Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32190 del 24/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 32190 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Venturini Andrea n. il 13.5.1977
Miozzi Massimiliano n. il 2.7.1969
Tumburus Bruno n. il 12.3.1974
avverso la sentenza n. 45086/2011 pronunciata dalla Corte di Cassazione il 10.10.2012;
sentita nella camera di consiglio del 24.6.2014 la relazione fatta dal
Cons. dott. Marco Dell’Utri;
sentito il Procuratore Generale, in persona del dott. V. Geraci, che ha
concluso per la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 24/06/2014

Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso in data 18.10.2013, a mezzo del comune difensore, Andrea Venturini, Massimiliano Miozzi e Bruno Tumburus
hanno proposto ricorso straordinario per errore di fatto, ai sensi
dell’art- 625-bis c.p.p., avverso la sentenza della terza sezione penale
di questa corte di cassazione emessa in data 10.10.2012 (n.
17712/2013), con cui è stato rigettato il ricorso proposto dai tre istanti
avverso la sentenza in data 2.2.2011 con la quale, ai sensi dell’art. 444
c.p.p., il tribunale di Roma ha applicato, a carico dei tre imputati, le
pene di giustizia, oltre alle misure del divieto di accesso ai luoghi in
cui si svolgono manifestazioni sportive e dell’obbligo di presentarsi
agli uffici di polizia giudiziaria territorialmente competenti durante lo
svolgimento delle ridette manifestazioni, per la durata di tre anni, in
relazione alla commissione, da parte dei tre ricorrenti, del reato di cui
all’art. 6-bis della legge n. 401/89 (come modificata dalla legge n.
41/2007).
Con il ricorso ex art. 625-bis c.p.p., i ricorrenti hanno evidenziato l’errore di fatto in cui è incorsa la corte di cassazione
nell’omettere di considerare il motivo sub 4) del ricorso presentato
avverso la sentenza del tribunale romano, specificamente diretto a
contestare l’omessa motivazione in ordine alla durata della misura
del divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive e dell’obbligo di presentarsi agli uffici di polizia giudiziaria territorialmente competenti durante lo svolgimento delle ridette manifestazioni, espressamente riportato nel corpo del ricorso avanzato in
questa sede.
Considerato in diritto
2. – Il ricorso è inammissibile.
Secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di
legittimità, ai fini del principio di autosufficienza (desumibile dall’art.
606, co. 1, lett. e), c.p.p.), costituisce uno specifico onere del ricorrente, che lamenti l’omessa o travisata valutazione di specifici atti processuali, provvedere all’allegazione o, secondo i casi, alla trascrizione
in ricorso dell’integrale contenuto degli atti medesimi, nei limiti di
quanto già dedotto, perché di essi è precluso al giudice di legittimità
l’esame diretto, a meno che il fumus del vizio non emerga all’evidenza
dalla stessa articolazione del ricorso (Cass., Sez. 2, n. 11806/2011, Rv.

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252794; v. altresì Cass., Sez. i, n. 6112/2009, Rv. 243225; Cass., Sez.
5, n. 11910/2010, Rv. 246552; Cass., Sez. 6, n. 29263/2010, Rv.
248192; Cass., Sez. 2, n. 26725/2013, Rv. 256723).
Detto principio lo si fa derivare dalla previsione dell’art. 606,
co. 1, lett. e) c.p.p., che (nel testo novellato ad opera dalla legge n. 46
del 2006) pone a carico del ricorrente un peculiare onere di inequivoca ‘individuazione’ e di specifica ‘rappresentazione’ degli atti processuali ritenuti rilevanti in relazione alla doglianza dedotta (Cass.,
Sez. 4, n. 3360/2010, Rv. 246499); onere da assolvere nelle forme di
volta in volta più adeguate alla natura degli atti stessi (integrale esposizione e riproduzione nel testo dei ricorso, allegazione in copia, precisa identificazione della collocazione dell’atto nel fascicolo del giudice et similia, ecc).
Nondimeno, si deve affermare la portata generale del principio
– coerente con la natura del processo di legittimità e con i limiti di cognizione di questa Corte – e la sua conseguente rilevanza anche nel
ricorso ex art. 625-bis c.p.p.. Ed infatti, il ricorso per errore materiale
o di fatto postula – al pari del vizio di cui all’art. 606, co. 1, lett. e),
c.p.p. – la specifica indicazione dell’elemento materiale o del fatto erroneo, con la relativa allegazione degli atti processuali da cui risulti
l’errore.
Nella specie gli odierni ricorrenti hanno del tutto omesso di
provvedere all’allegazione in forma integrale (sia pure in copia) del
ricorso per cassazione originariamente proposto avverso la sentenza
del tribunale di Roma del 2.2.2011: allegazione evidentemente indispensabile al fine di verificare l’effettiva proposizione dell’asserito
motivo sub 4) del ricorso presentato avverso la sentenza del tribunale
romano (specificamente diretto a contestare l’omessa motivazione in
ordine alla durata della misura del divieto di accesso ai luoghi in cui
si svolgono manifestazioni sportive e dell’obbligo di presentarsi agli
uffici di polizia giudiziaria territorialmente competenti durante lo
svolgimento delle ridette manifestazioni) e la conseguente mancata
considerazione dello stesso motivo da parte del collegio della terza
Sezione di questa corte di cassazione.
L’odierno ricorso deve ritenersi pertanto incompleto e, come
tale, radicalmente inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve esse-

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Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 24.6.2014.

re condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende
della somma di Euro 1.000,00, così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

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