Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32151 del 15/07/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 32151 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FOGLIANI LUIGI N. IL 15/02/1942
avverso la sentenza n. 239/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
26/06/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/07/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
irtartunzon~
M. Giuseppina Fodaroni, che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso;
Udito il difensore della parte civile, Avv. Sergio Puerari, che ha
concluso per l’inammissibilità del ricorso;

Udito, per la parte civile, l’Avvi
Udit i difensor AvvI

Data Udienza: 15/07/2014

RITENUTO IN FATTO

1. In data 26/06/2013 la Corte di Appello di Milano ha confermato la
sentenza emessa il 4/09/2011 dal Tribunale di Varese, che aveva dichiarato
Fogliani Luigi responsabile del delitto previsto dall’art. 590, commi 2 e 3, cod.
pen. perché, nella qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione
dell’impresa Lavorazioni Alluminio Brenta S.r.l., aveva cagionato alla lavoratrice
Sforza Veronica lesioni giudicate guaribili con prognosi superiore ai 40 giorni,

generiche, oltre al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile.

2. Il fatto era stato così ricostruito nelle fasi di merito: la lavoratrice
utilizzava il macchinario “Pressa Eccentrica” Marca ‘Invernizzi’, mod. “80T” per lo
stampaggio di pezzi di alluminio da eseguirsi contemporaneamente su due pezzi
grezzi attraverso tre distinte fasi (foramento, formazione di arco e foramento
ulteriore), senza avere ricevuto un addestramento specifico; nella fase di
estrazione manuale dei pezzi dall’alloggiamento presente sullo stampo,
appoggiando entrambe le mani sulla parte superiore dello stesso, la lavoratrice
aveva accidentalmente premuto il pedale della pressa che, attivandosi, le aveva
procurato lo schiacciamento delle falangi ungueali di entrambe le mani. Al datore
di lavoro si rimproverava di non avere munito la pressa di dispositivi atti ad
evitare che le mani dei lavoratori fossero offese, di non aver svolto
manutenzione al fine di garantire la rispondenza del macchinario ai requisiti di
sicurezza e di non aver fornito alla lavoratrice una formazione specifica e
adeguata all’uso del macchinario.

3. Ricorre per cassazione Luigi Fogliani, con atto sottoscritto dal difensore,
censurando la sentenza impugnata per erronea applicazione della legge penale e
vizio di motivazione con particolare riferimento alla valutazione della gravità del
fatto e della conseguente quantificazione della pena, al mancato accoglimento
della richiesta di applicazione della pena ai sensi dell’art.444 cod. proc. pen.,
assentita dal pubblico ministero titolare del fascicolo e dal pubblico ministero
d’udienza in primo grado, nonché in merito al giudizio relativo al bilanciamento
della circostanza aggravante, immotivatamente ritenuta prevalente sulle
attenuanti generiche. In particolare, il ricorrente lamenta che il giudizio di
prevalenza della circostanza aggravante si sia basato sulla frase di stile “tenuto
conto dei criteri di cui all’art.133 cod. pen. e delle conseguenze del reato”, senza
prendere in considerazione il fatto che nessuna modifica fosse stata mai
apportata al macchinario, che alla lavoratrice era stata fornita specifica istruzione
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condannandolo alla pena di mesi sei di reclusione, concesse le attenuanti

istruzione sul funzionamento della pressa, che fossero presenti i cartelli
obbligatori di avvertimento e attenzione, che alla dipendente fossero stati messi
a disposizione i presidi a salvaguardia delle mani, che la dipendente avesse
ammesso la propria disattenzione. Nel ricorso si assume che l’evento si sarebbe
verificato a causa dell’essersi incastrato il pezzo in lavorazione nello stampo della
pressa, da ciò desumendosi l’imprevedibilità del fatto. La circostanza che la
società rappresentata dall’imputato abbia sempre rispettato tutte le prescrizioni
a tutela della salute dei lavoratori avrebbe dovuto consentire, secondo il

caso, il giudizio di prevalenza dell’attenuanti generiche sulla contestata
aggravante.

4. All’udienza del 15/07/2014 la parte civile Sforza Veronica ha depositato, a
mezzo del difensore, conclusioni scritte e nota spese.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi di ricorso concernenti l’affermazione di responsabilità
dell’imputato sono inammissibili, sostanziandosi nella mera reiterazione di
identici motivi proposti con l’atto di appello, secondo quanto emerge dal
raffronto tra i due atti.
1.1. Come costantemente affermato da questa Corte (ex plurimis, Sez.6,
n.8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584), la funzione tipica
dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui
si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di
motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod.proc.pen.) debbono
indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono
ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è, pertanto,
innanzitutto il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di
diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni
del provvedimento il cui dispositivo si contesta. Il motivo di ricorso in cassazione,
poi, è caratterizzato da una duplice specificità. Deve essere sì anch’esso
conforme all’art. 581 lett.c) cod.proc.pen. (e quindi contenere l’indicazione delle
ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta
presentata al giudice dell’impugnazione); ma quando censura le ragioni che
sorreggono la decisione deve, altresì, contemporaneamente enucleare in modo
specifico il vizio denunciato, così che esso sia chiaramente sussumibile fra i tre,
soli, previsti dall’art. 606,comma 1, lett. e) cod.proc.pen., deducendo poi,
altrettanto specificamente, le ragioni della sua decisività rispetto al percorso
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ricorrente, l’accoglimento della domanda di applicazione della pena o, in ogni

logico seguito dal giudice del merito per giungere alla deliberazione impugnata,
sì da condurre a decisione differente.
1.2. Risulta pertanto di chiara evidenza che se il motivo di ricorso, come nel
caso in esame, si limiti a riprodurre il motivo d’appello, per ciò solo si destina
all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è
previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto che con
siffatta mera riproduzione il provvedimento ora formalmente impugnato, lungi
dall’essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto

1.3. In altri e conclusivi termini, la riproduzione, totale o parziale, del motivo
d’appello ben può essere presente nel motivo di ricorso (ed in alcune circostanze
ciò costituisce incombente essenziale dell’adempimento dell’onere di
autosufficienza del ricorso), ma solo quando ciò serva a documentare il vizio
enunciato e dedotto con autonoma specifica ed esaustiva argomentazione, che,
indefettibilmente, si riferisce al provvedimento impugnato con il ricorso e con la
sua integrale motivazione si confronta (Sez. 6, n. 34521 del 27/06/2013,
Ninivaggi, Rv. 256133).

2. Con riguardo alle censure concernenti il trattamento sanzionatorio, si
osserva quanto segue.
2.1. Ricorre nella giurisprudenza della Corte la massima in base alla quale si
ritiene correttamente adempiuto l’obbligo della motivazione in tema di
bilanciamento tra circostanze eterogenee allorché il giudice dimostri di avere
considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati nell’art. 133 cod. pen.
e gli altri dati significativi che abbia ritenuto assorbenti o prevalenti su quelli di
segno opposto, essendo in tale caso sottratto al sindacato di legittimità un
giudizio che costituisce espressione del potere discrezionale riservato al giudice
di merito e che può essere esaminato solo nel caso in cui non sia aderente ad
elementi tratti dalle risultanze processuali o manchi di logicità (Sez.1, n.3163 del
28/11/1988 – dep. 25/02/1989, Donato, Rv.180654). L’assolvimento dell’obbligo
di motivazione in materia non richiede argomentazioni particolarmente
dettagliate, ritenendosi sufficiente un giudizio di opportunità a fini di
adeguamento della pena da irrogare in concreto, nell’ipotesi in cui il giudice
ritenga di pervenire ad un giudizio di equivalenza tra circostanze eterogenee
(Sez.5, n.5579 del 26/09/2013, dep.4/02/2014, Sub o e altro, Rv.258874; Sez.6,
n.6866 del 25/11/2009, dep.19/02/2010, Alesci e altro, Rv.246134; Sez.1,
n.758 del 28/10/1993, dep.26/01/1994, Braccio, Rv.196224; Sez.2, n.17417 del
9/12/1988, dep.18/12/1989, Lana, Rv.182846), mentre deve valutarsi con
maggior rigore nell’ipotesi in cui, pur riconoscendosi la sussistenza di circostanze
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ignorato.

attenuanti generiche, il giudice ritenga di pervenire ad un giudizio di prevalenza
delle contestate aggravanti.
2.2. Nel caso in esame, il giudice di merito ha posto a confronto il
complessivo comportamento processuale dell’imputato, valorizzato ai fini del
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, con la gravità delle lesioni
subite dalla persona offesa, desumendo proprio dalla gravità delle conseguenze
del reato, che è uno degli elementi espressamente contemplati dall’art.133 cod.
pen., le ragioni giustificative del giudizio di prevalenza della circostanza

2.3. Tenuto conto dei principi sopra ricordati, tanto si ritiene sufficiente per
escludere che la sentenza sia, sul punto, priva di adeguata e logica motivazione.

3. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato; al rigetto segue, a
norma dell’art.616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali, nonché alla rifusione delle spese processuali in favore della
costituita parte civile, liquidate in euro 2.500,00 oltre oneri accessori come per
legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali; lo condanna inoltre a rimborsare alla parte civile le spese sostenute
per il presente giudizio che liquida in complessivi euro 2.500,00 oltre accessori
come per legge.

Così deciso il 15/07/2014

aggravante di cui all’art.590, comma 3, cod. pen.

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