Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32207 del 27/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 32207 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CAVALLOTTI VINCENZO N. IL 20/02/1956
avverso l’ordinanza n. 33/2013 CORTE APPELLO di PALERMO, del
25/10/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO;
lettasela:h:a le conclusioni del PG Dott.
Fulvio Baldi, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Data Udienza: 27/06/2014

RITENUTO IN FATI-0

In data 25/10/2013 la Corte di Appello di Palermo ha rigettato la domanda
di riparazione per ingiusta detenzione proposta da Cavallotti Vincenzo in
relazione alla custodia cautelare in carcere subita dal 10 novembre 1998 al 21
marzo 2001 nell’ambito di un procedimento in cui era gravemente indiziato del
reato di cui all’art. 416 bis cod. pen., conclusosi con sentenza assolutoria per
insussistenza del fatto emessa il 6 dicembre 2010 dalla Corte di Appello di

Cassazione.

2.

La Corte territoriale ha ritenuto sussistente la condotta ostativa

gravemente colposa del richiedente sulla base delle seguenti circostanze: a)
Cavallotti Vincenzo era rimasto coinvolto in un’indagine concernente
l’aggiudicazione illecita degli appalti in Sicilia in quanto il suo nome era
rinvenibile in un biglietto, che un collaboratore di giustizia aveva attribuito al
noto boss mafioso Bernardo Provenzano, in cui si indicavano opere di
metanizzazione riguardanti alcuni Comuni siciliani, aggiudicate ed eseguite da
imprese amministrate da Cavallotti Vincenzo e dai suoi fratelli, con l’invito a
“mettere a posto” tali imprese; b) in un’ulteriore lettera, il Provenzano aveva
ringraziato il suo interlocutore per l’interessamento profuso in favore delle
imprese Cavallotti e si era interessato affinché venisse recuperato materiale
sottratto a tali imprese; c) in un dattiloscritto in possesso di Brusca Giovanni,
sequestrato al momento del suo arresto e che Brusca aveva riferito essergli stato
fatto recapitare dal Provenzano, si faceva riferimento alle imprese dei Cavallotti;
d) in un interrogatorio del 18 febbraio 1997 lo stesso Brusca aveva spiegato il
significato di un suo appunto in cui si menzionava il nome Cavallotti, nel senso
che avrebbe dovuto riferire al Provenzano a proposito della “messa a posto” di
tale impresa; e) successivamente, le opere di metanizzazione erano state
effettivamente affidate all’impresa di cui era amministratore unico e direttore
tecnico Cavallotti Vincenzo; f) nel corso delle indagini, diversi collaboratori di
giustizia avevano fatto riferimento all’inserimento delle imprese dei Cavallotti nel
giro illecito di spartizione degli appalti.

3. Ricorre per cassazione con unico, articolato, motivo Cavallotti Vincenzo,
con atto sottoscritto dal difensore, censurando l’ordinanza impugnata per vizio di
motivazione nonché erronea applicazione dell’art. 314 cod. proc. pen. Il
ricorrente ritiene che la Corte territoriale non abbia individuato la condotta
gravemente colposa ostativa all’accoglimento della domanda ed abbia omesso di
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Palermo in fase di rinvio a seguito di annullamento pronunciato dalla Corte di

considerare che la pronuncia assolutoria, nell’adeguarsi al principio di diritto
enunciato dalla Suprema Corte in sede di annullamento, avesse escluso la certa
riferibilità soggettiva della scelta aziendale che, nel piano di espansione delle
imprese Cavallotti, si concretasse nell’aggiudicazione degli appalti con
l’accettazione di un sistema mafioso. Nella sentenza di annullamento, la Corte di
Cassazione aveva indicato come punti sui quali fare chiarezza gli attentati subiti
dalle imprese dei fratelli Cavallotti e le relative denunzie presentate da costoro.
La regolare denuncia delle vessazioni mafiose subite, si assume, non sarebbe

che il comportamento processuale dell’istante non sarebbe stato improntato al
silenzio, al mendacio, o alla colpevole reticenza.

4. Il Procuratore Generale, in persona del dott. Fulvio Baldi, nella sua
requisitoria scritta ha concluso per il rigetto del ricorso.

5. Con memoria depositata in data 19 maggio 2014 il difensore del
ricorrente ha chiesto la trattazione della causa secondo le forme dell’art. 127
cod. proc. pen. e con memoria depositata in data 17 giugno 2014 ha segnalato
la pronuncia della sentenza n.22318/2014 di questa Corte, a suo avviso
indicativa di un’anticipazione di giudizio da parte di alcuni Consiglieri componenti
questo Collegio.

6. Con provvedimento del Presidente del Collegio del 24 giugno 2014 è stata
ribadita la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art.611 cod.proc.pen. e
sulle istanze di astensione dei Consiglieri Giacomo Foti e Marco dell’Utri
(entrambe datate 24 giugno 2014) il Primo Presidente di questa Corte Suprema
ha emesso decreto di reiezione in data 25 giugno 2014.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. L’istanza di trattazione del presente caso in pubblica udienza è stata
formulata per la prima volta con memoria depositata ai sensi dell’art.611
cod.proc.pen. ed è, dunque, limitata alla trattazione del giudizio di legittimità,
non involgendo l’ipotesi del diritto dell’imputato alla trattazione in pubblica
udienza del giudizio di merito, dalla Consulta recentemente esaminata, su
questione di legittimità costituzionale sollevata da questa Corte (Corte Cost.
n.214 del 5 giugno 2013; Sez. U, n. 51779 del 28/11/2013, Nicosia,
Rv. 257606;

Sez. U, n.41694 del 18/10/2012,

Nicosia,

Rv. 253289)

in

conseguenza della pronuncia della Corte EDU 10/04/2012, Lorenzetti c. Italia.
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conciliabile con l’ipotesi della condotta gravemente colposa. Nel ricorso si deduce

Trattasi di questione risolta nel senso che, in ogni caso, indipendentemente dalla
trattazione in pubblica udienza della fase di merito, il giudizio di riparazione per
ingiusta detenzione seguirebbe un rito autonomamente determinato nella fase di
legittimità.
1.1. Si tratta di istanza che non può trovare accoglimento in ragione della
previsione normativa (art.611, comma 1, cod.proc.pen.) della trattazione in
camera di consiglio dei ricorsi proposti avverso provvedimenti non emessi nel
dibattimento. Secondo quanto chiarito dalla Consulta, il giudizio di legittimità,

dalla platea dei momenti di esercizio della giurisdizione in cui è necessaria la
garanzia della pubblicità della udienza (Corte Cost. n.80 del 25 gennaio 2011),
ed il procedimento camerale, previsto dall’art.611 cod.proc.pen. limitatamente ai
procedimenti che già si sono svolti senza il dibattimento (e con l’eccezione del
procedimento speciale del rito abbreviato), non è in contrasto con i principi del
contraddittorio e della parità delle parti caratterizzanti il giusto processo a norma
dell’utili, comma 2, Cost., poiché assicura il contradditorio cartolare tra le
parti, poste su un piano di parità attraverso la possibilità di presentare memorie
e memorie di replica. La Corte EDU, nel ribadire la rilevanza della pubblicità
dell’udienza dei procedimenti che possono incidere sui diritti fondamentali del
cittadino, ha previsto cause legittime di deroga in ragione della natura della
questione trattata connotata da alto tecnicismo (Corte EDU 18/05/2010 Udorovic
c.Italia), requisito certamente non ricorrente in caso di udienza destinata alla
verifica della sussistenza dei presupposti per la riparazione per ingiusta
detenzione, che può essere regolata in maniera soddisfacente in base all’esame
del fascicolo (Corte EDU 10/04/2012, Lorenzetti c. Italia; Sez. U, n.41694 del
18/10/2012, Nicosia, Rv.253289; Sez.1, n.42160 del 10/10/2012, De Stefano,
Rv.253812).

2. Nel merito, il ricorso è infondato.

3. Secondo principi ripetutamente affermati da questa Corte e consolidati in
una recente pronuncia delle Sezioni Unite Penali (Sez. U, n. 32383
del 27/05/2010, D’Ambrosio, Rv. 247664), il giudice di merito deve, in modo
autonomo e completo, apprezzare tutti gli elementi probatori a sua disposizione,
con particolare riferimento alla sussistenza di comportamenti sia anteriori che
successivi alla perdita della libertà personale connotati da eclatante,
macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi e regolamenti,
fondando la deliberazione conclusiva su fatti concreti e precisi che consentano di !
stabilire con valutazione ex ante se la condotta tenuta dal richiedente abbia
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proprio per le caratteristiche che ne contraddistinguono la funzione, fuoriesce

ingenerato o contribuito a ingenerare, nell’autorità procedente, la falsa
apparenza della configurabilità della stessa come illecito penale, dando luogo alla
detenzione con rapporto di causa ad effetto.
3.1. Come è noto, il rapporto tra giudizio penale e giudizio per l’equa
riparazione è connotato da totale autonomia ed impegna piani di indagine
diversi, che possono portare a conclusioni del tutto differenti (assoluzione nel
processo, ma rigetto della richiesta riparatoria) sulla base dello stesso materiale
probatorio acquisito agli atti, ma sottoposto ad un vaglio caratterizzato

giudice della riparazione la rivalutazione dei fatti, non nella loro valenza indiziaria
o probante (smentita dall’assoluzione), ma in quanto idonei a determinare, in
ragione di una macroscopica negligenza od imprudenza dell’imputato, l’adozione
della misura, traendo in inganno il giudice.
3.2. Inoltre, quanto alla utilizzabilità del materiale probatorio, va osservato
che la procedura riparatoria presenta connotazioni di natura civilistica, e, quindi,
nel suo ambito non possono operare automaticamente i divieti previsti dal codice
di rito esclusivamente per la fase processuale penale dibattimentale, e tra di
essi, il divieto di utilizzo degli atti delle indagini, che possono invece trovare
ingresso nell’alveo di una causa con impronta civilistica, quali fonti di prova
inquadrabili nella categoria delineata dall’art. 2712 cod.civ. (Sez. 4, n. 11428 del
21/02/2012 , Nocerino, Rv. 252735 ; Sez. 4, n.38181 del 23/04/2009, Ferrigno,
Rv. 245308; Sez. 4, n. 37026 del 03/06/2008, Bologna, Rv. 241981).
3.3. Tale possibilità incontra, però, due limiti:
– il primo è costituito dalla inutilizzabilità patologica di atti probatori assunti
in violazione di espressi divieti di legge (art. 291 cod.proc.pen.) come ad
esempio intercettazioni captate illegalmente (art. 271 cod.proc.pen.: sul punto
Sez. U, n. 1153 del 30/10/2008, dep. 13/01/2009, Racco, Rv. 241667);
– il secondo è costituito dalla verifica che gli elementi di prova acquisiti nelle
indagini e da utilizzare nel procedimento riparatorio, non siano smentiti (non
semplicemente non confermati) inequivocabilmente da acquisizioni del processo
dibattimentale. In tal caso, infatti, la verità acclarata nel pieno contraddittorio tra
le parti deve avere la prevalenza sulle acquisizioni probatorie captate nella fase
inquisitoria.

4. La Corte territoriale ha, in primo luogo, richiamato il contenuto
dell’ordinanza del Tribunale del Riesame, che aveva attribuito particolare valore
al fatto che il boss mafioso Bernardo Provenzano avesse segnalato le imprese
riconducibili ai fratelli Cavallotti chiedendo un intervento per la cosiddetta
“messa a posto” di tali imprese in un momento anteriore, non solo alla
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dall’utilizzo di parametri di valutazione differenti. In particolare, è consentita al

celebrazione delle gare ma addirittura, al fatto che le gare fossero bandite. Da
tale fatto, ha desunto che tali imprese fossero riconducibili ad interessi diretti del
boss latitante ed ha evidenziato come i fratelli Cavallotti si fossero avvicendati
nell’amministrazione delle diverse imprese che facevano loro capo, senza
apparenti e comprensibili ragioni esterne, rimarcando come questo dato fosse
stato confermato anche nella sentenza assolutoria, che aveva ritenuto provato il
coinvolgimento dei Cavallotti nel sistema di controllo delle attività imprenditoriali
organizzato e gestito dagli esponenti di Cosa Nostra, pur escludendo la prova

Richiamando il contenuto della sentenza assolutoria, in cui si riconosceva alla
missiva attribuita al Provenzano un contenuto compatibile tanto con la mera
soggezione estorsiva, quanto con il patto sinallagmatico con l’associazione e
persino, infine, con l’instaurazione di un rapporto societario, la Corte territoriale
ha ritenuto tali emergenze idonee a configurare la condotta ostativa al
riconoscimento del diritto alla riparazione, sul presupposto che l’assoluzione
fosse giustificata dall’assenza di prova di condotte specifiche degli imputati
valevoli come controprestazione sinallagmatica nei confronti del sodalizio
mafioso ma che, all’interessamento di esponenti di Cosa Nostra per la cosiddetta
“messa a posto” delle imprese dei Cavallotti, si accompagnasse l’aggiudicazione
e l’avvio della fase esecutiva degli appalti; simili emergenze, si legge
nell’ordinanza impugnata, rendevano verosimili le dichiarazioni di quei
collaboratori di giustizia che avevano attribuito alle imprese dei Cavallotti la
partecipazione all’accordo spartitorio degli appalti che aveva contrassegnato le
relazioni di Cosa Nostra e di alcuni settori della politica siciliana con talune
imprese.
4.1. La Corte ha, in definitiva, valorizzato il complesso rapporto di contiguità
dell’impresa gestita dal ricorrente con esponenti dell’associazione mafiosa, non
escluso dalla pronuncia assolutoria, e l’avvicendarsi di ruoli, denominazione e
forme societarie, privo di adeguata giustificazione da parte di Cavallotti
Vincenzo, ritenendo che tali elementi, pur non ritenuti idonei dal giudice penale a
fondare un giudizio di condanna per il reato associativo, fossero tuttavia
valutabili in termini di colpa grave.

5. Nel ricorso vengono svolte censure non pertinenti, nella parte in cui si
sostiene che l’ordinanza impugnata sarebbe priva della motivazione in relazione
alla condotta gravemente colposa ascrivibile a Cavallotti Vincenzo, ovvero
tendenti a ricostruire le emergenze istruttorie del giudizio penale in chiave
favorevole al ricorrente, secondo un procedimento logico-giuridico estraneo al
giudizio di legittimità, in cui è preclusa la rivisitazione dei fatti.
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dell’appartenenza organica dei tre Cavallotti all’organizzazione mafiosa.

5.1. Il provvedimento qui impugnato si basa, infatti, su un argomentare che
non presenta profili di manifesta illogicità né viola il divieto per il giudice della
riparazione di basare il proprio convincimento su fatti esclusi nel giudizio penale,
posto che assume a fondamento del giudizio in merito alla sussistenza della
colpa grave del ricorrente eventi concreti, quali i riscontri documentali e fattuali
alle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, desumendone con ampia e
congrua motivazione la relazione di contiguità tra l’impresa di cui Cavallotti
Vincenzo era socio fondatore e amministratore, negli anni in cui si svolgevano le

5.2. L’ordinanza ha esaminato anche il profilo concernente la condotta
endoprocessuale dell’istante (pag. 22) e la censura mossa sul punto nel ricorso si
presenta così generica da non superare il vaglio di ammissibilità.

6. Trattasi, in definitiva, ad avviso del Collegio, di provvedimento esente da
vizi di legittimità e ampiamente rispettoso dei principi sopra esposti, con
conseguente rigetto del ricorso; segue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la
condanna del ricorrente il pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 27/06/2014

gare menzionate nei documenti sequestrati a boss mafiosi, e questi ultimi.

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