Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32142 del 02/07/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 32142 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Mangano Stefano n. il 28.12.1984
Montanari Mirko n. il 2.6.1968
avverso la sentenza n. 1977/2009 pronunciata dalla Corte d’appello
di Bologna il 29.10.2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 2.7.2014 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. F. Salzano, che ha
concluso per il rigetto dei ricorsi;
udito per l’imputato Montanari l’avv.to A. Gatto del foro di Roma che
ha concluso per l’accoglimento del proprio ricorso.

Data Udienza: 02/07/2014

Ritenuto in fatto
i. – Con sentenza resa in data 18.11.2008, il giudice dell’udienza preliminare presso il tribunale di Rimini, tra le altre disposizioni,
ha condannato Stefano Mangano e Mirko Montanari alle pene, rispettivamente, di sei anni di reclusione ed euro 23.000 di multa e di
otto anni e quattro mesi di reclusione ed euro 24.000 di multa, in relazione a una serie di episodi concernenti la cessione di sostanza stupefacente di tipo eroina, commessi in Rimini, nelle epoche specificamente indicate nei rispettivi capi d’accusa.
Su appello degli imputati, la corte d’appello di Bologna, con
sentenza in data 29.10.2013, in parziale riforma della sentenza di
primo grado, ha disposto la riduzione della pena inflitta ai due imputati, condannando Stefano Mangano alla pena di due anni e otto mesi
di reclusione ed euro 9.333,00 di multa e Mirko Montanari alla pena
di cinque anni e quattro mesi di reclusione ed euro 20.000 di multa,
confermando nel resto la sentenza impugnata.
Avverso la sentenza d’appello, a mezzo dei rispettivi difensori, hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati.
Stefano Mangano censura il provvedimento della corte territoriale per vizio di motivazione, avendo la corte bolognese confermato
la responsabilità dell’imputato alla luce delle dichiarazioni rese nelle
indagini preliminari dai testi Franco Salvatore, Gallana Matteo e
Stoijc Stanko, omettendo di considerare l’esito assolutorio del processo per falsa testimonianza scaturito a carico dei tre testimoni per
le diverse dichiarazioni successivamente rese nel corso del giudizio
abbreviato a carico del Mangano condizionato alla loro audizione.
2.1. –

Mirko Montanari censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, con particolare riguardo ai
punti concernenti l’erronea esclusione della qualificazione dei fatti
ascritti all’imputato secondo l’ipotesi attenuata di cui all’art. 73, co. 5,
d.p.r. n. 309/90 (avuto riguardo all’inerenza della modesta attività di
spaccio dell’imputato alla propria condizione di tossicodipendente),
nonché in ordine alla valutazione della prova da parte dei giudici di
merito, avendo questi ultimi trascurato l’esame delle dichiarazioni
rese in dibattimento dai testi Franco, Stoijc, Gallana, Biordi Emanuele e Biordi Maximiliano.
2.2. –

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Considerato in diritto
3. — Entrambi i ricorsi degli imputati devono essere disattesi.
Occorre preliminarmente sottolineare la radicale infondatezza
delle censure sollevate da entrambi gli imputati con riguardo alla valutazione delle prove testimoniali operata dai giudici di merito nel
quadro del discorso giustificativo della condanna pronunciata a carico degli stessi.
Sul punto, osserva il collegio come gli odierni ricorrenti si siano unicamente limitati alla mera prospettazione di semplici criteri
d’interpretazione e valutazione delle deposizioni contestate in modo
difforme rispetto alle scelte interpretative e valutative adottate dai
giudici di merito.
In thema, varrà evidenziare — nel solco del costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità — come debba ritenersi non
sindacabile, in sede di legittimità, la valutazione del giudice di merito,
cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova,
circa contrasti testimoniali o circa la scelta tra divergenti versioni e
interpretazioni dei fatti, salvo il controllo su eventuali vizi di congruità e logicità della motivazione, in questa sede in nessun modo riscontrabili, avendo la corte d’appello di Bologna congruamente elaborato
il complesso degli elementi di prova dichiarativa assunti, sulla base di
un ragionamento probatorio coerentemente delineato e del tutto lineare in termini logici, oltre che pienamente fedele al contenuto delle
risultanze acquisite (Cass., Sez. 2, n. 20806/2011, Rv. 250362; Cass.,
Sez. 4, n. 8090/1981, Rv. 150282).
Proprio sulla base di tali premesse, ritiene il collegio che la
corte d’appello abbia adeguatamente ricostruito, sul piano logico e
argomentativo, ciascuno degli episodi concretamente ascritti ai due
imputati anche sulla base delle dichiarazioni rese dai testi Franco,
Stoijc, Gallana, Biordi Emanuele e Biordi Maximiliano, correttamente sottolineando il carattere non vincolante, per il giudice,
dell’assoluzione di tali soggetti dall’imputazione di falsa testimonianza sollevata contro gli stessi per la deposizione resa nel corso del giudizio abbreviato in modo difforme rispetto al contenuto delle dichiarazioni rilasciate nella sede delle indagini preliminari, in tal modo allineandosi all’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, risalente nel tempo, ai sensi del quale il procedimento per falsa testimonianza non costituisce una questione pregiudiziale rispetto al proce-

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dimento principale, avuto riguardo al potere discrezionale del giudice
di attendere o meno il giudizio sulla falsa testimonianza, in quanto il
giudicato relativo a quest’ultimo procedimento non vincola il giudizio
riguardante il procedimento principale, stante l’assoluta libertà di
convincimento del giudice penale (Cass., Sez. 2, n. 12221/1988, Rv.
179892; cfr. altresì Cass., Sez. 1, n. 38171/2006, Rv. 234958).
Quanto alla contestazione sollevata dal Montanari in ordine
al mancato riconoscimento, in proprio favore, dell’ipotesi del fatto di
lieve entità di cui all’art. 73, co. 5, d.p.r. n. 309/90, rileva il collegio
come la corte territoriale abbia sottolineato, con motivazione coerentemente articolata e adeguatamente argomentata, come l’attività illecita concernente lo spaccio di sostanze stupefacenti da parte dell’imputato presentasse inequivocabilmente caratteri tali da escluderne la
riconducibilità alla figura di cui all’art. 73, co. 5, cit., come attestato
dal carattere costante e frequentemente ripetuto dell’attività di spaccio in favore di numerosi giovani e della stessa moglie dell’imputato
(in occasione di un suo ricovero ospedaliero), espressivo di un inserimento ad alto livello dell’imputato nel mondo del traffico degli stupefacenti, vieppiù confermato dalla facilità con la quale lo stesso era
in grado di procurarsi in ogni occasione lo stupefacente necessario
alla soddisfazione delle esigenze della propria numerosa clientela.
Tali requisiti oggettivi inerenti il fatto ascritto all’imputato
valgono a fornire una sicura conferma – tanto sul piano della coerenza logica della motivazione, quanto in termini di correttezza interpretativa – dell’irriconducibilità della vicenda de qua alla previsione di
cui all’art. 73, co. 5, cit., tenuto conto che le caratteristiche del fatto specificamente valorizzate dalla corte territoriale appaiono idonee
ad attestare l’esclusione del ricorso di un’ipotesi di piccolo spaccio, da
parte del Montanari: esclusione ritenuta sulla base di un’argomentazione giustificativa da ritenere immune da vizi d’indole logica o giuridica, completa ed esauriente, come tale pienamente idonea a sottrarsi
alle censure in questa sede sollevate dal ricorrente.
È appena il caso di richiamare, sul punto, il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale, in
tema di sostanze stupefacenti, ai fini del riconoscimento dell’ipotesi
del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, co. 5, d.p.r. n. 309/90, il giudice è tenuto a valutare complessivamente tutti gli elementi normativamente indicati, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e

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circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto
della condotta criminosa), dovendo conseguentemente escludersi il
riconoscimento del fatto di lieve entità quando anche uno solo di
questi elementi (come quelli evidenziati nel caso di specie) porti ad
escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di tale ridotta
portata offensiva (cfr., ex multis, Cass., Sez. 4, n. 6732/2011, Rv.
251942).
4. — Al riscontro dell’infondatezza di tutti i motivi di doglianza
avanzati dagli imputati segue il rigetto dei ricorsi e la condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, rigetta i ricorsi e condanna i
ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 2.7.2014

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