Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32148 del 15/07/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 32148 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VALLARINO ANTONIO N. IL 21/01/1993
avverso la sentenza n. 5189/2013 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
27/11/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/07/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
the-ha-conchiscrpen
M. Giuseppina Fodaroni, che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso;

Mito, per ta-prtuiP vv

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Udit i difensor Avyi

Data Udienza: 15/07/2014

RITENUTO IN FATTO

1. In data 27/11/2013 la Corte di Appello di Napoli ha rigettato l’appello
proposto dall’imputato avverso la sentenza emessa il 30/11/2012 dal Tribunale
di Napoli – Sezione di Afragola, accogliendo l’appello proposto dal Procuratore
Generale e, conseguentemente, determinando la durata della pena accessoria
dell’interdizione dai pubblici uffici in anni cinque e correggendo l’errore materiale
presente nella sentenza di primo grado, in conformità con il dispositivo letto in

del reato previsto dagli artt.110 cod. pen. e 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309 per
avere illecitamente detenuto a fini di cessione a terzi sostanza stupefacente del
tipo cocaina per complessivi gr. 3,2887 netti circa, con principio attivo pari
all’87%, e del tipo marijuana per complessivi gr.210,9550 netti circa, con
principio attivo pari al 21,6%, condannandolo alla pena di anni quattro di
reclusione ed euro 18.000,00 di multa, previa concessione delle attenuanti
generiche, così ridotta per il rito la pena base di anni sei di reclusione ed euro
27.000,0 di multa.

2.

Ricorre per cassazione Vallarino Antonio, con atto sottoscritto

personalmente, censurando la sentenza impugnata i seguenti motivi:
a) vizio di motivazione e violazione di legge relativamente alla parte della
sentenza in cui è stato negato il riconoscimento dell’ipotesi autonoma di reato ai
sensi dell’art.73, comma 5, T.U. Stup. Secondo il ricorrente, la Corte territoriale
avrebbe omesso di valutare gli elementi probatori raccolti in primo grado, che
offrivano spiegazione alternativa all’ipotesi di detenzione a fini di cessione a terzi
della sostanza stupefacente, dando per scontato che la sostanza sequestrata
fosse riferibile all’imputato. Il superamento dei limiti quantitativi stabiliti con
decreto, si assume, non può fondare la presunzione assoluta di destinazione
illecita, che può essere smentita sulla base di altre circostanze dell’azione, come
l’eventuale stato di tossicodipendenza o anche l’uso abituale di droga,
soprattutto se il superamento della soglia è modesto;
b) vizio di motivazione e violazione di legge relativamente alla parte della
sentenza in cui è stato corretto l’errore relativo alla sanzione pecuniaria applicata
al ricorrente, che da 6.000,00 euro è stata modificata in 18.000,00 euro. I
giudici di appello, si assume, avrebbero adottato un provvedimento in violazione
del divieto di reformatio in peius, correggendo in aumento la pena irrogata nel
dispositivo.

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udienza. Il giudice di primo grado aveva dichiarato Vallarino Antonio colpevole

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
1.1. E’, infatti, ripetutamente affermato che il ricorso deve dichiararsi
inammissibile qualora l’atto difetti di specificità del motivo (art.581
cod.proc.pen.) ovvero sia sostanzialmente tendente ad una rivalutazione in fatto,
non consentita in sede di legittimità (art.606 cod.proc.pen.). Deve rilevarsi, in
particolare, che le doglianze difensive qui proposte fanno generico riferimento al

punto di fatto, poiché non inerenti ad errori di diritto o vizi logici della decisione
impugnata ovvero a travisamento della prova, ma dirette a censurare le
valutazioni operate dal giudice di merito. Si chiede, in realtà, al giudice di
legittimità una rilettura degli atti probatori, per pervenire ad una diversa
interpretazione degli stessi, più favorevole alla tesi difensiva del ricorrente.
Trattasi di censura non consentita in sede di legittimità perché in violazione della
disciplina di cui all’art. 606 cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 31064
del 02/07/2002, P.O.in

proc.

Min.

Tesoro,

Rv. 222217;

Sez. 1,

n. 10527 del 12/07/2000, Cucinotta, Rv. 217048; Sez. U, n.6402
del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n.930 del 13/12/1995,
dep. 29/01/1996, Clarke, Rv.203428). Infatti, nel momento del controllo di
legittimità, la Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito
proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti ne’ deve
condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa
giustificazione sia compatibile con il senso comune e con “i limiti di una plausibile
opinabilità di apprezzamento”, secondo una formula giurisprudenziale ricorrente
(Sez. 4, n.47891 del 28/09/2004, n. 47891, Mauro, Rv. 230568; Sez. 4, n.4842
del 2/12/2003, dep. 6/02/2004, Elia, Rv. 229369).
1.2. Ma le ragioni dell’inammissibilità del ricorso sono qui rinvenibili,
soprattutto, nel principio interpretativo, consolidato nella giurisprudenza di
questa Corte, secondo il quale non è consentito prospettare in sede di legittimità,
sia pure qualificandoli come vizi della motivazione, elementi e valutazioni di puro
fatto, sulla base dei quali, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire
ad un diverso esito del giudizio. E che tale sia in effetti la connotazione delle
proposte censure risulta evidente, avendo il ricorrente riprodotto o richiamato
acquisizioni istruttorie, di cui si lamenta la mancata o distorta valutazione da
parte della Corte di merito. Un siffatto genere di doglianze non può conciliarsi
con il chiaro e tassativo disposto dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen.,
per il quale il vizio di motivazione è denunciabile solo in quanto esso consista in
“mancanza o manifesta illogicità” della motivazione stessa e detta mancanza o
3

contenuto della decisione impugnata e costituiscono, nella sostanza, eccezioni in

manifesta illogicità emerga non dagli atti o dalle risultanze processuali ma dal
testo del provvedimento impugnato; il che esclude – come questa Corte ha più
volte ripetuto – che sotto l’egida del vizio di motivazione possa proporsi una
rilettura critica delle valutazioni operate dal giudice di merito, sovrapponendo ad
esse quelle, sia pur plausibili, espresse dal ricorrente, quando le prime, a loro
volta, si presentino anch’esse come non prive di ragionevolezza e plausibilità
logico-giuridica.

2.1. È principio ripetutamente affermato nella giurisprudenza di questa
Suprema Corte che la divergenza tra dispositivo e motivazione non determina
nullità della sentenza, risolvendosi con la logica prevalenza dell’elemento
decisionale su quello giustificativo, non ritenendosi illegittima la sentenza che
abbia provveduto alla correzione dell’errore materiale in base al combinato
disposto degli artt. 547 e 130 cod. proc. pen. (Sez.5, n.22736 del 23/03/2011,
Corrado e altri, Rv.250400). Tanto meno risulta viziata la decisione in cui, come
nel caso in esame, rilevata la difformità tra dispositivo letto in udienza e
dispositivo riportato nella sentenza successivamente depositata, la Corte di
Appello abbia considerato tale difformità frutto di mero errore materiale,
soggetto a correzione anche d’ufficio, ritenendo prevalente il dispositivo letto in
udienza.

3. La pronuncia impugnata deve, comunque, essere esaminata in virtù del
mutamento del quadro normativo di riferimento all’attenzione dell’interprete a
seguito della dichiarazione d’incostituzionalità ( Corte Cost. n.32 del 25 febbraio
2014) degli artt. 4-bis e 4-vicies ter d.l. 30 dicembre 2005, n. 272 (Misure
urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi
invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni
per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico
delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope,
prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, I. 21 febbraio 2006, n. 49.
3.1. Va, infatti, considerato, che la pena irrogata, secondo quanto si legge
nella motivazione della sentenza, è stata determinata nella misura di quattro
anni di reclusione ed euro 18.000,00 di multa (pena base anni sei di reclusione
ed euro 27.000,00 di multa) sussumendo in un unico reato le condotte di
detenzione di droghe cosiddette pesanti

(cocaina)

e leggere

(marijuana),

applicando le disposizioni vigenti successivamente all’emanazione del d.l. 30
4

2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.

dicembre 2005, n.272 (convertito dalla 1.49/2006), che aveva previsto per il
reato di cui all’art.73, comma 1-bis, T.U. Stup. la pena edittale minima di sei
anni, unificando il trattamento sanzionatorio per le cosiddette droghe pesanti e
droghe leggere.
3.2. In base alle disposizioni vigenti anteriormente all’emanazione del d.l. 30
dicembre 2005, n.272 (convertito dalla 1.49/2006), attinto dalla dichiarazione di
incostituzionalità, per le sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e
III (cosiddette droghe pesanti) previste dall’art. 14, erano contemplate la

258.228,00 e per le sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle II e
IV (cosiddette droghe leggere) previste dall’art. 14, la reclusione da due a sei
anni e la multa da euro 5.164,00 ad euro 77.468,00. In particolare, la norma
dichiarata incostituzionale aveva aumentato, per le cosiddette droghe leggere, il
trattamento sanzionatorio, precedentemente stabilito, come detto, nell’intervallo
edittale della pena della reclusione da due a sei anni e della multa da euro
5.164,00 ad euro 77.468,00 elevandole alla pena della reclusione da sei a venti
anni e della multa da euro 26.000,00 ad euro 260.000,00, prevista anche per le
cosiddette droghe pesanti, rivivendo all’attualità il precedente regime
sanzionatorio, con pene edittali differenziate in relazione al tipo di sostanza
stupefacente.
3.3. Va, dunque, considerato che la condotta contestata attiene alla
detenzione a fini di spaccio di droghe leggere (marijuana) e droghe pesanti
(cocaina)

e che, secondo un principio interpretativo consolidato nella

giurisprudenza di questa Corte, la detenzione di sostanze stupefacenti di specie
diverse, in quanto ricomprese in differenti tabelle, integra due autonome ipotesi
di reato tra le quali è possibile ravvisare la continuazione, trattandosi di distinte
azioni tipiche a diversa oggettività giuridica, con differente trattamento
sanzionatorio, non alternative tra loro né inquadrabili in un rapporto di specialità
(Sez.4, n.37993 del 9/07/2008, Isoni, Rv. 241060; Sez.6, n.35637 del
16/04/2003, Poppi, Rv.226649).
3.4. Nel caso concreto, tuttavia, la pena base è stata determinata nella
misura di anni sei di reclusione, ossia in misura inferiore al minimo edittale
attualmente previsto in caso di detenzione di droghe pesanti, pari ad anni otto di
reclusione. Sul punto è bene rammentare che, ancorchè la sanzione pecuniaria
per il delitto di detenzione illecita a fini di spaccio di droghe cosiddette pesanti
sia attualmente stabilita nel minimo edittale di euro 25.822,00, per determinare ‘
la disciplina più favorevole al reo ai fini dell’art.2 cod. pen. occorre fare
riferimento al trattamento oggettivamente e concretamente più favorevole nel

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reclusione da otto a venti anni e la multa da euro 25.822,00 ad euro

suo complesso, tenendo conto dei criteri di ragguaglio tra pena pecuniaria e
detentiva ai sensi dell’art.135 cod. pen.
3.5. Giova, a questo punto, richiamare alcuni principi elaborati nel tempo da
questa Corte di legittimità in materia di reato continuato:
a) per la individuazione della violazione più grave il giudice deve fare
riferimento alla pena edittale prevista per ciascun reato ed individuare la
violazione punita più severamente dalla legge, in rapporto alle circostanze in cui
la fattispecie si è manifestata (Sez. U n.25939 del 28/02/2013, P.G. in proc.

Sez. 5, n. 12473 dell’11/02/2010, Salviani, Rv. 246558; Sez. 3, n. 11087 del
26/01/2010, S., Rv. 246468; Sez. 2, n. 47447 del 06/11/2009, Sali, Rv.
246431; Sez. 4, n. 6853 del 27/01/2009, Maciocco, Rv. 242866; Sez. 1, n.
26308 del 27/05/2004, Micale, Rv. 229007; Sez. U, n. 748 del 12/10/1993, dep.
25/01/1994, Cassata, Rv.195805; Sez. U, n. 4901 del 27/03/1992, Cardarilli,
Rv.191129);
b) la pena base per il reato continuato non può mai essere inferiore a quella
prevista come minimo per uno qualsiasi dei reati unificati dal medesimo disegno
criminoso (Corte Cost., ord. n. 11 del 9/01/1997; Sez. U, n. 20798 del
24/02/2011, Indelicato, Rv. 249664; Sez. U, n. 15 del 26/11/1997, dep.
3/02/1998, Varnelli, Rv.209487);
c) la pena destinata a costituire la base sulla quale operare gli aumenti fino
al triplo per i reati-satellite, qualunque sia il genere o la specie della loro
sanzione edittale, è esclusivamente quella prevista per la violazione più grave
(Sez. U, n. 15 del 26/11/1997, dep. 3/02/1998, Varnelli, Rv.209486).
3.6. Tenuto conto dei principi sopra richiamati, se ne deve desumere che la
pena irrogata nei confronti di Antonio Vallarino, sebbene illegale in quanto
determinata in relazione ad un’unica ipotesi delittuosa in applicazione della
disciplina dichiarata incostituzionale (arti., comma 1, I. 21 febbraio 2006, n.49)
sia più favorevole al reo e non possa essere modificata (Sez. 4,
n. 49404 del 21/11/2013, Colombini, Rv. 258128) in quanto, in base alla
disciplina attualmente in vigore, la pena base non sarebbe inferiore ad otto anni
di reclusione ed euro 25.822,00 di multa, a fronte di una pena in concreto
irrogata (anni 4 di reclusione ed euro 18.000,00 di multa) applicando la
riduzione per le circostanze attenuanti alla pena di anni sei di reclusione ed euro
27.000,00 di multa, comunque inferiore anche ai sensi dell’art.135 cod. pen. all
sanzione minima edittale ora in vigore.

6

Ciabotti, Rv.255347; Sez. 6, n.34382 del 14/07/2010, Azizi Aslan, Rv. 248247;

4. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato; al rigetto del ricorso
segue, a norma dell’art.616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

Così deciso il 15/07/2014

processuali.

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