Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32159 del 11/03/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 32159 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da :

BALASOIU DANIEL N. IL 14.11.1967

Nei confronti di :
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE

Avverso la ordinanza della CORTE D’APPELLO DI CATANZARO del 2 novembre 2012

sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI, viste le
conclusioni del PG in persona del dott. Vito D’Ambrosio che ha chiesto il rigetto del ricorso

Data Udienza: 11/03/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Balasoiu Daniel ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza della Corte di
Appello di Roma con cui è stata rigettata la istanza di riparazione per l’ ingiusta
detenzione in carcere subita dallo stesso dal 26 agosto al 24 dicembre 2004 e,
successivamente, agli arresti domiciliari sino al 24 febbraio 2005 , nell’ambito del
procedimento penale instaurato a suo carico in relazione ai delitti di cui all’art. 81. 416
c.p., conclusosi con sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto della Corte

2. Con il ricorso è stato chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per violazione
dell’art. 314 c.p.p., e la manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alla
ritenuta esistenza di ragioni ostative all’accoglimento della domanda.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3.11 ricorso è fondato. Secondo i principi elaborati ed affermati nell’ambito della
giurisprudenza di questa Suprema Corte (a partire dalla fondamentale sentenza delle
Sezioni unite, 13 dicembre 1995, Sarnataro), in tema di riparazione per ingiusta
detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso
a darvi causa con dolo o colpa grave (quest’ultima è l’ipotesi che qui interessa), deve
apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con
particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o
macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del
convincimento conseguito una motivazione che, se adeguata e congrua, è
incensurabile in sede di legittimità. Al riguardo, il giudice deve fondare la sua
deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta tenuta dal richiedente
sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine di stabilire, con valutazione
ex ante (e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello
seguito nel processo di merito), non se tale condotta integri estremi di reato, ma solo
se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore
dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito
penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di “causa ad effetto” ( cfr. ex
plurimis, Sezione 4, 19 giugno 2008, Bedini ed altro). In una tale prospettiva, secondo
un assunto interpretativo anch’esso pacifico nella giurisprudenza di legittimità, la
nozione di “colpa grave” di cui all’art. 314 c.p.p., comma 1, ostativa del diritto alla
riparazione dell’ingiusta detenzione, va individuato in quella condotta che, pur tesa ad
altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza,
trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione
tale da costituire una non voluta, ma prevedibile ragione di intervento dell’autorità
giudiziaria, che si sostanzi nell’adozione o nel mantenimento di un provvedimento

d’Appello di Roma in data 6 ottobre 2011, rivenuta irrevocabile il 21 febbraio 2012

restrittivo della libertà personale. A tal riguardo, la colpa grave può concretarsi in
comportamenti sia processuali sia di tipo extraprocessuale, come la grave leggerezza o
la macroscopica trascuratezza, tenuti sia anteriormente che successivamente al
momento restrittivo della libertà personale; onde, l’applicazione della suddetta
disciplina normativa non può non imporre l’analisi dei comportamenti tenuti
dall’interessato, anche prima dell’inizio dell’attività investigativa e della relativa
conoscenza, indipendentemente dalla circostanza che tali comportamenti non integrino

riparazione). È quindi determinante stabilire se la Corte di merito abbia motivato in
modo congruo e logico in ordine alla inidoneità della condotta posta in essere dal
Balasoiu ad ingenerare nel giudice che emise il provvedimento restrittivo della libertà
personale il convincimento di un probabile coinvolgimento dell’ istante nella fattispecie
delittuosa contestatagli.
Nella specie la Corte territoriale ha spiegato che le condotte ascritte all’odierno
ricorrente, pur non costituendo illecito penale, sono state idonee a determinare
l’applicazione della misura cautelare. In particolare, il giudice della riparazione ha posto
in rilievo la circostanza che il Balasoiu aveva ceduto ai coindagati un vano del proprio
immobile ove erano state rinvenute le attrezzature idonee alla clonazione di carte di
credito e che aveva comunque il dovere di controllare quanto accadeva all’interno
della propria abitazione.
La Corte territoriale ha fatto poi riferimento alla particolare angustia degli ambienti per
cui il Balasoiu non poteva comunque non rendersi conto di quanto avveniva all’interno
dell’appartamento.
Il provvedimento non resiste alle censure mossegli. Ed invero le considerazioni della
Corte in ordine alla esigibilità della condotta di vigilanza in capo al Balasoiu non
trovano alcun riscontro normativo, né appare peraltro configurabile un potere di
diretto intervento del locatore per impedire condotte antigiuridiche da parte del
conduttore.
Con riferimento poi alla circostanza secondo cui il Balasoiu non poteva comunque non
rendersi conto di quanto avveniva all’interno dell’appartamento, va precisato che tutt’
al più la stessa integrerebbe un’ipotesi di connivenza. A riguardo questa Corte ha già
avuto modo di affrontare la problematica della valenza della connivenza stessa ad
essere condotta ostativa al riconoscimento della riparazione (cfr. Sez. 4, 17 novembre
2011, Cantarella, Rv 252725). In particolare sì è riconosciuta tale valenza in tre casi:
a) nell’ipotesi in cui l’atteggiamento di connivenza sia indice del venir meno di
elementari doveri di solidarietà sociale per impedire il verificarsi di gravi danni alle

reato (anzi, questo è il presupposto, scontato, dell’intervento del giudice della

persone o alle cose (cfr. Cass. 8993/03, ric. Lushay, RV. 223688);
b) nel caso in cui la connivenza si concreti non già in un mero comportamento passivo
dell’agente riguardo alla consumazione di un reato, ma nel tollerare che tale reato sia
consumato, sempreché l’agente sia in grado di impedire la consumazione o la
prosecuzione dell’attività criminosa in ragione della sua posizione di garanzia (Cass. n.
16369/03, Cardillo, RV. 224773); c) nell’ipotesi in cui la connivenza passiva risulti aver
oggettivamente rafforzato la volontà criminosa dell’agente, sebbene il connivente non

connivente fosse a conoscenza dell’attività criminosa dell’agente medesimo (Cass. n.
42039/06, ric. Cambareri, RV. 235397). È noto che la mera presenza passiva non
integra il concorso nel reato a meno che non valga a rafforzare il proposito dell’agente
di commettere il reato. Ma questo rafforzamento del proposito non è sufficiente per
ritenere il concorso dello “spettatore passivo” essendo necessario che questi abbia la
coscienza e volontà di rafforzare il proposito criminoso. Nei casi in cui l’elemento
soggettivo in questione non sia provato ben può essere astrattamente configurata
gravemente colposa, perché caratterizzata da grave negligenza, la condotta passiva
del connivente per non aver valutato gli effetti della sua condotta sul comportamento
dell’agente la cui volontà criminosa può essere oggettivamente rafforzata anche se il
connivente non intende perseguire questo effetto e sia comunque idonea a creare
un’apparenza di partecipazione alle attività criminose di altri. Ma per poter pervenire a
questa conclusione è necessario che sia provata la conoscenza delle attività criminose
compiute (o almeno che con grave negligenza il convivente non se ne sia reso conto).
Nella concreta fattispecie, avuto riguardo alle circostanze fattuali evidenziate dalla
Corte distrettuale quali sopra ricordate, appare di tutta evidenza che non vi è prova
certa (il provedimento impugnato fonda l’assunto su una mera presunzione) che il
Balasoiu fosse effettivamente a conoscenza dell’illecita attività in cui era apparso
coinvolto, né risulta che abbia mantenuto una condotta idonea a rafforzare
oggettivamente la volontà dei soggetti inseriti a pieno titolo, e da protagonisti,
nell’organizzazione dedita alla donazione di bancomat e carte di credito di tal che il
comportamento del Balasoiu non appare inquadrabile – tra le ipotesi sopra ricordate cui
la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto riconducibile la condotta connivente
ostativa al riconoscimento della riparazione – (quanto meno) nell’ipotesi sub c).
4. In assenza di ulteriori precisazioni da parte del provvedimento impugnato in ordine ai
concreti comportamenti ostativi al riconoscimento del richiesto indennizzo, la ordinanza
impugnata va pertanto annullata con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di
Roma
P.Q.M.

intenda perseguire questo effetto; in tal caso è necessaria la prova positiva che il

annulla l’impugnato provvedimento e rinvia per nuovo esame alla Corte d’Appello di
Roma-

Così deciso nella camera di consiglio dell’il marzo 2014

IL PRESI ENTE

IL CONSIGLIERE ESTENSORE

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