Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32186 del 20/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 32186 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ALIOTTA FRANCES:.. (‘) N. I L 01/05/1981
11:A7/1986
SCALOGNA MARIA
avverso la sentenza n. 59 ,,q2013 GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE
di ENNA, del 26/09/20!.
sentita la relazione fatta oal Consigliere Dott. ‘1USEPPE GRA, SO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
L – 1717-

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Gup

-)k) 94,14A-1

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Data Udienza: 20/06/2014

FATTO E DIRITTO

1. Il Tribunale di Enna con sentenza del 26/9/2013, all’esito di richiesta delle
parti ai sensi dell’art. 444, cod. proc. pen., applicò nei confronti Aliotta Francesco
e Scalogna Maria, imputati di aver detenuto non per esclusivo uso personale
sostanza stupefacente del tipo marijuana, la pena concordata dalle parti
medesime, previo riconoscimento delle attenuanti generiche ed effettuata la

2. Avverso la sentenza gli imputati propongono ricorso per cassazione con il
quale denunzia vizio motivazionale in ordine alla verifica di cui all’art. 129, cod.
proc. pen.

3. Con memoria pervenuta il 3/672004 i ricorrenti illustrano motivo nuovo con il
quale sottopongono al giudice di legittimità le ripercussioni derivanti dalla
pronuncia d’incostituzionalità n. 32/2014.

4. Il motivo non ha pregio in quanto espone censure attinenti al merito delle
valutazioni, sottese al consenso prestato dalle parti medesime (giurisprudenza di
legittimità consolidata: Cass. Sez. 4 Sent. n. 20165 del 29/04/04, rv 228567;
Cass. Sez. 4 Sent. n. 3946 del 30/03/98, rv 210639; Cass. Sez. 1 Sent. n. 6898
del 24/01/97, rv 206642; Cass. Sez. 4 Sent. n. 8060 del 20/08/96, rv 205835;
Sez. III, 3/5/2011, n. 23804).
Condivisibilmente si è, di recente (Cass., Sez. IV, n. 27733 del 18/11/2011;
nello stesso senso, Cass., Sez. Fer., n. 32078 del 12/8/2010) chiarito che nel
procedimento di applicazione della pena su richiesta (art. 444 e ss. c.p.p.), le
parti (anche quella pubblica) non possono prospettare con il ricorso per
cassazione questioni incompatibili con la richiesta di patteggiamento, in
particolare afferenti le prove risultanti dagli atti del procedimento nonché la
qualificazione giuridica del fatto risultante dalla contestazione, in quanto l’accusa
come giuridicamente qualificata non può essere rimessa in discussione. Ne
consegue che, una volta pronunciata la sentenza che ha recepito l’accordo, sul
quale il giudice ha preventivamente esercitato il suo potere di controllo, le parti
(anche quella pubblica) non possono più prospettare questioni e sollevare
censure con riferimento all’applicazione delle circostanze e alla entità della pena,
che non sia illegale.
Né tale doglianza può essere formulata prospettando il difetto di motivazione, in
quanto, con l’accordo intervenuto tra loro, le parti hanno implicitamente
esonerato il giudice dell’obbligo di rendere conto (almeno “inter partes”) dei

riduzione del rito.

punti non controversi della decisione, non potendosi pretendere l’esposizione dei
motivi di un convincimento che le parti stesse hanno già fatto proprio.

5. Non di meno la statuizione deve essere, per altra ragione, annullata. La
caducazione degli artt. 4bis e 4 vicies ter del d.l. n. 272, siccome convertito nella
legge n. 49 del 21/6/2006, che avevano sostituito l’art. 73 del d.P.R. n.
309/1990, ad opera della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 dell’H12/2/2014 (depositata il 25/2/2014 e pubblicata sulla G.U. del 5/3/2014, n. 11,

riportarsi alla normativa anteriore alla riforma del 2006.
Attraverso la disposizione normativa colpita dal giudizio d’incostituzionalità il
legislatore, come noto, aveva proceduto ad equiparare le sostanze stupefacenti,
prima distinte in cd. “leggere” e “pesanti”, definendo un trattamento
sanzionatorio unitario (reclusione da sei a venti anni e multa da 26.000 a
260.000 euro) nei confronti dei soggetti che avevano agito essendo privi
dell’autorizzazione di cui all’art. 17 dello stesso corpo normativo. Il regime in
precedenza in vigore riservava, invece, trattamenti sanzionatori ben differenziati,
a seconda la qualità della sostanza fatta oggetto dell’illecito mercato (reclusione
da otto a venti anni e multa da cinquanta a cinquecento milioni di lire; reclusione
da due a sei anni e multa da dieci a centocinquanta milioni di lire).
In sede di legittimità, si è più volte chiarito (Cass., Sez. V, n. 345 del
13/11/2002, Rv. 224220; Sez. I, n. 1711 del 14/4/1994, Rv. 197464) in siffatti
casi che il rispetto del principio di legalità della pena (comb. disp. art. 2, comma
4, cod. pen. e 129, comma 2, cod. proc. pen.) impone annullamento d’ufficio
della statuizione di merito. Salvo a registri contrasto sull’idoneità del ricorso
inammissibile a dar vita ad un tale esercizio officioso (in senso contrario: Sez. II,
n. 44667 dell’8/7/2013, Rv. 257612; Sez. V, n. 36293 del 977/2004, Rv.
230636; nel senso dell’ininfluenza: Sez. VI, n. 21982 del 16/5/2013).
Siccome condivisamente illustrato in profondità nella sentenza di questa stessa
Sezione n. 13903/14 del 28/2/2014, il principio di retroattività della norma più
favorevole si fonda sulla legge ordinaria (art. 2, comma 4, cod. pen.) e,
giudicata non pertinente l’evocazione degli artt. 13 e 25, Cost., sull’art. 3 Cost.
Pertanto

«Il livello di rilevanza dell’interesse preservato dal principio di

retroattività della lex mitior – quale emerge dal grado di protezione accordatogli
dal diritto interno, oltre che dal diritto internazionale convenzionale e dal diritto
comunitario – impone di ritenere che il valore da esso tutelato può essere
sacrificato da una legge ordinaria solo in favore di interessi di analogo rilievo
(quali – a titolo esemplificativo – quelli dell’efficienza del processo, della
salvaguardia dei diritti dei soggetti che, in vario modo, sono destinatari della

e.

1^ Serie Speciale) impone il riesame del trattamento sanzionatorio, oramai da

funzione giurisdizionale, e quelli che coinvolgono interessi o esigenze dell’intera
collettività nazionale connessi a valori costituzionali di primario rilievo; cfr.
sentenze n. 24 del 2004; n. 10 del 1997, n.353 e n. 171 del 1996; n. 218 e n.
54 del 1993). Con la conseguenza che lo scrutinio di costituzionalità ex art. 3
Cost., sulla scelta di derogare alla retroattività di una norma penale più
favorevole al reo deve superare un vaglio positivo di ragionevolezza, non
essendo a tal fine sufficiente che la norma derogatoria non sia manifestamente
irragionevole» (C. cost. sent. n. 393/2006; per la giurisprudenza di legittimità,

235051).
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 236 del 19/7/2011, dopo aver ripreso
le norme sovranazionali rilevanti in materia, ha escluso che l’art. 7 CEDU
imponga una maggior tutela della retroattività della lex mitior, anzi rilevando che
nella CEDU si rinviene il limite del giudicato, valicabile, invece, secondo lo stato
dell’elaborazione interna, oltre a segnare un’incidenza, per estensione di materia,
inferiore all’area delineata dall’art. 2, comma 4, cod. pen.

6 Non ostandovi nessuna delle superiori esigenze individuate dalla Corte
Costituzionale nella sentenza n. 393, sopra citata, non resta che affermare che il
patto, sotteso alla sentenza emessa ai sensi dell’art. 444, cod. proc. pen., oggi
risulta essersi formato in relazione ad una sanzione penale da ritenersi ormai
contra legem, dovendo trovare applicazione il nuovo regime sanzionatorio più
favorevole, ai sensi dell’art. 2, comma 4, cod. pen.
Con la conseguenza che, caduto il patto, le parti restano libere di riformulare,
alla luce del nuovo trattamento penale, il nuovo accordo, il quale, è bene
chiarire, ove i limiti edittali nuovi lo consentano, può anche confermare, se del
caso, la quantificazione precedente.

7. S’impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della statuizione, con
trasmissione degli atti per il prosieguo (giudizio ordinario o nuovo
patteggiamento).

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al
Tribunale di Enna per ulteriore corso.

Così deciso in Roma il 20/6/2014

Sez. 3, n. 34117 del 27/04/2006 – dep. 12/10/2006, Alberini e altro, Rv.

Il Presidente

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