Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32146 del 15/07/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 32146 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DE LUCCHI FEDERICO N. IL 18/04/1940
avverso la sentenza n. 2372/2011 CORTE APPELLO di VENEZIA, del
13/05/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/07/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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M. Giuseppina Fodaroni, che ha concluso per l’annullamento con
rinvio della sentenza impugnata limitatamente al lavoro di pubblica
utilità e rigetto nel resto;
Udito il difensore, Avv. Alessandro Tetti, che ha insistito per
l’accoglimento del ricorso;

.

dito, per la parte civile l’Av
dit i difensor Avv.

Data Udienza: 15/07/2014

RITENUTO IN FATTO

1. In data 13/05/2013 la Corte di Appello di Venezia ha confermato la
sentenza emessa il 19/04/2011 dal Giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Treviso, che aveva ritenuto De Lucchi Federico responsabile del
reato di cui all’art. 186, comma 2, lett. c), comma 2-bis e comma 2-sexies, d.
Igs. 30 aprile 1992, n. 285 condannandolo alla pena di giorni 60 di arresto ed
euro 1.400,00 di ammenda previa esclusione dell’aggravante di cui all’art. 186,

2.

Ricorre per cassazione Federico De Lucchi con atto sottoscritto

personalmente, censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi:
a)

inutilizzabilità dei documenti e degli atti istruttori, motivazione

contraddittoria. Secondo il ricorrente, la documentazione sarebbe priva di
validità probatoria ai fini dell’accertamento dei presupposti dell’aggravante
contestata in quanto l’accertamento del reato, per espressa ammissione delle
forze dell’ordine, si è svolto presso l’abitazione dell’imputato, che non è stato
reperito in stato di ebbrezza al momento del sinistro. In nessun documento
presente all’interno del fascicolo di giudizio abbreviato risulta che lo stato di
ebbrezza sia stato confermato al momento del sinistro stradale;
b)

omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Il

ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia negato le attenuanti generiche
con motivazione assolutamente contraddittoria, ritenendo irrilevante il
comportamento tenuto dal ricorrente in sede di accertamento dei fatti, ovvero la
spontanea presentazione in casa per riferire ai Carabinieri;
c) violazione dell’art. 186, comma 9-bis, cod. strada per avere la Corte
territoriale negato la richiesta di ammissione al beneficio del lavoro di pubblica
utilità ritenendola generica e non corrispondente con certezza, in quanto non
reiterata nel corso del giudizio, alla reale volontà dell’imputato. La Corte
territoriale, si assume, avrebbe dovuto accogliere la richiesta sulla base della
mancata opposizione dell’imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
1.1. E’ stato ripetutamente affermato da questa Corte che un motivo di
ricorso deve dichiararsi inammissibile qualora difetti di specificità (art.581
cod.proc.pen.) ovvero sia sostanzialmente tendente ad una rivalutazione in fatto,
non consentita in sede di legittimità (art.606 cod.proc.pen.). Deve rilevarsi, i
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comma 2-bis, cod. strada.

particolare, che le doglianze difensive qui proposte fanno generico riferimento al
contenuto della decisione impugnata senza individuare con la dovuta specificità i
punti della decisione che si assumono viziati. Si chiede, in realtà, al giudice di
legittimità una rilettura degli atti probatori, per pervenire ad una diversa
interpretazione degli stessi, più favorevole alla tesi difensiva del ricorrente.
Trattasi di censura non consentita in sede di legittimità perché in violazione della
disciplina di cui all’art. 606 cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 31064
del 02/07/2002, P.O. in proc. Min. Tesoro, Rv. 222217; Sez. 1, n. 10527

Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n.930 del 13/12/1995, dep. 29/01/1996,
Clarke, Rv.203428).

2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
2.1. La Corte territoriale ha giustificato il diniego delle attenuanti generiche
sia richiamando la norma dell’art. 62 bis, comma 3, cod.pen., in base alla quale
non è sufficiente il dato formale della incensuratezza dell’imputato, sia
sottolineando la gravità del reato in relazione all’elevato tasso di ebbrezza
alcolica, ampiamente superiore alla soglia minima prevista per la fattispecie
contestata.
2.2. Trattasi di motivazione incensurabile in sede di legittimità in quanto
pienamente rispettosa del principio secondo il quale, ai fini della valutazione circa
la configurabilità o meno delle circostanze attenuanti generiche, il giudice può
valutare la gravità del fatto, senza la necessità che prenda in considerazione tutti
gli elementi dedotti dalle parti o rivelati dagli atti, essendo sufficiente il
riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti (Sez.3, n.23055 del
23/04/2013, Banic e altri, Rv.256172; Sez.6, n.34364 del 16/06/2010, Giovane
e altri, Rv.248244).

3. Il terzo motivo di ricorso è infondato.
3.1. Con la I. 29 luglio 2010, n. 120, da un canto è stato introdotto l’art.186,
comma 9-bis cod.strada (che prevede la pena sostitutiva del lavoro di pubblica
utilità, con l’aggiunta, in caso di esito positivo, dell’estinzione del reato, della
riduzione alla metà della sanzione della sospensione della patente e della revoca
della confisca del veicolo sequestrato) e, dall’altro, è stata inasprita la pena
detentiva prevista (dal previgente d.l. 23 maggio 2008, n. 92, art. 4) per il reato
di cui al comma 2, lett. c) dell’art. 186 cod.strada, con l’innalzamento del minimo
edittale a sei mesi di arresto (ferme restando la pena massima di un anno di
arresto e la congiunta pena dell’ammenda da euro 1.500,00 ad euro 6.000,00).
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, anche ai fatti commessi sotto la
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del 12/07/2000, Cucinotta, Rv. 217048; Sez. U, n.6402 del 30/04/1997,

vigenza del precedente regime è applicabile siffatta pena sostitutiva. E’ stato,
infatti, ritenuto che, nel complesso, la nuova disposizione, alla luce dei vantaggi
introdotti a fronte del contestuale inasprimento della sanzione, laddove sia
intervenuta la specifica scelta dell’imputato ovvero la sua mancata opposizione,
divenga per lui oggettivamente ed in concreto più favorevole rispetto a quella
previgente. Per un primo aspetto, “l’individuazione, tra una pluralità di
disposizioni succedutesi nel tempo, di quella più favorevole al reo, va eseguita
non in astratto, sulla base della loro mera comparazione, bensì in concreto,

ciascuna di esse alla fattispecie sottoposta all’esame del giudice” (Sez. 1, n.
40915 del 2/10/2003, Fittipaldi, Rv. 226475). Per altro verso, proprio perché il
maggior favore di una disciplina va valutato con riferimento al complesso degli
effetti che dispiega nel caso concreto, la pena base di partenza deve comunque
essere non inferiore a mesi sei di arresto ed euro 1.500,00 di ammenda, come
previsto dalla nuova formulazione dell’art. 186, comma 2, lett. c) cod.strada.
Infatti, il principio della doverosa applicazione del trattamento più favorevole
all’imputato non permette di combinare un frammento normativo di una legge al
frammento normativo di un’altra legge, perché in tal modo si verrebbe ad
applicare una terza fattispecie di carattere intertemporale non prevista dal
legislatore, violando così il principio di legalità (Sez. 4, n. 36757 del 4/06/2004,
Perino, Rv.229687).
3.2. Il tessuto normativo, che sin dove si è descritto risulta incontestato,
deve però confrontarsi anche con il problema dell’ammissibilità della sostituzione
della pena principale quando questa sia stata inflitta in misura inferiore al
minimo previsto dal testo attualmente vigente dell’art. 186, comma 2, lett. c)
cod. strada, posto che la nuova disciplina deve considerarsi più favorevole
rispetto alla previgente solo nel caso in cui il giudice ritenga di infliggere una
pena base di mesi sei di arresto e ritenga di poter disporre la sostituzione con il
lavoro di pubblica utilità; in tale ipotesi, dunque, il giudice (di primo come di
secondo grado) che pronunci la decisione dopo l’entrata in vigore della I.
n.120/2010 è tenuto, anche in assenza di una esplicita richiesta in tal senso delle
parti, ad individuare il trattamento sanzionatorio ‘legale’, che potrà essere tale
solo se risultante dalla corretta applicazione, tra gli altri, dell’art. 2 cod. pen.
3.3. Sussiste anche l’obbligo del giudice di appello di applicare ex officio la
disciplina più favorevole, ma a condizione che il mutamento normativo sia
intervenuto dopo la pronuncia della sentenza impugnata (Sez. 4, n. 39631 del
24/09/2002, Gambini, Rv. 225693; sempre in un caso in cui la modifica era •
intervenuta dopo la sentenza di primo grado, il principio è stato ribadito da
Sez.5, n. 4790 del 29/10/2010, dep.9/02/2011, Attanasio, Rv.249782)
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mediante il confronto dei risultati che deriverebbero dall’effettiva applicazione di

3.4. Qualora invece – come nel caso in esame – il mutamento normativo
fosse già intervenuto al tempo della pronuncia di primo grado ed il giudice abbia
ignorato la nuova disciplina, l’omessa applicazione di quest’ultima si traduce in
violazione dell’art.2 cod. pen. nelle sole ipotesi in cui il giudice abbia irrogato in
concreto una sanzione uguale o superiore a sei mesi di arresto. Da tale
considerazione deriva la conseguenza che, ove l’imputato presti acquiescenza
alla decisione che ha applicato la disciplina previgente, dovrà ritenersi precluso
fare della omessa applicazione della disciplina più favorevole motivo di ricorso

3.5. Ma, con specifico riguardo alle modalità con cui deve essere sottoposta
la questione al giudice dell’appello, ove l’imputato non articoli un vero e proprio
motivo di appello relativo alla pena inflitta nel suo complesso per violazione
dell’art. 2 cod. pen. ma si limiti a chiedere la sostituzione della pena inflitta nella misura determinata dal primo giudice – con quella del lavoro di pubblica
utilità ovvero dichiari (come appunto nel caso che qui occupa) la propria
disponibilità alla sostituzione, ci si deve chiedere se si sia o meno in presenza di
un motivo di appello avente ad oggetto il trattamento sanzionatorio perché
determinato in violazione di legge, idoneo a devolvere al giudice del gravame il
tema della esatta determinazione della pena.
3.6. Come questa Sezione ha recentemente avuto modo di chiarire,
sviluppando quell’indirizzo della giurisprudenza di legittimità secondo il quale il
giudice di appello non può applicare la sanzione sostitutiva quando la richiesta
non sia stata fatta oggetto di apposito motivo di appello (Cass. Sez. 5, n. 44029
del 10/10/2005 Rv. 232536; v. anche Cass., Sez. 4, n. 31024 del 10/01/2002,
Rv. 222313; Cass., Sez. 5, n.9391 del 04/06/1998, Rv. 211446; Cass., Sez. 1,
n. 166 del 26/09/1997, Rv. 209438; Cass., Sez. 6, n. 4302 del 20/03/1997, Rv.
208887; Cass., Sez. 5, n.2039 del 17/01/1997, Rv. 208671; contra v. Cass.,
Sez. 6, n. 786 del 12/12/2006, Rv. 235608; Cass., Sez. 3, n. 9496 del
08/02/2005, Rv. 231122), “qualora l’imputato non abbia proposto appello
avverso la decisione di primo grado che ritenga viziata per non aver applicato la
disciplina più favorevole, viene a formarsi una preclusione. Infatti, la mera
richiesta di sostituzione della pena non equivale ad impugnazione del punto
concernente la determinazione della pena, posto che il motivo di impugnazione si
concreta in una censura alla decisione, per aver questa errato ‘per omissione o
per commissione’. Da un canto l’appellante può formulare, oltre ai motivi,
richieste sollecitatorie dei poteri di ufficio del giudice del gravame. Dall’altro,
deve ritenersi che la mera richiesta di sostituzione della pena non valga a
devolvere il punto della sentenza relativo al trattamento sanzionatorio, posto che
l’appellante, tacendo della applicazione di una pena non legale ex art. 2 cod.
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per cassazione.

pen., evidenzia che non intende veder modificata la pena principale” (Sez. 4, n.
42649 del 28/03/2013, Perfumo, Rv.257187). Qualora, dunque, l’imputato non
abbia proposto uno specifico motivo di appello avverso la decisione di primo
grado che ritenga viziata per non aver applicato la disciplina più favorevole,
viene a formarsi una preclusione. Infatti, la mera richiesta di sostituzione della
pena non equivale ad impugnazione del punto concernente la determinazione
della pena, posto che il motivo di impugnazione si deve strutturare come censura
alla decisione concernente l’applicazione di una pena nel suo complesso meno

4. Analizzando l’appello proposto da Federico De Lucchi avverso la sentenza
di primo grado, risulta la doglianza relativa all’eccessivo rigore del trattamento
sanzionatorio (determinato dal primo giudice nella pena base di mesi tre di
arresto ed euro 1.500,00 di ammenda) con la dichiarazione di disponibilità
dell’imputato al lavoro di pubblica utilità; con riguardo a tale ultima
affermazione, nell’appello si legge anche che la disponibilità al lavoro di pubblica
utilità viene espressa in reiterazione di analoga dichiarazione resa al giudice di
primo grado, ma nel fascicolo processuale non vi è traccia di essa.
4.1. L’imputato intendeva, pertanto, usufruire del lavoro di pubblica utilità introdotto con la I.n.120/2010, ed in relazione ad una forbice edittale più severa
rispetto a quella previgente – in sostituzione della pena detentiva di sessanta
giorni di arresto e di quella pecuniaria di euro 1.400,00 di ammenda inflittegli
con riferimento al più favorevole trattamento sanzionatorio stabilito dall’art.186
cod. strada nella formulazione previgente; il che, per le ragioni sopra esposte,
non è consentito.

5. La Corte ritiene, dunque, che, avendo l’appellante formulato una censura
tendente a combinare un frammento normativo di una legge con un frammento
normativo di altra legge, il giudice dell’appello non avrebbe potuto modificare la
decisione impugnata, ancorchè abbia reso motivazione erronea ritenendo
insufficiente la mera dichiarazione di disponibilità alla sostituzione.
5.1. Un motivo di ricorso che si limiti a richiedere nuovamente la
sostituzione della pena o denunci violazione di legge ritenendo che, ferma
restando la pena principale determinata ab origine, il giudice dell’appello avrebbe
dovuto provvedere alla sua sostituzione, non può essere accolto, poiché la
decisione di secondo grado è pervenuta correttamente alla reiezione della
domanda, ancorchè con motivazione non esatta, dovendosi piuttosto ritenere
che il divieto di reformatio in peius precludesse la possibilità di modificare la
(omessa) statuizione relativa alla sostituzione della pena, essendo mancata la
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favorevole ex art. 2 cod. pen.

chiara richiesta di applicazione, congiuntamente alla sanzione sostitutiva, di una
pena determinata entro i più severi limiti edittali introdotti dalla I.n.120/2010
(Sez.4, n.42485 del 19/09/2012, Sarullo, Rv.253731).

6. In conclusione, nel caso in esame il giudice di primo grado, pur avendo
pronunciato la sentenza in data posteriore al 30 luglio 2010, aveva inflitto una
pena pari a mesi due di arresto ed euro 1.400,00 di ammenda, senza peraltro
esplicitare le ragioni per le quali non riteneva applicabile la disciplina introdotta

la propria disponibilità alla sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità;
detta affermazione non poteva che interpretarsi come mera richiesta di
applicazione della sanzione sostitutiva della pena determinata dal primo giudice
o rideterminata dalla Corte di Appello, piuttosto che come applicazione nella sua
integralità della diversa pena principale derivante dall’applicazione del combinato
disposto agli artt. 186, comma 2, lett.c) cod.strada e 2 cod. pen. La sentenza di
secondo grado è, quindi, pervenuta correttamente alla reiezione della richiesta,
sia pure sulla scorta dell’errata affermazione circa la genericità della stessa.

7. Segue, al rigetto del ricorso, la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali a norma dell’art.616 cod. proc. pen.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 15/07/2014

dalla legge n.120/2010. Con l’atto di appello l’imputato si è limitato a dichiarare

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