Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32201 del 26/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 32201 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: MARINELLI FELICETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ALTEA CORRADO N. IL 13/08/1950
avverso l’ordinanza n. 17/2014 TRIB. LIBERTA’ di CAGLIARI, del
21/02/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA
MARINELLI;
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le conclusioni del PG Dott.

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Data Udienza: 26/06/2014

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Con ordinanza in data 21 febbraio 2014 il Tribunale del
riesame di Cagliari rigettava l’appello proposto dalla
difesa di Corrado Altea, indagato in ordine ai delitti di
cui agli articoli 74, comma 2 e 73, commi l e 1-bis e 80
comma 2, d.PR.309/90 n.309, e confermava l’ordinanza del 20
gennaio 2014 del giudice per le indagini preliminari del
Tribunale della stessa città con cui era stata rigettata la
richiesta di revoca della misura della custodia cautelare
in carcere ovvero di sostituzione con altra meno
afflittiva.
Avverso tale provvedimento Altea Corrado, a mezzo del suo
difensore, proponeva ricorso per Cassazione e concludeva
chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:
l)
art.606 lett.b), c) ed e) c.p.p. in relazione agli
articoli 125,546 lett.e) c.p.p. e 24 e 111 Cost..
Lamentava la difesa che la motivazione della gravata
ordinanza era meramente apparente, in quanto il
provvedimento in questione costituiva una copia del
precedente provvedimento del G.I.P. del 20.01.2014 che,
a sua volta, era una copia dell’ordinanza di custodia
cautelare fondata sulle ipotesi accusatorie formulate
dal pubblico ministero.
2) Art.606 lett.b), c) ed e) c.p.p. per violazione e falsa
applicazione degli articoli 272,273,274 e 275 c.p.p. e
per inadeguatezza e contraddittorietà della
motivazione. Sosteneva la difesa che non sussisterebbe
il requisito della gravità indiziaria con riferimento
al reato associativo. In particolare del tutto
irrilevanti sarebbero i rapporti intrattenuti
dall’Altea con trafficanti colombiani, in quanto, a
proposito di tali fatti, era intervenuto provvedimento
di archiviazione del G.I.P. di Firenze. Nessun guadagno
invece aveva tratto l’Altea dalla asserita
partecipazione all’associazione di cui è processo,
trovando spiegazione il suo coinvolgimento nei fatti di
causa soltanto nei difficili e conflittuali rapporti
con il coindagato Milia. Neppure vi sarebbe prova certa
del fatto più grave attribuito all’Altea e cioè quello
di avere portato e consegnato a trafficanti calabresi a
Milano in data 14.05.09 una grossa somma di centinaia
di migliaia di euro per pagare una ingente partita di
droga, in considerazione anche del fatto che era stato
proprio l’odierno ricorrente a sollecitare il pubblico
ministero a svolgere accertamenti sui suoi spostamenti
in data 14.05.09, anche in ragione di quanto risultava
dalla sua agenda professionale. Osservava infine la
difesa che, contrariamente a quanto sostenuto
nell’ordinanza impugnata, non rispondeva al vero che il
tempo trascorso dall’adozione della misura cautelare

RITENUTO IN FATTO

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C

CONSIDERATO IN DIRITTO
Osserva la Corte di Cassazione che i proposti motivi sono
infondati.
Per quanto attiene al primo si osserva che il
provvedimento impugnato indica dettagliatamente, con
motivazione congrua e adeguata, le ragioni per cui ha
ritenuto che sussista sia il requisito della gravità
indiziaria in relazione ai delitti di cui agli articoli 74
e 73 d.PR.309/90, sia quello delle esigenze cautelari.
Comunque, anche se si ritenesse che quanto affermato dalla
difesa del ricorrente corrisponda al vero, si osserva che,
secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr, tra le
altre, Cass. Sez. 4, Sent. n. 16886 del 20.1.2004, Rv.
227942), al giudice è consentito motivare “per relationem”
purchè egli si attenga al rispetto di criteri specifici in
ossequio ai quali:1) ogni riferimento risulti ad un atto
legittimo del procedimento la cui motivazione sia congrua
per rapporto alla propria “giustificazione” verso il
provvedimento finale; 2) il decidente sia pienamente a
conoscenza delle ragioni del provvedimento di riferimento
e risulti che le ritenga coerenti alla propria decisione e
le condivida; 3) risulti che l’atto di riferimento sia
conosciuto dall’interessato o almeno a lui ostensibile.
Anche sotto tale profilo,quindi, il motivo proposto è
infondato.
Passando all’esame del secondo motivo di ricorso, si
osserva che lo stesso è generico oltre che infondato.
Il Tribunale del riesame ha infatti indicato i fattori di
novità che erano sopravvenuti al giudizio di riesame e al
precedente appello, evidenziando, con congrua e adeguata
motivazione, che gli stessi non erano tali da modificare il
pesante quadro indiziario nei confronti dell’Altea, né a
diminuire le esigenze cautelari così da consentire
l’applicazione di una misura gradata.
In particolare i giudici del Tribunale del riesame hanno
rilevato che l’unico fattore di novità era costituito dalle
dichiarazioni qualificate come confessorie dall’Altea in

fosse un elemento di per sé poco significativo. Quindi
non sussisterebbero ragioni per mantenere il ricorrente
in regime di custodia cautelare in carcere, o
quantomeno per negargli gli arresti domiciliari, in
quanto non ci sarebbero elementi per ritenere che egli
tornerebbe di sicuro e agevolmente a riprendere i
contatti con i narcotrafficanti e quindi continuerebbe
a porre in essere illecite transazioni di importanti
partite di stupefacenti.
La difesa del ricorrente presentava altresì memoria in cui
ribadiva le già esposte conclusioni.

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data 6.11.2013 e dal tempo trascorso dall’adozione della
misura (circa 9 mesi), ma che tali elementi non erano tali
da superare le valutazioni effettuate dal primo giudice
nell’ordinanza appellata. Il provvedimento impugnato ha
infatti chiarito che l’Altea, nell’interrogatorio di cui
sopra, aveva ammesso la sua partecipazione, in concorso con
il coindagato Milia, a trattative internazionali gestite
direttamente da lui per l’importazione di un ingente
quantitativo di stupefacenti dalla Colombia, ma non aveva
tenuto analogo atteggiamento collaborativo in relazione a
tutti i fatti contestati, come, ad esempio, a proposito del
viaggio da lui effettuato a Milano nel maggio 2009, prima
negato ed ammesso solo allorquando il pubblico ministero
gli aveva mostrato copia dei biglietti del volo da lui
effettuato nella circostanza. Neppure aveva ammesso i
legami internazionali con il mondo del narcotraffico, in
particolare i rapporti da lui personalmente intrattenuti
con i fornitori “calabresi” Scordo, Morabito e Lukaj.
In particolare sul punto il provvedimento impugnato ha
richiamato tutti i gravi indizi di colpevolezza nei
confronti dell’odierno ricorrente in ordine ai reati a lui
ascritti, con particolare riferimento alla circostanza che
egli era andato a Milano per consegnare una grossa somma di
danaro ai fornitori calabresi, come risultava dalle
conversazioni telefoniche intercettate da cui si evinceva
che l’Altea era stato colà inviato dal Milia per incontrare
i calabresi che appunto rifornivano di droga
l’associazione.
Per quanto poi attiene alla questione relativa al tempo
trascorso dall’adozione della misura e dall’epoca dei fatti
prospettata dalla difesa, il provvedimento impugnato ha
rilevato che, alla conclusione delle indagini preliminari,
la posizione processuale dell’Altea si è aggravata con la
contestazione di ulteriori gravi reati che si erano
aggiunti a quelli, già particolarmente gravi, della
contestazione cautelare. I giudici del riesame hanno
evidenziato sul punto che i reati ascritti all’imputato non
erano espressione di scelte estemporanee e di episodi
occasionali, ma erano sintomo di strutturale inserimento
dell’imputato nell’ambiente del narcotraffico. Ricordavano
quindi la statuizione dell’art.275 c.p.p. che stabilisce
che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza per il
reato di cui all’art.74 d.PR.309/90, deve essere applicata
la misura della custodia in carcere, a meno che non
emergano elementi da cui risulti l’insussistenza delle
esigenze cautelari (presunzione che, da assoluta, è
diventata relativa a seguito dell’intervento della Corte
costituzionale -sentenza del 2 luglio 2011 n.231).
Nella fattispecie che ci occupa i giudici del riesame hanno
evidenziato che l’esito delle indagini e il comportamento
processuale dell’imputato, unitamente alla circostanza che
l’Altea ha commesso i gravi reati abusando della sua

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PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente
provvedimento sia trasmesso al direttore dell’istituto
penitenziario competente perché provveda a quanto
stabilito dall’art. 94 c.1 ter disp.att. del c.p.p..
Così deciso in Roma il 26.06.2014

qualità di difensore, avevano indotto a ritenere che
soltanto la misura della custodia in carcere continuasse ad
essere l’unica adeguata, in grado di fronteggiare le gravi
esigenze cautelari esistenti.
Sulla base di tali argomentazioni logiche e pertinenti
nessun rilievo può essere quindi attribuito al tempo
trascorso (nove mesi), peraltro non molto lungo in
considerazione della gravità dei fatti contestati,
dall’adozione della misura e al tempo trascorso dalla
commissione dei reati.
Il proposto ricorso deve essere, pertanto, rigettato e il
ricorrente condannato al pagamento delle spese
processuali.

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