Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32193 del 26/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 32193 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: MARINELLI FELICETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SPINALI SALVATORE N. IL 13/09/1961
avverso l’ordinanza n. 38/2012 CORTE APPELLO di CATANIA, del
16/09/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA
MARINELLI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Data Udienza: 26/06/2014

La Corte di Appello di Catania, con ordinanza resa all’udienza
camerale del giorno 16.09.2013 rigettava l’istanza di riparazione
presentata nell’interesse di Spinali Salvatore per ingiusta
detenzione in regime di custodia in carcere dal 13/11/07 all’8.11.08
perché indagato in ordine al delitto di concorso esterno in
associazione di stampo mafioso, delitto da cui era stato dapprima
condannato dal G.U.P. del Tribunale di Catania e poi assolto con la
formula “per non aver commesso il fatto” con sentenza del 30.04.2010
emessa dalla Corte di appello della stessa città, divenuta
irrevocabile.
Spinali Salvatore, a mezzo del suo difensore, proponeva quindi
ricorso per cassazione avverso l’ordinanza della Corte di appello di
Catania e concludeva chiedendone l’annullamento.
Il ricorrente censurava l’ordinanza impugnata per violazione ed
erronea applicazione degli articoli 314 e 315 cod.proc.pen. e per
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione
ex art. 606 comma 1 lett. e) cod.proc.pen., in particolare nella
parte in cui la Corte di appello rimproverava in termini di colpa
grave condotte insuscettibili di essere riguardate alla stregua di
macroscopica negligenza e trascuratezza.
In particolare, con il primo motivo, la difesa sosteneva che la
decisione impugnata, oltre a contenere in motivazione dati
“estravaganti”, indicativi della “imbarazzante ignoranza che la Corte
dimostra dell’intera vicenda”, svolgeva un discorso giustificativo
viziato in punto del nesso di causalità tra condotta, ritenuta come
ostativa e provvedimento cautelare ingiusto e ciò perché la condotta
del richiedente non era stata vagliata con esplicito riferimento al
provvedimento custodiale ingiusto.
Con il primo motivo la difesa faceva poi un secondo rilievo critico.
Osservava infatti che nella parte conclusiva, l’ordinanza,
concludendo il discorso svolto a sostegno della ravvisata condotta
ostativa, invece di fare riferimento al delitto per il quale il
richiedente aveva subito la restrizione ingiusta, e cioè al concorso
esterno in associazione mafiosa, aveva fatto riferimento al “reato di
rapina aggravata o quantomeno di ricettazione aggravata”.
Con il secondo motivo di ricorso la difesa deduceva che la decisione
aveva enucleato erroneamente la condotta ostativa e ciò perché “la
riqualificazione giuridica del fatto da parte del giudice di merito”
escludeva la possibilità di applicare la misura cautelare.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze a mezzo dell’Avvocatura
Generale dello Stato presentava tempestiva memoria e concludeva
chiedendo di voler dichiarare inammissibile il proposto ricorso
ovvero di rigettarlo.
La difesa del ricorrente presentava memorie di cui una contenente
motivi aggiunti in cui ribadiva le già esposte conclusioni.

Ritenuto in fatto

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(

Il ricorso è infondato.
Osserva la Corte che il diritto a equa riparazione per l’ingiusta
detenzione, regolato dagli artt. 314 e ss. c.p.p., trova fondamento
nella condizione soggettiva della persona sottoposta a detenzione
immeritata e in tal senso ingiusta. Il quadro sistematico di
riferimento è un quadro di diritto civile ma non è quello dell’art.
2043 c.c. che appresta sanzioni contro chi produce per dolo o colpa
un danno ingiusto ad altri. Il principio regolatore è piuttosto
quello della riparazione legata ad eventi che producono il sorgere,
quali conseguenze di principi di solidarietà e di giustizia
distributiva, di responsabilità da atto lecito (la distinzione tra
responsabilità per danno ingiusto ex art. 2043 c.c. e responsabilità
per atto lecito è ben chiarita da Cass. SS.UU. civ. 11/6/2003 n.
9341). E’ ben fermo, in materia, l’assetto delle regole generalissime
che disciplinano l’onere della prova civile ex art. 2697 c.c. posto
che il procedimento relativo alla riparazione per l’ingiusta
detenzione, quantunque si riferisca ad un rapporto obbligatorio
di diritto pubblico e comporti perciò il rafforzamento dei poteri
officiosi del giudice, e’ tuttavia ispirato ai principi del
processo civile, con la conseguenza che l’istante ha l’onere
di provare i fatti costitutivi della domanda, la custodia
cautelare subita e la successiva assoluzione ( Corte Cass. Sez. 4
sent. n. 23630 02/04/2004 – 20/05/2004 ). Peraltro il sorgere
del diritto è condizionato alla esistenza di una condotta del
richiedente che al tempo del processo in nulla abbia dato causa o
concorso a dare causa a quella ingiusta detenzione. L’operazione
intesa a cogliere tali condizioni deve scandagliare solo l’eventuale
efficienza causale delle condotte dell’imputato che possano aver
indotto, anche nel concorso dell’altrui errore, secondo una
valutazione ragionevole e non congetturale il giudice a stabilire la
misura della detenzione (Cass. SSUU 13/12/95 n. 43, Sez IV 10/3/2000
n. 1705).
Il giudice,pertanto, deve fondare la sua decisione su fatti concreti
e precisi e non su mere supposizioni, esaminando la condotta del
richiedente, sia prima e sia dopo la perdita della libertà personale,
indipendentemente dall’eventuale conoscenza che quest’ultimo abbia
avuto dell’attività di indagine, al fine di stabilire, con
valutazione ex ante, non se tale condotta integri estremi di reato,
ma solo se sia stato il presupposto che ha ingenerato, ancorchè in
presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della
sua configurazione come illecito penale, dando luogo alla detenzione
con rapporto di causa ad effetto (cfr. Cass. Sezioni Unite, Sent.
n.34559/2002; Cass., Sez.4, Sent. n.17552 del 2009)

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Considerato in diritto

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Tanto premesso si osserva che la Corte di Appello di Catania, con
motivazione adeguata, ha enucleato, con congrua verifica degli
accertati elementi di riferimento, la condotta del richiedente
ostativa all’accoglimento dell’istanza di equa riparazione. In primo
luogo ha posto in rilievo che era stato accertato, sulla base delle
dichiarazioni del collaboratore di giustizia Stupore Massimo,
affiliato al clan mafioso “Bottaro Attanasio” e della fitta rese di
conversazioni telefoniche, di cui molte tra il richiedente e sodali
della sopra indicata associazione mafiosa, riportate per ampi stralci
nell’ordinanza gravata, che lo Spinali aveva svolto, rapportandosi,
tra gli altri, con uno degli elementi di spicco del clan mafioso,
Minniti Salvatore, un ruolo importante nella gestione delle bische,
settore strategico dell’attività del clan mafioso, e ciò nella piena
consapevolezza delle dinamiche illecite della comune attività, dato,
quest’ultimo che, oltre a desumersi dal tenore delle sopra indicate
conversazioni intercettate, trovava esplicita indicazione nella
sentenza assolutoria (cfr pag 4 del ricorso introduttivo).
Tanto premesso si osserva che tale condotta del richiedente,
quantomeno gravemente colposa, ha avuto incidenza quanto meno
concausale nell’emissione del provvedimento custodiale.
Si osserva infatti che, secondo la giurisprudenza di legittimità
(cfr, Cass., sez.3, sent.n.363 dell’8.01.2008) “in tema di
riparazione per ingiusta detenzione, le frequentazioni ambigue, ossia
quelle che si prestano oggettivamente ad essere interpretate come
indizi di complicità, quando non sono giustificate da rapporti di
parentela e sono poste in essere con la consapevolezza che trattasi
di soggetti coinvolti in traffici illeciti, possono dare luogo ad un
comportamento gravemente colposo idoneo ad escludere la riparazione
stessa”.
Quanto poi all’esame degli specifici motivi di ricorso, si osserva,
con riferimento al primo, a proposito delle deduzioni sulle notazioni
“estravaganti” della decisione, in particolare al frammento di una
massima riportata a pagina 5 dell’ordinanza in cui si allude alla
valenza del “consapevole silenzio”, che si assume essere condotta
processuale non tenuta dal richiedente, si rileva che la massima in
questione contiene un principio di diritto estraneo al nodo
essenziale dell’apparato argomentativo della decisione sottoposta
alla verifica di legittimità, donde l’irrilevanza della condotta ivi
esemplificativamente richiamata.
Quanto poi all’erroneo riferimento nell’ordinanza gravata al reato di
rapina aggravata o quantomeno di ricettazione aggravata, si rileva
che trattasi di un palese refuso, assolutamente irrilevante, posto
che non scalfisce la tenuta della congruità logica della motivazione.
Quanto poi al secondo motivo di ricorso, lo stesso è infondato in
quanto muove dal presupposto che si debba applicare alla fattispecie
in esame il principio di diritto sancito dalla sentenza delle sezioni
unite di questa Corte n.32383 del 2010, che si riferisce a
fattispecie diversa.

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Nella fattispecie che ci occupa infatti la domanda di riparazione per
ingiusta detenzione è stata azionata sul presupposto
dell’assoluzione, sancita in secondo grado, dopo la condanna in primo
grado, e cioè in base al disposto dell’art.314, c.1, c.p.p. e non in
base al disposto dell’art.314 c.2 c.p.p., che si riferisce ai casi in
cui”con decisione irrevocabile risulti accertato che il provvedimento
che ha disposto la misura è stato emesso o mantenuto senza che
sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli articoli
273 e 280 c.p.p.”. Ora, la sentenza delle Sezioni Unite, che il
ricorso richiama a sostegno delle proprie deduzioni, si riferisce a
questa seconda categoria giuridica ed espone un principio di diritto
che ha una sua razionale giustificazione in relazione unicamente a
questa categoria giuridica. Deve essere in particolare rilevato che
la richiamata sentenza delle Sezioni Unite ha risolto in senso
positivo la rilevante questione della operatività della condotta
ostativa, esplicitamente prevista solo dal comma l dell’art.314
c.p.p., e cioè solo per i casi di assoluzione, anche per i casi di
cui al comma secondo della norma, e cioè quelli in cui una decisione
irrevocabile abbia accertato l’insussistenza delle condizioni che
avevano legittimato l’arresto.
Nel caso in esame il ricorso deduce da un principio di diritto
sancito in relazione ad una diversa categoria giuridica che la
decisione gravata non avrebbe potuto desumere la condotta ostativa
dal comportamento tenuto dal richiedente prima dell’emissione del
provvedimento cautelare ingiusto in quanto l’assoluzione è
conseguita, in secondo grado, ad una diversa qualificazione giuridica
della condotta contestata nel sopra indicato provvedimento
custodiale.
La deduzione è infondata perché, come sopra evidenziato, scaturisce
da un principio di diritto affermato in relazione ad una diversa
categoria giuridica.
In conclusione il provvedimento impugnato, che definisce il
procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione, supera il
vaglio di questa Corte che è limitato alla correttezza del
procedimento logico giuridico con cui il Giudice è pervenuto ad
accertare o negare i presupposti per l’ottenimento del beneficio
indicato. Resta invece nelle esclusive attribuzioni del giudice di
merito, che è tenuto a motivare adeguatamente e logicamente il suo
convincimento, la valutazione sull’esistenza e la gravità della colpa
e sull’esistenza del dolo.
Il legislatore non ha infatti riconosciuto incondizionatamente il
diritto all’equa riparazione, ma l’ha esplicitamente escluso
allorquando il comportamento dell’indagato, come appunto nella
fattispecie de qua, abbia indotto in errore il giudice circa
l’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza a suo carico.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato e il ricorrente deve essere
condannato al pagamento delle spese processuali e alla rifusione
delle spese di questo giudizio in favore del Ministero resistente che

liquida in complessivi euro 1.000,00, poiché la memoria presentata
dall’Avvocatura contiene argomentazioni pertinenti e rilevanti.
P.Q.M.

Così deciso in Roma il 26.06.2014

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonchè alla rifusione in favore del Ministero
dell’Economia e delle Finanze delle spese del presente giudizio che
liquida in complessivi euro 1.000,00.

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