Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32181 del 20/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 32181 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PASINI ALESSANDRO N. IL 09/02/1990
avverso la sentenza n. 36.’50/2013 TRIBUNALE di LA SPEZIA, del
07/11/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;
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Udii i dif- sor Avv.;

Data Udienza: 20/06/2014

Ritenuto in fatto
1. Alessandro Pasini ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza
del Tribunale della Spezia in data 7.11.2013, con la quale, ai sensi dell’art. 444
cod. proc. pen., è stata applicata la pena concordata dalle parti, in ordine al reato
di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309/1990, per la detenzione di gr. 362 di marijuana.
L’esponente, con il primo motivo, denuncia violazione di legge e vizio di
motivazione, in riferimento al mancato apprezzamento dei presupposti legittimanti
la pronuncia di sentenza liberatoria ex art. 129 cod. proc. pen.

riguardo alla disposta confisca della somma di denaro in sequestro.
2.

Il Procuratore Generale, con requisitoria scritta, ha chiesto che la

Suprema Corte dichiari inammissibile il ricorso.
Considerato in diritto
3. Il ricorso impone le considerazioni che seguono.
Le censure oggetto del ricorso risultano inammissibili.
Con riguardo al primo motivo, si osserva che questa Suprema Corte ha
ripetutamente affermato il principio che l’obbligo della motivazione della sentenza
non può non essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di
patteggiamento: lo sviluppo delle linee argomentative è necessariamente correlato
all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di
provare i fatti dedotti nell’imputazione. Ciò implica che il giudizio negativo circa la
ricorrenza di una delle ipotesi di cui all’art. 129 cod. proc. pen. deve essere
accompagnato da una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle
deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di
cause di non punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una
motivazione consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta
la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di
proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. (Cass. Sez. U, sentenza n. 5777 del
27.03.1992, dep. 15.05.1992, Di Benedetto, Rv. 191135; Cass. Sez. U, sentenza
n. 10372 del 27.09.1995, dep. 18.10.1995, Serafino, Rv. 202270). Tale
orientamento è stato concordemente accolto dalla giurisprudenza successiva.
Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi della decisione, che riguardano
precipuamente la qualificazione giuridica del fatto, la continuazione, l’esistenza e la
comparazione delle circostanze, la congruità della pena e la sua sospensione, la
costante giurisprudenza di questa Corte, nel solco delle enunciazioni delle Sezioni
unite, ha affermato che la motivazione può ben essere sintetica ed a struttura
enunciativa, purché risulti che il giudice abbia compiuto le pertinenti valutazioni. Né
l’imputato può avere interesse a lamentare una siffatta motivazione censurandola

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Con il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 240 cod. pen., con

come insufficiente e sollecitandone una più analitica, dal momento che la
statuizione del giudice coincide esattamente con la volontà pattizia del giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa
Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può
prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal
medesimo accettato. Occorre, peraltro, rilevare che, nel caso di specie, il giudice
ha espressamente rilevato che non ricorreva alcuna delle ipotesi di cui all’art. 129

cod. proc. pen.
Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Occorre rilevare che Tribunale, nel disporre la confisca del denaro in
sequestro, ha specificamente indicato le ragioni poste a fondamento dell’assunto,
osservando che il prevenuto non aveva giustificato il possesso della somma in
contanti, e che anche, in ragione della modalità di presentazione della stessa,
doveva ritenersi si trattasse di provento della attività delittuosa.
Deve allora osservarsi che il corredo premiale di cui all’art. 445 cod. proc.
pen., a seguito delle modifiche introdotte con legge 12.06.2003 n. 134, non
comprende alcuna delle ipotesi di confisca, di cui all’art. 240 cod. pen.; e che la
giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, ove il giudicante provveda alla
applicazione della predetta misura di sicurezza, deve esplicitare le ragioni che
fondano la relativa statuizione, evidenziando – come avvenuto nel caso di specie – i
presupposti della disposta misura (cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8440 del
24/01/2007, dep. 28/02/2007, Rv. 236623).
4. Tanto premesso, osserva il Collegio che la pena applicata al prevenuto, in
riferimento al reato per cui si procede, risulta illegittima.
Invero, l’inammissibilità del ricorso originario non impedisce a questa Corte
regolatrice di annullare la sentenza impugnata, in ragione delle modifiche
normative che sono intervenute dopo il deposito del presente ricorso. Deve in
questa sede ribadirsi che per il caso di modifiche normative sopravvenute,
l’inammissibilità del ricorso non impedisce l’adozione di una pronuncia di
annullamento da parte della Corte regolatrice (cfr. Cass. Sez. VI, sentenza n.
21982, del 16 maggio 2013, n. 21982, Rv 255674, ove l’inammissibilità del ricorso
non ha impedito l’annullamento della sentenza impugnata, in conseguenza della
declaratoria di illegittimità costituzionale della norma applicata al caso di giudizio).
Ciò posto, deve considerarsi che, per effetto della sentenza della Corte
Costituzionale del 12 febbraio 2014 n. 32, la disciplina in materia di sostanze
stupefacenti che viene in rilievo è quella prevista dal d.P.R. n. 309/1990, nella
versione antecedente alle modifiche introdotte dal d.l. 30 dicembre 2005, n. 272,
convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, di talché la pena
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per le sostanze di cui alle tabelle II e IV dell’art. 14, risulta ricompresa dal minimo
di due anni al massimo di sei anni di reclusione, oltre la multa.
Come noto, la Corte Costituzionale, con sentenza del 12.02.2014 n. 32 ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies ter, del decretolegge 30 dicembre 2005, n. 272 (Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i
finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità
dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di
tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di

disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente
della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), convertito, con modificazioni, dall’art. 1,

comma 1, della legge 21 febbraio 2006, n. 49. Le disposizioni colpite dalla
declaratoria illegittimità costituzionale avevano introdotto significative modifiche
nell’ordinamento, apportando una innovazione sistematica alla disciplina dei reati in
materia di stupefacenti, sia sotto il profilo delle incriminazioni sia sotto quello
sanzionatorio. Il fulcro della novella, infatti, era costituito dalla parificazione dei
delitti riguardanti le droghe cosiddette “pesanti” e di quelli aventi ad oggetto le
droghe cosiddette “leggere”, fattispecie differenziate invece dalla precedente
disciplina, di cui al d.P.R. n. 309/1990.
Occorre allora considerare che, a causa della intervenuta declaratoria di
illegittimità costituzionale ad opera della citata sentenza n. 32 del 2014, la pena
edittale relativa all’ipotesi delittuosa di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309/1990, rispetto
alla detenzione a fine di spaccio di sostanze rientranti nelle tabelle II e IV, è quella
della reclusione da due a sei anni, oltre la multa, laddove il testo oggetto della
declaratoria di incostituzionalità, stabiliva un più grave trattamento sanzionatorio,
compreso da un minimo di sei ad un massimo di venti anni di reclusione, oltre la
multa.
Orbene, nel caso di specie, al Pasini, per la detenzione di un quantitativo
pari gr. 362 di marijuana è stata applicata la pena di anni due e mesi otto di
reclusione, oltre la multa, muovendo dalla pena base pari ad anni sei di reclusione,
oltre la multa. Si tratta di una misura di pena corrispondente al limite edittale
massimo che risulta applicabile al caso di giudizio, per le spiegate ragioni. Come si
vede, l’accordo concluso dalle parti e ratificato dal giudice concerne l’applicazione
di una pena che non può ritenersi congrua, rispetto al mutato scenario
sanzionatorio, in considerazione dei richiamati termini di fatto della condotta
addebitata.
5. Si impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata, giacché l’evidenziata illegittimità della pena applicata ai sensi dell’art.
444 cod. proc. pen., rende invalido il patto concluso dalle parti. Deve disporsi la
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trasmissione degli atti al Tribunale della Spezia, perché proceda a nuovo giudizio.
La giurisprudenza di legittimità ha infatti chiarito che, in tali ipotesi, le parti sono
reintegrate nella facoltà di rinegoziare l’accordo sulla pena su altre basi e che, in
mancanza, il giudizio deve proseguire nelle forme ordinarie (cfr. Cass. Sez. 1,
Sentenza n. 16766 del 07/04/2010, dep. 03/05/2010, Rv. 246930).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al

Così deciso in Roma, in data 20 giugno 2014.

Tribunale della Spezia per l’ulteriore corso.

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