Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32185 del 20/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 32185 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PEPE ALESSANDRO k. IL 29/05/1958
avverso la sentenza n. 2E2013 (AI) TRIBUNALE di NOLA, del
16/07/2013
sentita la relazione fatta dal Cons: g liere Dott. ANDREA MONTAGNI;
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Data Udienza: 20/06/2014

Ritenuto in fatto
1. Pepe Alessandro ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza
del G.i.p. presso il Tribunale di Nola in data 16.07.2013, con la quale, ai sensi
dell’art. 444 cod. proc. pen., è stata applicata la pena concordata dalle parti, in
ordine al reato di cui all’art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990, per la detenzione di
sostanze stupefacenti di tipo cocaina.
L’esponente, con il primo motivo, si duole del mancato apprezzamento della
sussistenza dei presupposti legittimanti la pronuncia di sentenza liberatoria ai sensi

dell’art. 129 cod. proc. pen., assumendo che la droga fosse detenuta ad uso
personale.
Con il secondo motivo la parte denuncia la violazione di legge ed il vizio di
motivazione, giacché il giudicante ha disposto la confisca del denaro in sequestro,
in difetto di alcuna motivazione.
2.

Il Procuratore Generale, con requisitoria scritta, ha chiesto che la

Suprema Corte annulli la sentenza impugnata, limitatamente alla confisca del
denaro, con rinvio al giudice di merito.
Considerato in diritto
3. Il ricorso impone le considerazioni che seguono.
3.1 II primo motivo è inammissibile.
Si osserva che questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato il
principio in base al quale l’obbligo della motivazione della sentenza non può non
essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di
patteggiamento: lo sviluppo delle linee argomentative è necessariamente correlato
all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di
provare i fatti dedotti nell’imputazione. Ciò implica che il giudizio negativo circa la
ricorrenza di una delle ipotesi di cui all’art. 129 cod. proc. pen. deve essere
accompagnato da una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle
deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di
cause di non punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una
motivazione consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta
la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di
proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. (Cass. Sez. U, sentenza n. 5777 del
27.03.1992, dep. 15.05.1992, Di Benedetto, Rv. 191135; Cass. Sez. U, sentenza
n. 10372 del 27.09.1995, dep. 18.10.1995, Serafino, Rv. 202270). Tale
orientamento è stato concordemente accolto dalla giurisprudenza successiva.
Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi della decisione, che riguardano
precipuamente la qualificazione giuridica del fatto, la continuazione, l’esistenza e la
comparazione delle circostanze, la congruità della pena e la sua sospensione, la
costante giurisprudenza di questa Corte, nel solco delle enunciazioni delle Sezioni
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unite, ha affermato che la motivazione può ben essere sintetica ed a struttura
enunciativa, purché risulti che il giudice abbia compiuto le pertinenti valutazioni. Né
l’imputato può avere interesse a lamentare una siffatta motivazione censurandola
come insufficiente e sollecitandone una più analitica, dal momento che la
statuizione del giudice coincide esattamente con la volontà pattizia del giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa
Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può

prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal
medesimo accettato. Occorre, peraltro, rilevare che, nel caso di specie, il giudice
ha espressamente rilevato che non ricorreva alcuna delle ipotesi di cui all’art. 129
cod. proc. pen. atteso che la suddivisione in dosi della droga, attestata dai militari
procedenti, portava a ritenere che lo stupefacente fosse destinato allo spaccio.
3.2 Occorre, peraltro, rilevare – con ciò introducendo l’esame del secondo
motivo di ricorso – che il G.i.p. ha disposto la confisca del denaro in sequestro
senza indicare, neppure in forma enunciativa, le ragioni della statuizione. Non
sfugge che il corredo premiale di cui all’art. 445 cod. proc. pen., a seguito delle
modifiche introdotte con legge 12.06.2003 n. 134, non comprenda alcuna delle
ipotesi di confisca, di cui all’art. 240 cod. pen. Non di meno, ove il giudicante
provveda alla applicazione della predetta misura di sicurezza, deve esplicitare le
ragioni che fondano la relativa statuizione, evidenziando i presupposti della
disposta misura (cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8440 del 24/01/2007,
dep. 28/02/2007, Rv. 236623).
E’ poi appena il caso di rilevare che nel caso neppure può trovare
applicazione il disposto di cui all’art. 12 sexies, Legge n. 356/1992, al fine di
procedere alla confisca del denaro in sequestro. Ed infatti, la norma di cui all’art.
12 sexies, esclude espressamente dall’ambito di operatività della fattispecie, l’art.
73, comma V, d.P.R. n. 309/1990.
4. Tanto ritenuto, osserva il Collegio che sussistono i presupposti per
rilevare l’illegittimità della pena applicata al prevenuto, in riferimento al reato per
cui si procede.
Invero, l’evidenziata inammissibilità del primo motivo di ricorso,
riguardante il patto concluso dalle parti e ratificato dal giudice, non impedisce a
questa Corte regolatrice di annullare la sentenza impugnata, in ragione delle
modifiche normative che sono intervenute dopo il deposito del presente ricorso.
Deve in questa sede ribadirsi che per il caso di modifiche normative sopravvenute,
l’inammissibilità del ricorso non impedisce l’adozione di una pronuncia di
annullamento da parte della Corte regolatrice (cfr. Cass. Sez. VI, sentenza n.
21982, del 16 maggio 2013, n. 21982, Rv 255674, ove l’inammissibilità del ricorso
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non ha impedito l’annullamento della sentenza impugnata, in conseguenza della
declaratoria di illegittimità costituzionale della norma applicata al caso di giudizio).
Nel caso di specie, è stata riconosciuta l’ipotesi di cui all’art. 73, comma V,
d.P.R. n. 309/1990.
Si tratta di fattispecie interessata dalle modifiche introdotte dall’art. 2,
comma 1, d.l. 23 dicembre 2013 n. 146, convertito con modificazioni dall’art. 1,
comma 1, della legge 21 febbraio 2014, n.10. Ai fini di interesse, si rileva, che a

prevista è quella della reclusione da uno a cinque anni, oltre la multa, per tutti i tipi
di sostanze stupefacenti, senza distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere.
La materia di interesse è stata peraltro oggetto di un ulteriore intervento
correttivo, ad opera della legge 16 maggio 2014, n. 79, di conversione, con
modificazioni, del decreto legge 20 marzo 2014, n. 36, recante Disposizioni urgenti

in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura
e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonché di impiego di medicinali
meno onerosi da parte del Servizio sanitario nazionale (pubblicata in G.U. n.115 del
20.05.2014).
Per effetto del richiamato intervento normativo, il tenore dell’art. 73,
comma 5, d.P.R. n. 309/1990, è il seguente: “5. Salvo che il fatto costituisca più

grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che,
per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e
quantità delle sostanze, e’ di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da
sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329”.
Come si vede, la cornice edittale applicabile alla fattispecie oggetto del
presente giudizio, in base al principio di retroattività della legge più favorevole, ex
art. 2, comma 4, cod. pen., prevede pene sensibilmente inferiori, rispetto a quelle
alle quali hanno fatto riferimento le parti nel concludere l’accordo di poi ratificato
dal giudice. Ed invero la disciplina in materia di sostanze stupefacenti applicata dal
giudice è quella prevista dal d.P.R. n. 309/1990, nella versione oggetto delle
modifiche introdotte dal d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con modificazioni
dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49 – di poi dichiarata illegittima dalla Corte
Costituzionale del 12 febbraio 2014 n. 32 – di talché la pena per le c.d. droghe
pesanti, ai sensi dell’art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990, era compresa da uno a
sei anni di reclusione, oltre la multa.
Nel caso di specie, a Pepe Alessandro, per la detenzione di un quantitativo
pari gr. 5 di cocaina, è stata applicata la pena di un anno e mesi otto di reclusione,
oltre la multa, muovendo dalla pena base pari ad anni due e mesi sei di reclusione,
oltre la multa.
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seguito della legge n. 10/2014, per l’ipotesi di cui all’art. 73, comma V, cit., la pena

Nel caso di specie, a Pepe Alessandro, per la detenzione di un quantitativo
pari gr. 5 di cocaina, è stata applicata la pena di un anno e mesi otto di reclusione,
oltre la multa, muovendo dalla pena base pari ad anni due e mesi sei di reclusione,
oltre la multa.
Ebbene, la pena concordata si colloca in una diversa fascia del trattamento
sanzionatorio, relativo al reato per il quale si procede. Conseguentemente, deve
rilevarsi che la valutazione effettuata dal giudice, nell’apprezzare la congruità della

modifica sostanziale del quadro sanzionatorio di riferimento. Non è chi non veda,
allora, che l’accordo concluso dalle parti e ratificato dal giudice concerne
l’applicazione di una pena che non può ritenersi congrua, rispetto ai fatti per i quali
si procede.
5. Si impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata, giacché l’evidenziata illegittimità della pena applicata ai sensi dell’art.
444 cod. proc. pen., rende invalido il patto concluso dalle parti. Deve disporsi la
trasmissione degli atti al Tribunale di Noia, perché proceda a nuovo giudizio. La
giurisprudenza di legittimità ha infatti chiarito che, in tali ipotesi, le parti sono
reintegrate nella facoltà di rinegoziare l’accordo sulla pena su altre basi e che, in
mancanza, il giudizio deve proseguire nelle forme ordinarie (cfr. Cass. Sez. 1,
Sentenza n. 16766 del 07/04/2010, dep. 03/05/2010, Rv. 246930).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al
Tribunale di Noia per l’ulteriore corso.
Così deciso in Roma, in data 20 giugno 2014.

pena concordata dalla parti, non risulta altrimenti conferente, stante l’intervenuta

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