Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32189 del 24/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 32189 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Tollis Malta n. il 28.1.1991
avverso la sentenza n. 2892/2013 pronunciata dal Tribunale di Velletri il 11.1.2014;
sentita nella camera di consiglio del 24.6.2014 la relazione fatta dal
Cons. dott. Marco Dell’Utri;
lette le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del dott. G.
D’Angelo, che ha richiesto la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 24/06/2014

Ritenuto in fatto
i. – Con atto in data 21.1.2014, a mezzo del proprio difensore,
Maria Tollis ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza
emessa dal Tribunale di Velletri in data 11.1.2014 con la quale, in applicazione della congiunta richiesta dell’imputata e del pubblico ministero, è stata applicata alla Tollis la pena di un anno e tre mesi di
reclusione ed euro 3.000.00 di multa, in relazione ai reati di detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente (di tipo marijuana),
ritenuto di lieve entità (ai sensi dell’art. 73, co. 5, d.p.r. n. 309/90), e
lesioni personali, commessi, in continuazione tra loro, in Colleferro il
28.12.2013.
Con l’impugnazione proposta, la ricorrente censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione, avendo il tribunale di Velletri
giustificato la ritenuta responsabilità dell’imputata senza fornire alcuna adeguata giustificazione in ordine all’esclusione del ricorso di
cause di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p..
Sulla base di tali motivi d’impugnazione, l’imputata ha concluso per l’annullamento della sentenza impugnata.
Ha depositato memoria il procuratore generale presso la Corte
di cassazione, che ha concluso per la dichiarazione d’inammissibilità
del ricorso.
Considerato in diritto
2. – Secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza
di questa corte, nella motivazione della sentenza di patteggiamento, il
richiamo all’art. 129 c.p.p. è sufficiente a far ritenere che il giudice
abbia verificato ed escluso la presenza di cause di proscioglimento
dell’imputato, non occorrendo ulteriori e più analitiche disamine al
riguardo (Cass., n. 6455/2011, Rv 252085).
Infatti, l’obbligo della motivazione, imposto al giudice dall’art.
iii Cost. e dall’art. 125, comma terzo, c.p.p. per tutte le sentenze (operante anche rispetto a quelle di applicazione della pena su richiesta
delle parti), non può non essere conformato alla particolare natura
giuridica della sentenza di patteggiamento, rispetto alla quale, pur
non potendo ridursi il compito del giudice a una funzione di semplice
presa d’atto del patto concluso tra le parti, lo sviluppo delle linee argomentative della decisione è necessariamente correlato all’esistenza

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dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di
provare i fatti dedotti nell’imputazione.
Ne consegue che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una
delle ipotesi di cui all’art. 129 c.p.p. dev’essere accompagnato da una
specifica motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nell’enunciazione – anche implicita – che è stata compiuta la verifica richiesta dalle leggi e che non ricorrono le condizioni per la pronuncia di proscioglimento a norma del citato art. 129 c.p.p. (cfr. Cass., Sez. i, n.
752/1999, Rv. 212742; Cass. Sez. 1, n. 4721/2000, Rv. 216789; Cass.,
Sez. i, n. 6711/2000, Rv. 218050).
Tali argomentazioni consentono di ritenere prive di pregio le
doglianze sul punto sollevate con l’odierna impugnazione, avendo il
giudice del merito espressamente attestato la non ricorrenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 129 c.p.p., emergendo, dall’esame
degli atti del procedimento, gravi elementi di responsabilità a carico
dell’imputata.
3. — Pur a seguito dell’accertamento dell’integrale infondatezza
dei motivi d’impugnazione avanzati dalla ricorrente occorre peraltro
procedere in ogni caso all’annullamento della sentenza impugnata, a
causa dell’avvenuta determinazione del trattamento sanzionatorio
applicato a carico dell’imputata sulla base di una disciplina meno favorevole rispetto a quella sopravvenuta nel tempo (cfr. art. 2 c.p.).
Sul punto, dev’essere infatti rilevato come, in epoca successiva
alla proposizione dell’odierna impugnazione, sia entrato in vigore il
d.l. 20 marzo 2014, n. 36 (convertito con modificazioni con la legge
16 maggio 2014, n. 79) che, nel riformulare l’ipotesi criminosa di cui
all’art. 73, co. 5, d.p.r. n. 309/90, ha disposto che alla stessa corrisponda un trattamento sanzionatorio pari, nel minimo, a sei mesi di
reclusione e, nel massimo, a quattro anni di reclusione, oltre alla
multa da euro 1.032 a euro 10.329.
Nel caso di specie, avendo il giudice a quo recepito l’accordo
delle parti formatosi in relazione al diverso e più severo quadro edittale sancito dalla legge vigente al tempo della commissione del fatto,
suscettibile di modificare la valutazione complessiva concernente la

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Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al tribunale di Velletri
per l’ulteriore corso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 24.6.2014.

determinazione dell’entità della pena, dev’essere disposto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata (ex art. 2 c.p.), con la
conseguente trasmissione degli atti al tribunale di Velletri per l’ulteriore corso.

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