronunce della Corte, secondo cui il silenzio dell’imputato su circostanze non
altrimenti acquisibili o, a maggior ragione, il suo mendacio integrano gli estremi
di quella colpa che, ai sensi dell’art. 314, comma 1, cod.proc.pen., esclude il
diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione (Sez. 4, n.956 del 24/03/1998,

6

parentela, e sono poste in essere con la consapevolezza che trattisi di soggetti

Longo, Rv.210632), sul presupposto che il comportamento mendace
dell’imputato, sebbene rientri nel diritto di difesa, come oggetto di scelta di linea
difensiva, non può però giustificare la domanda di riparazione, se proprio dal
comportamento mendace sia derivata la conferma o la protrazione della custodia
cautelare. Principi contrari sono stati affermati nella giurisprudenza della Corte,
laddove si è affermato che un comportamento che si configuri come espressione
del diritto di difesa e di libertà non può al contempo essere qualificato illegittimo
nella particolare prospettiva della riparazione per ingiusta detenzione

05/05/2000. PG in proc. Minino L., Rv. 217429), ma è bene evidenziare che tali
principi sono stati affermati con riguardo al comportamento dell’indagato datosi
alla fuga o resosi irreperibile. Con specifico riguardo alla condotta di mendacio,
tenendo presente il principio enunciato dalla Corte a Sezioni Unite, in base al
quale la valutazione dei comportamenti successivi alla conoscenza da parte
dell’indagato del procedimento a suo carico deve essere effettuata con
particolare cautela, dovendosi sempre, e con adeguato rigore, avere rispetto per
le strategie difensive che abbia ritenuto di adottare (quale che possa esserne la
ragione) chi è stato ingiustamente privato della libertà personale (Sez. U
n. 43 del 13/12/1995, dep. 09/02/1996, Sarnataro, Rv.203638), le successive
pronunce hanno, però, chiarito che il silenzio, la reticenza e il mendacio
dell’indagato in sede di interrogatorio, pur costituendo esercizio del diritto di
difesa, possono rilevare sotto il profilo del dolo o della colpa grave nel caso in cui
egli sia in grado di indicare specifiche circostanze, non note all’organo inquirente,
idonee a prospettare una logica spiegazione al fine di escludere o caducare il
valore indiziante degli elementi acquisiti in sede investigativa, che determinarono
l’emissione del provvedimento cautelare (Sez. 4, n.4159 del 09/12/2008,
dep. 28/01/2009, Lafranceschina, Rv.242760). Anche in un’ottica di cauto
apprezzamento del comportamento endoprocessuale dell’indagato, si è
comunque ritenuto che il comportamento silenzioso o mendace sia rilevante
quale condotta ostativa alla riparazione dell’ingiusta detenzione, poiché il diritto
all’equa riparazione presuppone una condotta dell’interessato idonea a chiarire la
sua posizione mediante l’allegazione di quelle circostanze, a lui note, che
contrastino l’accusa, o vincano ragioni di cautela (Sez.4, n.7296 del 17/11/2011,
dep.23/02/2012, Berdicchia, Rv.251928; Sez.3, n.44090 del 9/11/2011,
Messina, Rv.251325; Sez. 4, n.40291 del 10/06/2008, Maggi, Rv. 242755; Sez.
4, n.15140 del 24/01/2008, Caria, Rv.239808), pur non mancando,
effettivamente, pronunce di segno contrario, con riferimento al solo
comportamento silenzioso o reticente (Sez.4, n.26686 del 13/05/2008, Marras,
Rv.240940; Sez.4, n.43309 del 23/10/2008, P.G. in proc. Bodaj, Rv.241993).

7

(Sez.4, n.1745 del 03/06/1998, Ben Salah A., Rv. 211648; Sez. 4, n.2758 del

4.2.

Con specifico riferimento alla strategia difensiva adottata

dall’interessato nel corso del procedimento, non vi è dubbio, dunque, che anche
la condotta difensiva possa essere oggetto di valutazione per la individuazione
della colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo e che, in
particolare, il mendacio possa di per sé rappresentare, in un determinato
contesto indiziario, condotta tendente ad indurre in errore l’autorità giudiziaria
procedente piuttosto che espressione di una particolare linea difensiva.
4.3. L’impugnata ordinanza ha fatto buon governo dei principi interpretativi

dall’indagato nei confronti dell’autorità giudiziaria, ritenuta con logica deduzione
causa determinante del mantenimento della misura custodiale in presenza di atti
d’indagine, ivi incluse intercettazioni telefoniche, di grave valore indiziario.

5. Conclusivamente, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili; tenuto
conto della sentenza Corte Cost. n.186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non
sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto ricorso senza
versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla
declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell’art.616 cod.proc.pen. l’onere
delle spese del procedimento e del versamento di una somma, in favore della
Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di
inammissibilità del ricorso stesso, nella misura di euro 500,00 a carico di
ciascuno dei ricorrenti, nonché la condanna dei ricorrenti, in solido, alla rifusione
delle spese processuali sostenute dal Ministero dell’Economia e delle Finanze,
liquidate in complessivi euro 1.000,00.

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuno a quello della somma di E.500,00 in favore della
Cassa delle Ammende; condanna altresì i ricorrenti stessi, in solido, a rimborsare
al Ministero dell’Economia e delle Finanze le spese sostenute per questo giudizio
che liquida in complessivi euro 1.000,00.

Così deciso il 27/06/2014

sopra esposti, identificando nel mendacio la condotta scorretta tenuta

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA