Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32173 del 09/04/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 32173 Anno 2013
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: RAGO GEPPINO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
SAIJA FILIPPA N. IL 01/05/1963
avverso la sentenza n. 644/2010 CORTE APPELLO di
CALTANISSETTA, del 03/05/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GEPPINO RAGO;
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Data Udienza: 09/04/2013

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1. Con sentenza in data 03/05/2012, la Corte di Appello di
Caltanissetta confermava la sentenza pronunciata in data
01/12/2009 con la quale il Tribunale di Enna aveva ritenuto SAIJA
Filippa responsabile del delitto di cui all’art. 648 cod. pen.

proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i
seguenti motivi:
2.1. ILLOGICITÀ DELLA MOTIVAZIONE per avere la Corte territoriale
desunto la prova del reato di ricettazione dalla mera utilizzazione del
telefono cellulare alla stregua delle stesse argomentazioni espressa
dal primo giudice;
2.2. ILLOGICITÀ DELLA MOTIVAZIONE nella parte in cui la Corte
aveva negato la concessione delle attenuanti generiche e la richiesta
relativa alla conversione della pena detentiva in pena pecuniaria.
3. Il ricorso è manifestamente infondato sotto entrambi i profili
dedotti.
3.1. Quanto alla illogicità della motivazione in ordine alla
ritenuta responsabilità, essendo pacifico il possesso da parte
dell’imputata del telefonino rubato, correttamente entrambi i giudici di
merito hanno dedotto la prova della colpevolezza sulla base del
consolidato principio secondo il quale la mancata giustificazione del
possesso di una cosa proveniente da delitto costituisce prova della
conoscenza della illecita provenienza: il che è proprio quanto si è
verificato nel caso di specie: la doglianza è, quindi, del tutto
generica.
3.2. Quanto al trattamento sanzionatorio va osservato quanto
segue.
3.2.1. La Corte territoriale ha negato la concessione delle
attenuanti generiche stigmatizzando il negativo comportamento
processuale dell’imputata.

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2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputata, a mezzo del

Ora, a parte ogni considerazione sul motivo di appello
proposto sul punto che era assolutamente generico, la suddetta
decisione non si presta ad alcuna censura alla stregua di quella
giurisprudenza di questa Corte secondo la quale «ai fini della

basta che il giudice del merito prenda in esame quello, tra gli
elementi indicati nell’art. 133 cod. pen., che ritiene prevalente ed atto
a consigliare o meno la concessione del beneficio, per cui anche un
solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all’entità
del reato o alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente
per negare o concedere le attenuanti stesse. Anche il silenzio
dell’imputato può dunque essere valutato – sul piano del
comportamento processuale – ai fini del riconoscimento delle
attenuanti di cui all’art. 62 bis cod. pen.: ed infatti l’ordinamento
penale, nel garantire all’imputato il diritto al silenzio ed alla
menzogna che non sconfini nella calunnia, nonché alla reticenza sul
proprio operato, attribuisce al giudice la facoltà di valutare il
comportamento da questi tenuto durante lo svolgimento del
processo, sicché è legittimo il diniego delle attenuanti predette
ovvero della declaratoria di prevalenza delle medesime motivato
sulla negativa personalità dell’imputato stesso o sulla capacità a
delinquere desunta dal descritto comportamento processuale»:
Cass. 2889/1997 Rv. 207560 – Cass. 3819/1994 Rv. 196986.
3.2.2. Quanto alla mancata sostituzione della pena detentiva
con quella pecuniaria, va ancora una volta osservato che la richiesta,
in sede di appello, era stata motivata in termini assolutamente
generici.
Sul punto, va, infatti, rilevato che, fra i criteri che il giudice, ex
art. 58/2 L. 689/1981, deve tenere presente ai fini della sostituzione
è che deve sussistere la presunzione che la prescrizione sarà

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concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche

adempiuta: e tale presunzione, in mancanza di qualsiasi onere di
allegazione dell’imputato, non può essere fondata su una mera
richiesta: correttamente, quindi, la Corte territoriale ha respinto la
richiesta.
a norma dell’art. 606/3 c.p.p, per manifesta infondatezza: alla relativa
declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la
condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali,
nonché al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una
somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso,
si determina equitativamente in € 1.000,00.
P.Q.M.
DICHIARA
Inammissibile il ricorso e
CONDANNA
la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di
€ 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Roma 09/04/2013
IL ‘P ESIDENTE
4.■

IL CONSIGLIER ET.
(Dott. G. Rag

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4. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile

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