Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32174 del 12/06/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 4 Num. 32174 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da :
AIROLDI SIMONETTA N. IL 13.09.1967
Nei confronti di:
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE
Avverso la ordinanza della CORTE D’APPELLO DI MILAMO del 21 febbraio 2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI, lette le
conclusioni del PG in persona del dott. Luigi Riello che ha chiesto l’annullamento con rinvio
dell’impugnata ordinanza
RITENUTO IN FATTO
1. Airoldi Simonetta ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza della Corte di
Appello di Milano con cui è stata rigettata la istanza di riparazione per l’ ingiusta
detenzione in carcere subita dalla stessa dal 16 settembre al 20 settembre 2010 e,
successivamente, agli arresti domiciliari sino al 27 giugno 2005 , nell’ambito del
procedimento penale instaurato a suo carico in relazione ai delitti di cui agli artt. 110.
c.p., 73 e 80 comma 2 d.P.R., n. 309/1990, conclusosi con sentenza di assoluzione
perché il fatto non costituisce reato del Tribunale di Monza in data 27 giugno 2011,
rivenuta irrevocabile.
2. Con il ricorso è stato chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per violazione
dell’art. 314 c.p.p., e la manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alla
ritenuta esistenza di ragioni ostative all’accoglimento della domanda.
CONSIDERATO IN DIRITTO

Data Udienza: 12/06/2014

Nella specie la Corte territoriale ha spiegato che le condotte ascritte all’odierna
ricorrente, pur non costituendo illecito penale, sono state idonee a determinare
l’applicazione della misura cautelare. In particolare, il giudice della riparazione ha posto
in rilievo la circostanza che la Airoldi era convivente con il marito Sabbatini Mauro ed
era da ritenersi inevitabilmente a conoscenza del deposito e della custodia all’interno
della comune casa di abitazione della soatanza stupefacente.
Il provvedimento non resiste alle censure mossegli. Ed invero con riferimento alla
circostanza secondo cui la Airoldi non poteva comunque non rendersi conto di quanto
avveniva all’interno dell’appartamento, va precisato che tutt’ al più la stessa
integrerebbe un’ipotesi di connivenza. A riguardo questa Corte ha già avuto modo di
affrontare la problematica della valenza della connivenza stessa ad essere condotta
ostativa al riconoscimento della riparazione (cfr. Sez. 4, 17 novembre 2011,
Cantarella, Rv 252725).
In particolare sì è riconosciuta tale valenza in tre casi: a) nell’ipotesi in cui
l’atteggiamento di connivenza sia indice del venir meno di elementari doveri di
solidarietà sociale per impedire il verificarsi di gravi danni alle persone o alle cose (cfr.
Cass. 8993/03, ric. Lushay, RV. 223688);

3. Il ricorso è fondato. Secondo i principi elaborati ed affermati nell’ambito della
giurisprudenza di questa Suprema Corte (a partire dalla fondamentale sentenza delle
Sezioni unite, 13 dicembre 1995, Sarnataro), in tema di riparazione per ingiusta
detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso
a darvi causa con dolo o colpa grave (quest’ultima è l’ipotesi che qui interessa), deve
apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con
particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o
macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del
convincimento conseguito una motivazione che, se adeguata e congrua, è
incensurabile in sede di legittimità. Al riguardo, il giudice deve fondare la sua
deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta tenuta dal richiedente
sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine di stabilire, con valutazione
ex ante (e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello
seguito nel processo di merito), non se tale condotta integri estremi di reato, ma solo
se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore
dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito
penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di “causa ad effetto” ( cfr. ex
plurimis, Sezione 4, 19 giugno 2008, Bedini ed altro). In una tale prospettiva, secondo
un assunto interpretativo anch’esso pacifico nella giurisprudenza di legittimità, la
nozione di “colpa grave” di cui all’art. 314 c.p.p., comma 1, ostativa del diritto alla
riparazione dell’ingiusta detenzione, va individuato in quella condotta che, pur tesa ad
altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza,
trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione
tale da costituire una non voluta, ma prevedibile ragione di intervento dell’autorità
giudiziaria, che si sostanzi nell’adozione o nel mantenimento di un provvedimento
restrittivo della libertà personale. A tal riguardo, la colpa grave può concretarsi in
comportamenti sia processuali sia di tipo extraprocessuale, come la grave leggerezza o
la macroscopica trascuratezza, tenuti sia anteriormente che successivamente al
momento restrittivo della libertà personale; onde, l’applicazione della suddetta
disciplina normativa non può non imporre l’analisi dei comportamenti tenuti
dall’interessato, anche prima dell’inizio dell’attività investigativa e della relativa
conoscenza, indipendentemente dalla circostanza che tali comportamenti non integrino
reato (anzi, questo è il presupposto, scontato, dell’intervento del giudice della
riparazione). È quindi determinante stabilire se la Corte di merito abbia motivato in
modo congruo e logico in ordine alla inidoneità della condotta posta in essere dal
Balasoiu ad ingenerare nel giudice che emise il provvedimento restrittivo della libertà
personale il convincimento di un probabile coinvolgimento dell’ istante nella fattispecie
delittuosa contestatagli.

c) nell’ipotesi in cui la connivenza passiva risulti aver oggettivamente rafforzato la
volontà criminosa dell’agente, sebbene il connivente non intenda perseguire questo
effetto; in tal caso è necessaria la prova positiva che il connivente fosse a conoscenza
dell’attività criminosa dell’agente medesimo (Cass. n. 42039/06, ric. Cambareri, RV.
235397). È noto che la mera presenza passiva non integra il concorso nel reato a meno
che non valga a rafforzare il proposito dell’agente di commettere il reato. Ma questo
rafforzamento del proposito non è sufficiente per ritenere il concorso dello “spettatore
passivo” essendo necessario che questi abbia la coscienza e volontà di rafforzare il
proposito criminoso. Nei casi in cui l’elemento soggettivo in questione non sia provato
ben può essere astrattamente configurata gravemente colposa, perché caratterizzata
da grave negligenza, la condotta passiva del connivente per non aver valutato gli
effetti della sua condotta sul comportamento dell’agente la cui volontà criminosa può
essere oggettivamente rafforzata anche se il connivente non intende perseguire questo
effetto e sia comunque idonea a creare un’apparenza di partecipazione alle attività
criminose di altri. Ma per poter pervenire a questa conclusione è necessario che sia
provata la conoscenza delle attività criminose compiute (o almeno che con grave
negligenza il convivente non se ne sia reso conto).
Nella concreta fattispecie, avuto riguardo alle circostanze fattuali evidenziate dalla
Corte distrettuale quali sopra ricordate, appare di tutta evidenza che non vi è prova
certa (il proVvedimento impugnato fonda l’assunto su una mera presunzione) che la
Airoldi fosse effettivamente a conoscenza dell’illecita attività in cui era apparsa
coinvolta, né risulta che abbia mantenuto una condotta idonea a rafforzare
oggettivamente la volontà del coniuge, di tal che il comportamento della Airoldi non
appare inquadrabile – tra le ipotesi sopra ricordate cui la giurisprudenza di questa Corte
ha ritenuto riconducibile la condotta connivente ostativa al riconoscimento della
riparazione – (quanto meno) nell’ipotesi sub c).
4. In assenza di ulteriori precisazioni da parte del provvedimento impugnato in ordine ai
concreti comportamenti ostativi al riconoscimento del richiesto indennizzo, la ordinanza
impugnata va pertanto annullata con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di
Milano cui va rimesso anche il regolamento delle spese tra le parti per il presente
giudizio
P.Q.M.
annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Milano cui rimette anche
il regolamento delle spese tra le parti per il presente giudizio,.
Così deciso nella camera di consiglio del 12 giugno 2014

b) nel caso in cui la connivenza si concreti non già in un mero comportamento passivo
dell’agente riguardo alla consumazione di un reato, ma nel tollerare che tale reato sia
consumato, sempreché l’agente sia in grado di impedire la consumazione o la
prosecuzione dell’attività criminosa in ragione della sua posizione di garanzia (Cass. n.
16369/03, Cardillo, RV. 224773);

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA