Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32191 del 24/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 32191 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Gaeta Antonino n. il 6.11.1948
avverso l’ordinanza n. 13/2008 pronunciata dal Giudice di pace di
Montoro Superiore il 2.4.2013;
sentita nella camera di consiglio del 24.6.2014 la relazione fatta dal
Cons. dott. Marco Dell’Utri;
lette le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del dott. F.
Baldi, che ha richiesto l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato.

Data Udienza: 24/06/2014

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Ritenuto in fatto
i. Con atto in data 24.7.2013, Agostino Gaeta ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza in data 2.4.2013 con la quale
il giudice di pace di Montoro Superiore ha provveduto alla liquidazione delle spese relative al giudizio civile introdotto, dinanzi al Tribunale di Avellino, da Agostino Gaeta nei confronti di Michele Liotti,
Assunta Guarino, Michelangelo Severitano, Luciano D’Urso e Maria
Teresa Troisi, definito, dal tribunale di Avellino, con la pronuncia di
estinzione del giudizio e con la trasmissione degli atti al giudice di
pace di Montorio Superiore, avendo il Gaeta trasferito l’azione civile
in sede penale, ai sensi dell’art. 75 c.p.p..
Con il provvedimento impugnato, il giudice di pace di Montoro
superiore, provvedendo sulle istanze proposte dal Liotti, dalla Guarino, dal Severitano, dal D’Urso e dalla Troisi, ha proceduto alla liquidazione delle spese del giudizio civile estinto ai sensi dell’art. 75 c.p.p.
mediante ordinanza adottata al di fuori del processo penale nel quale
il Gaeta aveva trasferito l’azione civile già esercitata dinanzi al tribunale di Avellino.
Con il proposto ricorso, il Gaeta denuncia l’abnormità del
provvedimento impugnato, avendo il giudice di pace di Montoro Superiore proceduto alla liquidazione delle spese del giudizio civile mediante l’adozione di un atto diverso dalla sentenza destinata a definire il processo penale nel quale lo stesso Gaeta aveva trasferito l’azione
civile, e pertanto al di fuori del caso consentito e dell’ipotesi prevista
dalla legge.
Ha depositato memoria il procuratore generale presso la corte
di cassazione, concludendo per l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato.
Considerato in diritto
2. – Il ricorso è fondato.
Con riguardo al tema generale relativo alla figura dell’abnormità dei provvedimenti del giudice, osserva il collegio come la stessa
rappresenti il risultato di una lunga elaborazione giurisprudenziale
con cui – a partire dall’entrata in vigore del codice del 1930 – è stata
creata, accanto a quella tradizionale dell’invalidità, la categoria del
provvedimento abnorme.

L’intento dichiarato di tale operazione d’integrazione normativa è stato quello di introdurre un correttivo al principio della tassatività dei mezzi d’impugnazione, nel senso che si è inteso apprestare il
rimedio del ricorso per cassazione contro quei determinati provvedimenti che, pur non essendo oggettivamente impugnabili, risultino,
tuttavia, affetti da anomalie genetiche o funzionali così radicali da
non poter essere inquadrati in alcuno schema legale e da giustificarne
la qualificazione dell’abnormità (Cass., Sez. Un., n. 11/1997, Quaranta°.
Il ricorso per cassazione costituisce, pertanto, lo strumento
processuale utilizzabile per rimuovere gli effetti di un provvedimento
che, per la singolarità e la stranezza del suo contenuto, dev’essere
considerato avulso dall’intero ordinamento giuridico (cfr. Cass., Sez.
Un., n. 7/1989, Goria).
In mancanza di una definizione legislativa, la giurisprudenza
di questa Corte ha configurato il paradigma del provvedimento abnorme ponendone in risalto i caratteri salienti nel fatto che esso si
discosta e diverge non solo dalla previsione di determinate norme ma
anche dall’intero sistema organico della legge processuale, tanto da
porsi come atto insuscettibile di ogni inquadramento normativo e da
risultare imprevisto e imprevedibile rispetto alla tipizzazione degli
atti processuali compiuta dal legislatore (Cass., Sez. Un., Sentenza n.
11/1997 cit.; Cass., Sez. 3, n. 3010/1996, Rv. 206058; Cass., Sez. 1, n.
2383/1993, Rv. 195510; Cass., Sez. 6, n. 4121/1992, Rv. 192943;
Cass., Sez. 5, n. 1338/1992, Rv. 191559).
In altre decisioni è stato precisato che è abnorme non solo il
provvedimento che, per la sua singolarità, non sia inquadrabile
nell’ambito dell’ordinamento processuale, ma anche quello che, pur
essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al
di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite (Cass. Sez. 3, n. 757/1997, Rv. 207297; Cass., Sez. i,
n. 4023/1996, Rv. 205358; Cass., Sez. 5, n. 182/1994, Rv. 197091).
Nella ricerca degli elementi qualificanti la figura del provvedimento abnorme è stato altresì stabilito che l’atto abnorme rappresenta un’evenienza del tutto eccezionale essendo emesso in assoluta
carenza di potere, oltre che con radicale divergenza dagli schemi e
dai principi ispiratori dell’ordinamento processuale (Cass., Sez. 6, n.
2628/1993, Rv. 196925), e che l’abnormità inerisce soltanto a quei

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provvedimenti che si presentano avulsi dagli schemi normativi e non
anche a quelli che, pur essendo emessi in violazione di specifiche
norme processuali, rientrano tra gli atti tipici dell’ufficio che li adotta
(Cass., Sez. 2, n. 2035/1995, Rv. 201657): inoltre, è stato posto in luce
che l’abnormità dell’atto processuale può riguardare tanto il profilo
strutturale, allorché, per la sua singolarità, si pone fuori del sistema
organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando, pur non estraneo al sistema normativo, determina la stasi del
processo e l’impossibilità di proseguirlo (Cass., Sez. 3, n. 2853/1995,
Rv. 205406; Cass., Sez. 5, n. 1465/1994, Rv. 197999).
L’assenza di criteri omogenei e uniformi d’identificazione dei
caratteri distintivi del provvedimento abnorme ha contribuito a una
progressiva estensione di tale categoria alla quale la giurisprudenza
di legittimità ha fatto ricorso per rimuovere situazioni processuali extra ordinem – altrimenti non eliminabili – create da provvedimenti
del giudice inficiati da anomalie genetiche o funzionali che ne impediscono l’inquadramento nei tipici schemi normativi e li rendono incompatibili con le linee fondanti del sistema processuale (Cass., Sez.
Un., n. 11/1997, cit.).
È opportuno, poi, osservare come il legislatore del 1988, pur
prendendo atto del diritto vivente e della flessibilità inerente alla nozione di provvedimento abnorme, abbia preferito astenersi da qualsiasi diretto intervento normativo, motivando la scelta dell’esclusione
di un’espressa previsione dell’impugnazione dei provvedimenti abnormi con “la rilevante difficoltà di una possibile tipizzazione e la
necessità di lasciare sempre alla giurisprudenza di rilevarne l’esistenza e di fissarne le caratteristiche ai fini della impugnabilità. Se
infatti, proprio per il principio di tassatività, dovrebbe essere esclusa ogni impugnazione non prevista, è vero pure che il generale rimedio del ricorso per cassazione consente comunque l’esperimento
di un gravame atto a rimuovere un provvedimento non inquadrabile nel sistema processuale o adottato a fini diversi da quelli previsti
dall’ordinamento” (Relazione al prog. prel., pag. 126).
3. – Ad esito della lunga elaborazione giurisprudenziale delle
sezioni unite di questa Corte (Cass., Sez. Un., n. 7/1989, Rv. 181303;
Cass., Sez. Un., n. 11/1997, Rv. 208221; CaSS., Sez. Un., n. 17/1997,
Rv. 209603; Cass., Sez. Un., n. 26/1999, Rv. 215094; Cass., Sez. Un.,

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n. 33/2000, Rv. 217244; Cass., Sez. Un., n. 4/2001, Rv. 217760;
Cass., Sez. Un., n. 22909/2005, Rv. 231162; Cass., Sez. Un., n.
5307/2007, Rv. 238239), la più recente riflessione delle stesse sezioni unite in thema è tornata a ribadire come la categoria dell’abnormità è stata elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza in stretto
collegamento con il tema della tassatività, che, come è noto, pervade
il regime delle impugnazioni, in genere, e del ricorso per cassazione
in specie. Rimedio, quest’ultimo, che, significativamente, racchiude
in sé l’esigenza di approntare uno strumento – eventualmente alternativo e residuale rispetto a tutti gli altri rimedi – che assicuri il controllo sulla legalità del procedere della giurisdizione (Cass., Sez. Un.,
n. 25957/2009, Rv. 243590).
L’abnormità, quindi, più che rappresentare un vizio dell’atto in
sé, da cui scaturiscono determinate patologie sul piano della dinamica processuale, integra – sempre e comunque – uno sviamento della
funzione giurisdizionale, la quale non risponde più al modello previsto dalla legge, ma si colloca al di là del perimetro entro il quale è riconosciuta dall’ordinamento. Tanto che si tratti di un atto strutturalmente ‘eccentrico’ rispetto a quelli positivamente disciplinati,
quanto che si versi in un’ipotesi di atto normativamente previsto e
disciplinato, ma ‘utilizzato’ al di fuori dell’area che ne individua la
funzione e la stessa ragione di essere ne//’iter procedimentale, ciò
che segnala la relativa abnormità è proprio l’esistenza o meno del ‘potere’ di adottarlo (Cass., Sez. Un., n. 25957/2009, cit.).
In questa prospettiva, dunque, abnormità strutturale e funzionale si saldano all’interno di un ‘fenomeno’ unitario. Se all’autorità
giudiziaria può riconoscersi l’attribuzione circa l’adottabilità di un
determinato provvedimento, i relativi eventuali vizi saranno solo
quelli previsti dalla legge, a prescindere dal fatto che da essi derivino
effetti regressivi del processo. Ove, invece, sia proprio l’attribuzione a
far difetto – e con essa, quindi, il legittimo esercizio della funzione
giurisdizionale – la conseguenza non potrà essere altra che quella
dell’abnormità, cui consegue l’esigenza di rimozione.
Trova dunque conferma il principio secondo cui deve ritenersi
affetto da vizio di abnormità, sotto un primo profilo, il provvedimento che, per singolarità e stranezza del suo contenuto, risulti avulso
dall’intero ordinamento processuale, ovvero quello che, pur essendo
in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori

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4. — Pervenendo all’esame del caso di specie, ritiene questa
corte che il provvedimento di liquidazione delle spese processuali in
questa sede impugnato deve ritenersi pienamente riconducibile alla
categoria dell’abnormità così come descritta nel richiamato insegnamento delle sezioni unite.
E infatti, pur costituendo, detto provvedimento di liquidazione
delle spese processuali, la manifestazione in astratto di un legittimo
potere del giudice di merito, lo stesso deve ritenersi esplicato, nel caso concreto, al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di
là di ogni ragionevole limite, integrando uno sviamento della funzione giurisdizionale, tale da non rispondere più al modello previsto
dalla legge, per collocarsi al di là del perimetro entro il quale tale funzione è riconosciuta dall’ordinamento (Cass., Sez. Un, n.
25957/2009, Rv. 243590, cit.).
In particolare, l’avvenuta liquidazione delle spese del giudizio
mediante l’adozione di un (atipico) provvedimento diverso da quello
destinato alla definizione del giudizio cui dette spese sono destinate
ad accedere, determina un’inammissibile dissoluzione del nesso di
derivazione causale tra il principio della soccombenza processuale e il
dovere di rimborso delle relative spese (cfr. Cass., Sez. i, n.
4875/1994, Rv. 199783).
E tanto, al di là dell’elementare considerazione incline a ribadire la persistente possibilità, conservata alla parte che risultasse vincitrice ad esito del giudizio, di conseguire la liquidazione delle spese
alla stessa legittimamente spettanti.
5. – Sulla base delle argomentazioni che precedono, dev’essere
dunque accertata la radicale abnormità del provvedimento in questa
sede impugnato dal ricorrente, con la conseguente pronuncia del relativo annullamento senza rinvio.

dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di là di ogni ragionevole
limite. Sotto altro profilo, si è detto che l’abnormità può discendere
da ragioni di struttura allorché l’atto si ponga al di fuori del sistema
organico della legge processuale, ovvero può riguardare l’aspetto funzionale nel senso che l’atto stesso, pur non essendo estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo (Cass., Sez. Un, n. 25957/2009, Rv. 243590, cit.).

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Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, annulla senza rinvio il provvedimento impugnato.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 24.6.2014.

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