Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32184 del 20/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 32184 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
AIARDO GIUSEPPE N. E 08/05;1983
avverso la sentenza n. 1778/2013 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di MATERA del 26/11/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;
lette/n:Ed:Mie conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 20/06/2014

Ritenuto in fatto
1. Aiardo Giuseppe ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza
del G.i.p. presso il Tribunale di Matera in data 26.11.2013, con la quale, ai sensi
dell’art. 444 cod. proc. pen., è stata applicata la pena concordata dalle parti, in
ordine al reato di cui all’art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990, per la coltivazione
di n. 66 piante di cannabis indica.
L’esponente deduce violazione di legge e vizio motivazionale, in riferimento

2.

Il Procuratore Generale, con requisitoria scritta, ha chiesto che la

Suprema Corte dichiari inammissibile il ricorso.
Considerato in diritto
3. Il ricorso impone le considerazioni che seguono.
3.1 Si osserva che questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato il
principio in base al quale l’obbligo della motivazione della sentenza non può non
essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di
patteggiamento: lo sviluppo delle linee argomentative è necessariamente correlato
all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di
provare i fatti dedotti nell’imputazione. Ciò implica che il giudizio negativo circa la
ricorrenza di una delle ipotesi di cui all’art. 129 cod. proc. pen. deve essere
accompagnato da una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle
deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di
cause di non punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una
motivazione consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta
la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di
proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. (Cass. Sez. U, sentenza n. 5777 del
27.03.1992, dep. 15.05.1992, Di Benedetto, Rv. 191135; Cass. Sez. U, sentenza
n. 10372 del 27.09.1995, dep. 18.10.1995, Serafino, Rv. 202270). Tale
orientamento è stato concordemente accolto dalla giurisprudenza successiva.
Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi della decisione, che riguardano
precipuamente la qualificazione giuridica del fatto, la continuazione, l’esistenza e la
comparazione delle circostanze, la congruità della pena e la sua sospensione, la
costante giurisprudenza di questa Corte, nel solco delle enunciazioni delle Sezioni
unite, ha affermato che la motivazione può ben essere sintetica ed a struttura
enunciativa, purché risulti che il giudice abbia compiuto le pertinenti valutazioni. Né
l’imputato può avere interesse a lamentare una siffatta motivazione censurandola
come insufficiente e sollecitandone una più analitica, dal momento che la
statuizione del giudice coincide esattamente con la volontà pattizia del giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa
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alla ritenuta sussistenza dell’ipotesi di reato in addebito.

’..

Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può
prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal
medesimo accettato. E deve osservarsi che nel caso di specie il giudice ha
espressamente rilevato che, alla luce dei verbali di perquisizione e sequestro e
delle analisi tecniche effettuate sulla sostanza, doveva escludersi la possibilità di
una pronuncia liberatoria ed art. 129 cod. proc. pen.
3.2 Tanto ritenuto, osserva il Collegio che sussistono i presupposti per

riferimento alle ipotesi di reato per cui si procede.
Invero, nel caso di specie, è stata riconosciuta l’ipotesi di cui all’art. 73,
comma V, d.P.R. n. 309/1990. Si tratta di fattispecie interessata dalle modifiche
introdotte dall’art. 2, comma 1, d.l. 23 dicembre 2013 n. 146, convertito con
modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2014, n.10. Ai fini di
interesse, si rileva, che a seguito della legge n. 10/2014, per l’ipotesi di cui all’art.
73, comma V, cit., la pena prevista è quella della reclusione da uno a cinque anni,
oltre la multa, per tutti i tipi di sostanze stupefacenti, senza distinzione tra droghe
pesanti e droghe leggere.
La materia di interesse è stata peraltro oggetto di un ulteriore intervento
correttivo, ad opera della legge 16 maggio 2014, n. 79, di conversione, con
modificazioni, del decreto legge 20 marzo 2014, n. 36, recante Disposizioni urgenti
in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura
e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonché di impiego di medicinali
meno onerosi da parte del Servizio sanitario nazionale (pubblicata in G.U. n.115 del
20.05.2014).
Per effetto del richiamato intervento normativo, il tenore dell’art. 73,
comma 5, d.P.R. n. 309/1990, è il seguente: “5. Salvo che il fatto costituisca più
grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che,
per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e
quantità delle sostanze, e’ di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da
sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329”.

La cornice

sanzionatoria, per la fattispecie di cui al V comma, dell’art. 73, cit., pertanto,
risulta compresa – sia per le droghe leggere che per le droghe pesanti – tra il
minimo di sei mesi ed il massimo di quattro anni di reclusione, oltre la multa. E’ poi
appena il caso di considerare che la richiamata cornice sanzionatoria
corrispondente a quella già prevista per le droghe leggere dall’art. 73, comma V,
d.P.R. n. 309/1990, nella versione antecedente alle modifiche apportate dal d.l. 30 A.7
dicembre 2005, n. 272, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2006,

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rilevare la sopravvenuta illegittimità della pena applicata al prevenuto, in

n. 49, disciplina che, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale del 12
febbraio 2014 n. 32, viene pure ad oggi in rilievo.
Come si vede, la cornice edittale applicabile alla fattispecie oggetto del
presente giudizio, pure in base al principio di retroattività della legge più
favorevole, ex art. 2, comma 4, cod. pen., prevede limiti di pena sensibilmente
inferiori, rispetto a quelli ai quali hanno fatto riferimento le parti nel concludere
l’accordo di poi ratificato dal giudice: il testo oggetto della declaratoria di

stabiliva, infatti, per l’ipotesi di cui al V comma dell’art. 73, cit., indistintamente il
più grave trattamento sanzionatorio, compreso da uno a sei anni di reclusione,
oltre la multa.
Orbene, nel caso di specie, al prevenuto, per la coltivazione di n. 66 piante
di cannabis indica è stata applicata la pena di un anno e mesi quattro di reclusione,
oltre la multa, muovendo dalla pena base di anni tre di reclusione oltre la multa.
La pena concordata si colloca, per effetto delle sopravvenute modifiche
normative, in una diversa fascia del trattamento sanzionatorio relativo al reato in
addebito; conseguentemente, deve rilevarsi che la valutazione effettuata dal
giudice, nell’apprezzare la congruità della pena concordata dalla parti, non risulta
altrimenti conferente, stante l’intervenuta modifica sostanziale del quadro
sanzionatorio di riferimento. Non è chi non veda, allora, che l’accordo concluso
dalle parti e ratificato dal giudice concerne l’applicazione di una pena che non può
ritenersi congrua, rispetto al fatto per il quale si procede.
4. Si impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata, giacché l’evidenziata illegittimità della pena applicata ai sensi dell’art.
444 cod. proc. pen., rende invalido il patto concluso dalle parti. Deve disporsi la
trasmissione degli atti al Tribunale di Mateera, perché proceda a nuovo giudizio. La
giurisprudenza di legittimità ha infatti chiarito che, in tali ipotesi, le parti sono
reintegrate nella facoltà di rinegoziare l’accordo sulla pena su altre basi e che, in
mancanza, il giudizio deve proseguire nelle forme ordinarie (cfr. Cass. Sez. 1,
Sentenza n. 16766 del 07/04/2010, dep. 03/05/2010, Rv. 246930).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al
Tribunale di Matera per l’ulteriore corso.
Così deciso in Roma, in data 20 giugno 2014.

incostituzionalità, per effetto della richiamata sentenza della Corte Costituzionale

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