Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32205 del 27/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 32205 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FERRAIOLI GIOVANNI N. IL 14/07/1983
avverso la sentenza n. 1273/2013 GIP TRIBUNALE di NOCERA
INFERIORE, del 05/09/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO;
lette/si * le conclusioni del PG Dott. P 1 Ee0 6 4E l’ét

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04;

m-, Sì 4

4.4’45 ,2413

Data Udienza: 27/06/2014

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. del 5/9/2013, il Giudice per le
indagini preliminari presso il Tribunale di Nocera Inferiore ha applicato nei
confronti di Ferraioli Giovanni la pena di un anno di reclusione ed euro 2.000 di
multa in ordine al reato p. e p. dall’art. 73, comma 1 bis, d.P.R. 309/90 a lui
ascritto (al capo A) per aver illecitamente detenuto a fini di spaccio grammi 8,2
di sostanza stupefacente tipo cocaina (riconosciuta l’ipotesi lieve di cui all’art. 73,

ascritto al capo B, p. e p. dall’art. 2 legge 895/67 per aver detenuto presso la
propria abitazione n. 4 ordigni esplosivi di fattura artigianale del peso medio di
grammi 60 cadauno: infatti entrambi accertati in data 10/4/2013.

2. Avverso la predetta sentenza ricorre l’imputato, per mezzo del proprio
difensore.
Premesso che nella richiesta dì patteggiamento, concordata con il PM, era
prevista l’applicazione della pena complessiva di un anno e sei mesi di reclusione
per entrambi i reati contestati unificati dal vincolo della continuazione e che con
la stessa s’era evidenziata la non condivisibilità della qualificazione del fatto
contestato nel capo B, per essere lo stesso riconducibile alla fattispecie di cui
all’art. 678 cod. pen. (trattandosi di 4 articoli pirotecnici definiti

«track con

botto» e, dunque, di materie esplodenti prive di potenzialità micidiale), lamenta
il ricorrente che, senza alcuna motivazione, il G.I.P. ha escluso la continuazione
tra i due reati e ha altresì immotivatamente ritenuto sussistente il reato così
come contestato al capo B.

3. Ha proposto ricorso per cassazione anche il Procuratore Generale della
Repubblica presso la Corte d’appello di Salerno deducendo violazione di legge
per essere stata applicata, in ordine al secondo reato, la sola pena detentiva e
non anche la pure prevista pena pecuniaria.

4.

Nella sua requisitoria scritta il P.G. in sede ha chiesto dichiararsi

inammissibile il ricorso proposto dall’imputato.

Considerato in diritto

5. È fondata la censura mossa dal Ferraioli con riferimento al trattamento
sanzionatorio, nei limiti appresso precisati.
Il mancato riconoscimento della continuazione presupposta nella richiesta di
2

comma 5), nonché la pena di mesi otto di reclusione in ordine al reato, a lui

patteggiamento, ancorché in sé legittimo afferendo al controllo della corretta
qualificazione del fatto, non poteva tuttavia rimanere indifferente ai fini della
definizione del giudizio con sentenza di patteggiamento, nella misura in cui
questa ha inciso sulla determinazione della pena complessiva, sensibilmente
maggiore rispetto a quella concordata.

6. Si appalesa peraltro la sussistenza di altro preliminare vizio di illegalità
della pena, dipendente da sopravvenuto mutamento del quadro normativo di

al capo A: mutamento di cui occorre tenere conto, ai sensi dell’art. 2, quarto
comma, cod. pen. avendo esso effetti nel caso concreto più favorevoli
all’imputato.
Infatti, in tema di mutamenti normativi che investano il trattamento
sanzionatorio di una determinata fattispecie, questa Corte ha ripetutamente
affermato che la valenza del principio di legalità della pena impone che
l’eventuale violazione del medesimo debba essere rilevata d’ufficio (cfr. Sez. 5,
n. 3945 del 13/11/2002 – dep. 28/01/2003, De Salvo, Rv. 224220, relativa al
nuovo regime previsto – nella specie per il delitto di lesioni personali – dal D.Lgs.
n. 28 agosto 2000, n. 274; Sez. 1, n. 1711 del 14/04/1994 – dep. 23/05/1994,
P.M. in proc. Marchese, Rv. 197464).
Anche ad aderire alla tesi più restrittiva, che ammette la rilevabilità di ufficio
da parte della Corte di Cassazione a condizione che la stessa, così come indicata
nel dispositivo, non sia per legge irrogabile (non anche quando il trattamento
sanzionatorio sia di per sé complessivamente legittimo ed il vizio attenga al
percorso argomentativo attraverso il quale il giudice è giunto alla conclusiva
determinazione dell’entità della condanna: Sez. 2, n. 22136 del 19/02/2013, Nisi
e altro, Rv. 255729), rimane ferma la doverosità della individuazione della pena

legale, quale determinatasi a seguito del divenire normativo, salvo trarne o
meno le conseguenze in termini di annullamento della sentenza impugnata.

7. Le novità normative cui si fa riferimento, intervenute nelle more del
presente giudizio e da tenere presenti agli effetti suindicati, sono, in ordine
cronologico, le seguenti:
a) il d.l. 23 dicembre 2013, n. 146 (convertito con modificazioni dalla legge
22 febbraio 2014, n. 10), il cui art. 2, comma 1, lett. a) ha modificato il d.P.R. n.
309 del 1990, art. 73, comma 5, con un testo del seguente tenore: «Al decreto

del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 sono apportate le seguenti modificazioni: a)
all’art. 73, il comma 5 è sostituito dal seguente comma: “5. Salvo che il fatto
costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente
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riferimento per la determinazione del trattamento sanzionatorio del reato di cui

articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la
qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della
reclusione da uno a cinque anni e della multa da Euro 3.000 a Euro 26.000″».;
b) quindi il d.l. 20 marzo 2014, n. 36, convertito con modificazioni dalla
legge 16 maggio 2014, n. 79 (in Gazz. Uff. n. 115 del 20 maggio 2014, Serie
Generale), in vigore dal 21/5/2014, il cui art. 1, comma 24-ter (inserito in sede
di conversione) così testualmente dispone: «All’articolo 73 del testo unico delle
leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope,

decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive
modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 5 è sostituito dal seguente:
“5. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette
uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le
circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di
lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e
della multa da euro 1.032 a euro 10.329″».
Ne discende che, sebbene il reato ascritto al Ferraioli sub capo A) sia stato
commesso, come detto, il 10/4/2013, e quindi prima dell’entrata in vigore di
entrambi i testi di legge dianzi citati (avvenuta rispettivamente il 24/12/2013 e il
21/5/2014), la circostanza che esso sia stato giudicato dal G.I.P. come «fatto di
lieve entità», oggetto di disciplina tanto della norma vigente al tempo della
commissione del reato che di quella recata dalle menzionate disposizioni, espone
il medesimo, come detto, all’applicazione dell’art. 2 cod. pen..

8. Orbene, è noto che, a fronte di un consolidato orientamento della
giurisprudenza di legittimità che considerava pacificamente l’ipotesi disciplinata
dall’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 – come riproducente l’art. 71 legge
23 dicembre 1975, n. 685, e quale venuto ad essere per effetto dell’art. 14 legge
26 agosto 1990, n. 162 – quale circostanza attenuante delle ipotesi criminose
previste dall’art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. n. 309 del 1990 e non già come una
figura autonoma di reato (cfr. Sez. U, n. 9148 del 31/05/1991, Parisi, Rv.
187930; Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, P.G. in proc. Rico, Rv. 247910), la
prima delle modifiche normative sopra testualmente ricordate ha già condotto
questa S.C. a interpretare l’ipotesi contemplata dal comma 5 dell’art. 73 come
da essa novellato quale figura autonoma di reato; ciò sulla base di una serie
convergente di indici testuali ed extratestuali e alla stregua di un orientamento
conformemente espresso da numerose pronunce di questa e altre sezioni
semplici già succedutesi in argomento, alle cui ampie e approfondite motivazioni,
4

prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al

qui interamente condivise, è sufficiente in questa sede fare rimando (v. Sez. 6,
n. 14288 del 8/1/2014 – dep. 26/3/2014, Cassanelli, non massimata; Sez. 4, n.
7363 del 9/1/2014 – dep. 17/2/2014, Fazio, non mass.; Sez. 4, n. 10514 del
28/02/2014 – dep. 05/03/2014, Verderamo, non mass.; Sez. 4, n. 13903 del
28/02/2014 – dep. 24/03/2014, Spampinato, non mass.).
Non può dubitarsi che gli stessi argomenti debbono a fortiori valere con
riferimento alla nuova formulazione dell’art. 73 comma 5, quale introdotta -come
detto- dalla novella di cui al d.l. 20 marzo 2014, n. 36, convertito con

in sede di conversione e pertanto in vigore dal 21/5/2014). Ed infatti, come può
desumersi agevolmente dal raffronto tra i due testi normativi, l’ultimo in
null’altro si differenzia da quello precedente se non per l’ulteriormente ridotta
forbice edittale, che passa da una pena compresa tra un minimo di un anno di
reclusione ed C 3.000,00 di multa e un massimo di cinque anni di reclusione ed C
26.000 di multa, a una pena compresa tra un minimo di sei mesi di reclusione ed
C 1.032,00 di multa e un massimo di quattro anni di reclusione ed C 10.329 di
multa.
Ciò che peraltro consente di ritenere ormai a tutti gli effetti – e in particolare
ai fini del raffronto con la disciplina vigente al momento del fatto-reato, come
tale applicata dai giudici del merito – quest’ultima quale norma comunque più
favorevole tra le due da ultimo succedutesi.

9. Ebbene, l’incidenza della nuova norma nel presente procedimento risulta
immediatamente apprezzabile nel rapporto tra questa e l’articolazione delle
condotte illecite operata dal d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, artt. 4 bis e 4 vicies
ter, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49: disposizioni
che hanno sostituito (in particolare la prima) l’originario testo del D.P.R. n. 309
del 1990, art. 73, e dalle quali sono scaturite le norme con le quali si sono
confrontati i giudici di merito nella vicenda in esame.
Infatti, la natura autonoma della fattispecie caratterizzata dalla lievità del
fatto sottrae questa al giudizio di comparazione previsto dall’art. 69 cod. pen.
per l’ipotesi di concorso di circostanze eterogenee, con l’effetto che occorre
chiedersi quale sia la norma che deve trovare applicazione nel caso in esame,
siccome norma più favorevole.

10. Occorre però a questo punto considerare che gli artt. 4 bis e 4 vicies ter
sopra citati sono stati travolti dalla sentenza dichiarativa della loro illegittimità
costituzionale, anch’essa pronunciata nelle more di questo giudizio (Corte cost.,
sent. n. 32 del 25/2/2014 pubblicata nella Gazz. Uff. del 5/3/2014 n. 11, 1^

modificazioni dalla legge 16 maggio 2014, n. 79, art. 1, comma 24-ter (inserito

Serie Speciale).
Gli effetti però di tale pronuncia non mutano i termini del raffronto che
occorre nella specie operare in funzione di una corretta applicazione dei principi
in tema di successione di leggi penali nel tempo.
Tale raffronto andrà infatti ugualmente operato, con riferimento al caso in
esame, trattandosi di reato commesso nella vigenza delle norme dichiarate
incostituzionali, tra il trattamento per esso in concreto ipotizzabile in applicazione
di queste ultime e quello invece ipotizzabile in applicazione del nuovo testo

10.1. In tal senso è utile anzitutto segnalare che il problema postosi
nell’immediatezza di tale pronuncia, se la stessa avesse l’effetto – non solo di
eliminare dall’ordinamento con effetto retroattivo il testo dell’art. 73, comma 5,
come introdotto dal citato art. 4 bis d.l. n. 272/2005, conv. con modif. dalla
legge 49/2006 ma anche – di caducare il nuovo testo dell’art. 73, comma 5,
d.P.R. cit. come sostituito dal d.l. n. 146 del 2013, art. 2 (quesito cui si è dato
risposta negativa nella giurisprudenza di questa Suprema Corte essendo
quest’ultima disposizione rimasta estranea e non toccata dalla pronuncia della
Corte delle leggi: v. Sez. 4, n. 10514 del 28/02/2014, Verderamo, cit., alla cui
approfondita indagine sul tema si rimanda; v. anche Sez. 4, n. 13903 del
28/02/2014, Spampinato, cit.), non ha più nemmeno ragione di porsi con
riferimento al nuovo testo della medesima disposizione quale introdotto da
ultimo dalla citata novella di cui all’art. 1, comma 24-ter, del d.l. 20 marzo 2014,
n. 36, conv. con modif. dalla legge n. 79 del 2014, trattandosi ovviamente di
norma introdotta successivamente alla sentenza n. 32/2014 della Corte
costituzionale.

10.2. Sotto altro profilo mette conto anche avvertire che la norma dichiarata
incostituzionale (ossia, per quanto in questa sede interessa, l’art. 73, comma 5,
d.P.R. cit. nel testo introdotto dal citato art. 4 bis d.l. n. 272/2005, conv. con
modif. dalla legge 49/2006) potrebbe conservare rilievo per i fatti commessi
sotto la sua vigenza (non anche invece per quelli anteriori: v. in tal senso Corte
cost. sent. n. 394 del 23/11/2006; nonché Sez. 4, n. 13903 del 28/02/2014,
Spampinato, cit.), ove la sua applicazione in concreto possa condurre a un
trattamento più favorevole per l’imputato: ciò per il principio inderogabile della
irretroattività delle legge penale meno favorevole.
Una siffatta eventualità è, però, in ogni caso da escludere ove si tratti, come
nella specie, di droga pesante atteso che, anche in caso di ritenuta prevalenza
dell’attenuante del fatto lieve, il trattamento sanzionatorio non potrebbe che
6

dell’art. 73, comma 5, T.U. stupefacenti.

risultare (per il più elevato massimo edittale della disposizione più risalente)
comunque più severo rispetto a quello derivante dall’applicazione del nuovo testo
dell’art. 73, comma 5 (v., anche sul punto, Sez. 4, n. 13903 del 28/02/2014,
Spampinato, cit.).

11.

Tirando dunque le fila del ragionamento fin qui esposto, deve

concludersi che, con riferimento all’ipotesi in esame – detenzione a fine di
spaccio di sostanza stupefacente del tipo cocaina, riconosciuta dai giudici di

del 2006 – deve ritenersi applicabile, quanto al trattamento sanzionatorio, quale
lex mitior retroattivamente applicabile anche ai fatti pregressi non coperti da
giudicato ai sensi dell’art. 2, comma quarto, cod. pen., la norma di cui all’art. 73,
comma 5, d.p.r. cit. nel testo da ultimo sostituito all’art. 1, comma 24-ter, del
d.l. 20 marzo 2014, n. 36, conv. con modif. dalla legge n. 79 del 2014, che,
come detto, configura detta ipotesi come figura autonoma di reato, sottraendola
pertanto al giudizio di bilanciamento con le circostanze aggravanti, fissando una
forbice edittale (come detto compresa tra un minimo di sei mesi di reclusione ed
C 1.032,00 di multa e un massimo di quattro anni di reclusione ed C 10.329 di
multa), nettamente meno severa rispetto a quella tenuta presente dal G.I.P.
nell’applicazione della pena concordata.

12. Si pone pertanto la necessità di rideterminare la pena. Operazione che
implica una integrale rinnovazione del giudizio di commisurazione, in funzione
della nuova cornice edittale da assumersi a riferimento.
La sentenza impugnata va pertanto annullata senza rinvio con la
conseguente trasmissione degli atti al Tribunale di Nocera Inferiore per il corso
ulteriore.
Resta naturalmente assorbito l’esame del ricorso proposto dal Procuratore
Generale distrettuale.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone la trasmissione degli
atti al Tribunale di Nocera Inferiore per il corso ulteriore.
Assorbito il ricorso del Procuratore Generale.
Così deciso il 27/6/2014

merito come fatto di lieve entità, commesso sotto la vigenza della legge n. 49

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