Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32135 del 27/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 32135 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: IANNELLO EMILIO

Data Udienza: 27/06/2014

SENTENZA

suAricorsipropost9(da:
FORTE AGOSTINO N. IL 22/07/1984
PERNA DIEGO N. IL 22/10/1990
LUCANTO MARCO N. IL 02/03/1990
SGANGA FRANCESCO N. IL 11/05/1980
DE CICCO GIUSEPPE N. IL 17/05/1971
avverso la sentenza n. 1799/2012 CORTE APPELLO di
CATANZARO, del 22/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/06/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. thl RiA
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Perna Diego, Forte Agostino, Lucanto Marco, Sganga Francesco e De Cicco Vincenzo erano tratti a giudizio avanti il Tribunale di Cosenza per rispondere dei reati come appresso loro rispettivamente ascritti: - Perna Diego: n. 18 delitti di detenzione a fini di spaccio, cessione o offerta in vendita di sostanza stupefacente (capi 3, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24 e 37 dell'imputazione) i quali avevano ad oggetto per gli episodi di cui ai capi 7 (contestato al Perna in concorso con Forte Agostino, Sganga Francesco e altri, riferito a una quantità di stupefacente pari a 500 grammi), 14 (offerta o messa in vendita a Melicchio Giuseppe e Gabriele Francesco di hashish, al prezzo di C 200 ciascuno), 17, 18, 19 (offerta in vendita o vendita a persone non identificate di hashish in quantità non precisata ma per prezzi variabili tra C 5 e C 20) e 22 (vendita a persona non identificata di hashish in quantità non precisata per un prezzo di C 20); gli episodi di cui ai capi 8, 9 e 20 erano a lui contestati in concorso con Sganga Francesco; quello di cui al capo 12, in concorso con Sganga Valentino Vincenzo; il delitto di cui al capo 37, contestato al Perna in concorso con Forte Agostino e altri, riguardava più episodi di cessione a tale Bottino Aldo, unificati in imputazione dal vincolo della continuazione; il Perna inoltre era chiamato a rispondere, in concorso con Sganga Francesco, di tentato furto aggravato, tramite tanica e tubo di gomma, di carburante da un mezzo meccanico all'interno di un cantiere (capo 35): fatti tutti commessi tra il 9 settembre e il 18 dicembre 2009; - Forte Agostino: n. 6 delitti di detenzione a fini di spaccio, cessione o offerta in vendita di sostanza stupefacente tipo hashish (capi 2, 5, 7, 15, 36 e 37) in quantità per lo più imprecisata tranne che con riferimento all'episodio di cui al capo 7, contestato al Forte in concorso con Perna Diego, Sganga Francesco e altri, riferito a una quantità di stupefacente pari a 500 grammi; il delitto di cui al capo 37, contestato al Forte in concorso con Perna Diego e altri, riguardava più episodi di cessione a tale Bottino Aldo, unificati in imputazione dal vincolo della continuazione: fatti commessi tra il 9 settembre e il 28 novembre 2009; - Sganga Francesco: n. 5 delitti di detenzione a fini di spaccio, cessione o offerta in vendita di sostanza stupefacente tipo hashish (capi 7, 8, 9, 16 e 20) in quantità per lo più imprecisata tranne che con riferimento all'episodio di cui al capo 7, contestato allo Sganga in concorso con Forte Agostino e Perna Diego, riferito a una quantità di stupefacente pari a 500 grammi, e a quello di cui al capo 16, per il quale si indica in rubrica un prezzo ricavato dalla vendita di C 10; gli episodi di cui ai capi 8, 9 e 20 erano contestati allo Sganga in concorso con 2 quantità e valori per lo più imprecisati di sostanza tipo hashish fatta eccezione Perna Diego; lo Sganga inoltre era chiamato a rispondere, in concorso con Perna Diego, di tentato furto aggravato, tramite tanica e tubo di gomma, di carburante da un mezzo meccanico all'interno di un cantiere (capo 35): fatti tutti commessi tra il 14 e il 28 novembre 2009; - De Cicco Giuseppe: n. 2 delitti di cessione sostanza stupefacente tipo hashish a Forte Agostino (capi 1 e 4), in quantità pari a 10 g nel primo caso e imprecisata nel secondo: fatti commessi rispettivamente il 13 e 15 novembre 2009; Daniele di un quantitativo pari a 500 g di sostanza stupefacente tipo hashish: fatto commesso il 17 novembre 2009. Le indagini prendevano avvio dalle dichiarazioni di un assuntore di sostanza stupefacente, Bottino Aldo, le quali consentivano di individuare alcune persone che, in diverse occasioni, gli avevano ceduto sostanza stupefacente (tra le quali, per quanto qui interessa, Forte Agostino e Perna Diego). Sottoposte a intercettazione le utenze telefoniche a questi riferibili, ne emergevano le prime conferme al narrato del Bottino, cui poi si aggiungevano i convergenti elementi di riscontro desunti attraverso il controllo degli acquirenti e servizi di pedinamento e controllo, che consentivano di cogliere gli indagati in possesso di sostanza stupefacente di tipo hashish. Le indagini avevano anche consentito di accertare che i soggetti attenzionati si muovevano a bordo di una Fiat Punto tg CX 762 KC in uso al Perna e, pertanto, si era proceduto all'installazione di apparecchiatura per il monitoraggio delle conversazioni che avvenivano al suo interno, dalle quali era tratta conferma di numerosi acquisti e successive cessioni da parte degli imputati di sostanza stupefacente di tipo hashish. All'esito di giudizio abbreviato, sulla base di detto materiale investigativo, il G.I.P. del Tribunale di Cosenza con sentenza del 2/5/2012 riconosceva gli imputati responsabili dei delitti loro rispettivamente ascritti e per l'effetto condannava: Perna Diego alla pena di anni 3, mesi 7 e giorni 10 di reclusione ed C 14.000 di multa (ritenuto più grave il reato di cui al capo 7 della rubrica, concesse le circostanze attenuanti generiche, applicato l'aumento per continuazione con tutti gli altri reati della medesima indole e operata la riduzione per la scelta del rito), nonché alla pena di mesi 2 e giorni 20 di reclusione ed C 60 di multa per il reato di tentato furto aggravato di cui al capo 35 (ritenuto estraneo al vincolo della continuazione, concesse anche per esso le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti ed applicata la riduzione per il rito); 3 - Lucanto Marco: delitto di vendita a Forte Agostino, Perna Diego e Guido Forte Agostino alla pena di anni 2, mesi 11 e giorni 10 di reclusione ed e 15.000 di multa (ritenuto più grave il reato lui ascritto al capo 7 della rubrica, concesse le circostanze attenuanti generiche ed applicato l'aumento per la continuazione e la riduzione per la scelta del rito); Sganga Francesco alla pena di anni 2, mesi 10 e giorni 20 di reclusione ed C 14.000 di multa (ritenuto più grave il reato di cui al capo 7 della rubrica, applicato l'aumento per la continuazione con gli altri reati contestati della medesima indole ed applicata la riduzione per la scelta del rito), nonché alla furto aggravato di cui al capo 35 (ritenuto estraneo al vincolo della continuazione, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti ed applicata la riduzione per la scelta del rito); De Cicco Giuseppe alla pena (sospesa) di mesi 8 di reclusione ed C 2.000 di multa, riconosciuta la circostanza attenuante di cui all'art. 73 comma 5 d.P.R. 309/90 e concesse le circostanze attenuanti generiche; Lucanto Marco alla pena di anni 4 e mesi 2 di reclusione ed C 18.000 di multa, previa riduzione per la scelta del rito. 2. Interposto gravame da parte di tutti i predetti imputati - in punto di affermazione della penale responsabilità (contestata in particolare per la dedotta inutilizzabilità e/o inadeguatezza delle fonti di prova ovvero per l'errata identificazione di taluni degli imputati: così in particolare Perna Diego e Lucanto Marco), nonché di omesso riconoscimento dell'ipotesi attenuata di cui al comma 5 dell'art. 73 d.P.R. 309/90 e delle attenuanti generiche, ovvero con riferimento alla mancata o erronea applicazione della norma in tema di continuazione dei reati (Perna Diego) - la Corte d'appello di Catanzaro con sentenza del 22/4/2013, ritenuta l'infondatezza di tutte le censure dedotte, confermava integralmente la sentenza impugnata. Rilevava in particolare che: a) l'identificazione dei locutori non poteva essere revocata in dubbio, non sussistendo pertanto la necessità di effettuare accertamenti tecnici in merito; ciò in quanto: le indicazioni in proposito date dagli inquirenti erano da ritenersi pienamente attendibili, avendo gli stessi ascoltato per mesi le loro voci; le stesse erano riscontrate dagli esiti dei controlli degli imputati (ad esempio quello del 2/11/2009 addirittura commentato dal Perna e da altro coimputato presente all'interno dell'autovettura nella quale era stato applicato il dispositivo di captazione); spesso poi i locutori si chiamavano per nome, rendendo così agevole il riscontro con i riconoscimenti della P.G.; b) le dichiarazioni confermative delle ipotesi d'accusa, desumibili dalle 4 pena di mesi 2 e giorni 20 di reclusione ed C 60 di multa per il reato di tentato conversazioni captate, non richiedevano riscontri esterni sia perché spesso autoaccusatorie, sia perché, anche quando etero-accusatorie, non erano assimilabili alle dichiarazioni che il coimputato del medesimo reato o la persona imputata in procedimento connesso rendono in sede di interrogatorio dinanzi all'autorità giudiziaria, dovendosi per il resto, nel caso concreto, escludere intenti calunniatori giacché si trattava di dichiarazioni relative a soggetti con cui i locutori erano soliti frequentarsi e compiere in concorso delitti; le stesse inoltre risultavano sempre chiare e agevolmente interpretabili, anche quando i locutori c) l'ipotesi attenuata di cui al comma 5 dell'art. 73 d.p.r. 309/90 non poteva essere riconosciuta agli imputati che non ne avevano beneficiato in primo grado, attesa la «dimostrata professionalità e organizzazione nella gestiqn- e dello spaccio, in uno con la continua attività dello stesso»; peraltro per alcuni imputati (Forte, Perna) era emersa la detenzione di quantità anche elevate di sostanza (con riferimento in particolare all'episodio di cui al capo 7). Con specifico riferimento poi alle posizioni dei singoli imputati i giudici catanzaresi rilevavano, in risposta alle censure da essi mosse, per quel che ancora in questa sede interessa, che: quanto a Perna Diego: era certa l'individuazione dell'imputato, atteso che le intercettazioni che lo riguardavano erano state attivate sulla vettura in suo uso e sull'utenza telefonica parimenti da lui utilizzata, per come era emerso dalle informative in atti; alla luce di tali emergenze, la circostanza che nell'ordinanza cautelare e nella sentenza di primo grado l'imputato sia indicato con generalità (luogo e data di nascita) diverse da quelle proprie (ma corrispondenti a quelle del cugino) è da imputare a mero errore materiale, inidoneo a inficiarne l'efficacia probatoria, conferma potendo trarsi anche dalle captazioni telefoniche condotte con riferimento a un'utenza intestata certamente all'imputato; nemmeno può trarsi argomento in contrasto con tale conclusione dalla frase pronunciata dall'imputato nella conversazione captata in data 17/11/2009 (file 133): «se non viene Valentino viene Diego», atteso che l'imputato si riferisce evidentemente a sé stesso parlando in terza persona, in tal senso deponendo anche la circostanza che «i parlatori, ormai noti alle forze dell'ordine che li ascoltavano, si trovavano all'interno della macchina del Pema e non era mai accaduto che questi avesse lasciato la macchina ad altri essendo sempre presente nell'abitacolo»; congruo e adeguato ai fatti di causa e alla personalità dell'imputato doveva poi ritenersi il trattamento sanzionatorio, atteso che, indipendentemente dalla incensuratezza e dalla giovane età del prevenuto, «la scaltrezza e la naturalezza dimostrata nello svolgere l'illecita attività consentono di ritenerlo persona sicuramente pericolosa oltre che incline a tale tipo di reati»; utilizzavano un linguaggio cifrato; corretta - secondo la Corte - doveva altresì ritenersi l'esclusione dal vincolo della continuazione del tentato furto di cui al capo 35, a tal fine non potendo bastare la sola contiguità temporale dei fatti, ma dovendosi piuttosto attribuire rilievo alla mancanza di elementi da cui inferire l'esistenza di una previa e univoca programmazione e alla diversità dei reati per indole e oggetto giuridico; né era possibile ricondurre anche il tentato furto alla condizione dell'imputato di assuntore di droghe leggere; Quanto a Forte Agostino: le conversazioni intercettate poste a fondamento dell'utilizzo di termini criptici, in senso conforme all'accusa; appariva chiaro in particolare che la sostanza cui i conversanti si riferivano non era interamente destinata a consumo di gruppo, atteso che gli imputati si premuravano di consumarne solo una parte, destinando la rimanente alla cessione a terze persone; quanto, in particolare, all'episodio di cui al capo 2, risultava dimostrato che parte della sostanza asseritamente destinata a consumo di gruppo era stata in precedenza ceduta dal Forte al Perna; quanto al capo 5, la responsabilità emergeva dal contenuto dell'SMS inviato al De Cicco con la richiesta di un «pacco di ami da 20 euro» e dalla conversazione di poco successiva nella quale il De Cicco, dimostrando di avere disponibilità di quanto richiesto, invitava l'amico a raggiungerlo a casa, anche in tal caso dovendosi escludere una destinazione solo ad uso personale, in ragione delle presunzioni traibili dal complesso delle indagini che dimostravano la costante disponibilità in capo al Forte di sostanze che egli si premurava a cedere; quanto al capo 7, la prova del reato emergeva dalle conversazioni captate il 17/11/2009 nell'auto di Perna Diego le quali, chiare e non passibili di interpretazioni alternative, lasciavano univocamente intendere che quel giorno il Forte, con i coimputati, doveva effettuare un acquisto di sostanza stupefacente da tale Marco di Pedace, poi individuato in Lucanto Marco, per una quantità di 500 g di hashish; Quanto a Sganga Francesco: era infondata l'eccezione preliminare di inutilizzabilità delle intercettazioni, opposta dalla difesa sul rilievo che la registrazione dei colloqui e la verbalizzazione delle operazioni esecutive erano state effettuate nei locali della stazione dei carabinieri di Lattarico, e non negli uffici della Procura; secondo la Corte, infatti, in adesione a orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità, condizione necessaria per l'utilizzabilità delle intercettazioni deve ritenersi soltanto che l'attività di registrazione (che, sulla base delle tecnologie attualmente in uso, consiste nella immissione dei dati captati in una memoria informatica centralizzata) avvenga nei locali della Procura della Repubblica mediante l'utilizzo di impianti ivi esistenti, mentre non rileva che negli stessi locali vengano successivamente 6 della pronuncia di condanna risultavano univocamente interpretabili, al di là svolte anche le ulteriori attività di ascolto, verbalizzazione ed eventuale riproduzione dei dati così registrati, che possono dunque essere eseguite in remoto presso gli uffici della polizia giudiziaria; nel caso di specie era per l'appunto accaduto che, fermo restando che l'attività di intercettazione in senso proprio aveva avuto luogo presso la Procura della Repubblica di Cosenza, solo l'ascolto era stato demandato in remoto ai carabinieri di Lattarico; non era configurabile l'ipotesi lieve di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90, attesa la quantità dello stupefacente ad oggetto dell'episodio contestato (capo 7) ed avuto vicenda (anche lo Sganga - nota la Corte territoriale - «si premurava di trovare soluzioni logistiche per consentire in tempi brevi il reperimento del denaro per pagare la sostanza, attraverso attività di spaccio continuative e mirate»); - quanto a De Cicco Giuseppe: nessun dubbio poteva sussistere in ordine alla identificazione dell'imputato quale interlocutore nelle conversazioni captate che lo riguardano, ciò in quanto una parte delle conversazioni rilevanti era stata captata sull'utenza cellulare in uso all'imputato (mancando, di contro, prova a sostegno dell'assunto difensivo secondo cui l'imputato non ne faceva in realtà uso) e, soprattutto, la sua voce era stata riconosciuta dal carabiniere Di Palma; - guanto a Lucanto Marco: le conversazioni captate in data 17/11/2009 all'interno dell'autovettura in uso a Perna Diego consentivano di individuare con certezza nel prevenuto il soggetto dal quale i conversanti dichiarano di dover acquistare una quantità di hashish pari a 500 g; ciò in quanto - osservano i giudici d'appello - «Io stesso è indicato per nome, abita a Pedace, dove (i conversanti: n.d.r.) dicono di doversi recare e dove effettivamente si stanno recando e, poco dopo, arriverà sul posto e la sua voce verrà riconosciuta» (v. pag. 22 della sentenza impugnata, primo periodo). 3. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione tutti i predetti imputati: Forte Agostino personalmente, gli altri per mezzo dei rispettivi difensori. 4. Forte Agostino articola a fondamento del proprio ricorso tre motivi, con i quali deduce vizio di motivazione a supporto della ritenuta penale responsabilità in ordine ai reati di cui ai capi 2, 5 e 7 a lui contestati in rubrica. 4.1. Con riferimento al capo 2 (primo motivo) lamenta che l'affermazione secondo cui le conversazioni captate dimostrano un'ipotesi di cessione di sostanza stupefacente e non sono invece riconducibili a un consumo di gruppo contrasta con i dati emergenti dalla intercettazione, i quali evidenziano che, 7 anche riguardo alla professionalità dimostrata dall'imputato nella gestione della come del resto ammesso anche nella sentenza impugnata, i conversanti erano intenti a preparare una dose di hashish (canna) da consumare sul posto: ciò che in particolare è reso evidente dal convincimento espresso nell'occasione dai conversanti secondo cui essi, proprio per tal motivo, non corrono nessun rischio dal punto di vista penale. Deduce al riguardo che, in modo contraddittorio rispetto a tale premessa, la Corte ha poi escluso si trattasse di consumo di gruppo, sulla base del solo rilievo che era stato esso ricorrente a portare la sostanza stupefacente e a cederla agli argomentativo percorso sul punto, limitandosi a liquidare la questione in poche righe con l'immotivata affermazione che la sostanza non era interamente destinata al consumo di gruppo. 4.2. In ordine al capo 5 (secondo motivo) lamenta che il collegio giudicante ha completamente omesso di motivare il proprio convincimento, limitandosi a riportare una singola frase della conversazione intercettata, completamente avulsa dal generale contesto della telefonata. Osserva inoltre che il solo riferimento al corrispettivo di € 20 cui si fa riferimento nella conversazione non è sufficiente a giustificare il convincimento che si versi in una situazione di uso non esclusivamente personale, in quanto il dato quantitativo non è di per sé in grado di provare un'attività di cessione di sostanza stupefacente. 4.3. Con riferimento, infine, al capo 7 (terzo motivo) rileva che nella sentenza impugnata non è indicata la «piattaforma probatoria» sulla quale è fondato il giudizio di condanna. Anche in tal caso - osserva - la Corte ha omesso di valutare elementi - principalmente l'essere egli e i suoi amici soggetti dediti all'assunzione di sostanza stupefacente - che avrebbero ben potuto indurre a interpretare le risultanze investigative nella dedotta prospettiva dell'acquisizione comune di sostanza stupefacente finalizzata a un consumo di gruppo. 5. Perna Diego deduce a fondamento del proprio ricorso quattro motivi. 5.1. Con il primo deduce violazione di legge e vizio di motivazione per travisamento di prova in ordine alla affermazione di penale responsabilità, in quanto asseritamente frutto di errata identificazione dell'imputato. Rileva che l'individuazione di esso ricorrente come soggetto cui riferire le conversazioni captate è esclusivamente basata sull'assunto, in realtà 8 amici. Secondo il ricorrente la sentenza non consente di seguire l'itinerario indimostrato, secondo cui l'autovettura sulla quale era stata nascosta la microspia utilizzata per le intercettazioni fosse in uso allo stesso. In realtà, sostiene il ricorrente, l'intercettato è persona diversa ancorché omonima, dovendosi questi identificare con Perna Diego, nato in Germania il 6/2/1964, e non con Perna Diego, nato il 22/10/1990. L'argomento di contro utilizzato in sentenza, secondo cui l'identificazione del soggetto intercettato con l'odierno ricorrente discende dal fatto che quest'ultimo è senza errori identificato attraverso le intercettazioni operate sulla sua utenza che le conversazioni intercettate nell'utenza in questione, a differenza di quella dei coimputati, sono risultate prive di qualsivoglia contenuto probatorio. Posto che nessuna intercettazione relativa al telefonino in uso a Perna Diego classe 1990 è rilevante ai fini dell'indagine, ne discende - secondo il ricorrente - che chi usa il telefonino è persona diversa da chi è intercettato all'interno dell'auto. 5.2. Con il secondo motivo deduce ancora violazione di legge e vizio di motivazione per travisamento di prova, con particolare riferimento all'interpretazione della conversazione intercettata in data 17/11/2009 (file n. 133), nella quale, secondo la Corte d'appello, la frase «se non c'è Valentino, viene Diego» sarebbe stata pronunciata da esso ricorrente. Sostiene il ricorrente che tale interpretazione è illogica o addirittura fantasiosa. 5.3. Con il terzo motivo deduce i medesimi vizi con riferimento al mancato riconoscimento dell'ipotesi lieve di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90. Rileva che alla opposta conclusione avrebbero dovuto condurre, secondo gli indicatori suggeriti dalla giurisprudenza di questa S.C.: l'unicità del tipo di sostanza trattata (hashish); la quantità irrisoria evidenziata negli stessi capi di imputazione; la condizione dell'imputato di consumatore di sostanza stupefacente; la conseguente prevedibilità che i proventi della vendita (stimabili in poche decine di euro) fossero destinati all'acquisto dello stupefacente per uso personale o di gruppo; la rudimentalità dell'operare dell'imputato (accordi improvvisati, senza appuntamenti e senza alcun tipo di protezione preventiva o scelta accurata dei luoghi); l'assenza di condizioni operative che potessero destare un particolare allarme sociale; l'incensuratezza dell'imputato. Osserva che, di contro, non possono trarsi argomenti decisivi dagli elementi di prova posti a sostegno della ritenuta responsabilità per l'episodio dì cui al capo 7 d'imputazione, da essi in realtà emergendo, secondo il ricorrente, una mera intenzione di acquisto piuttosto che un progetto realizzato; né può attribuirsi 9 telefonica, è secondo il ricorrente privo di forza logica dimostrativa dal momento rilievo alla cessione continuativa valorizzata in sentenza, atteso che, se la configurabilità di fatti di lieve entità è compatibile persino con il reato associativo (art. 74, comma 6, d.P.R. 309/90), a maggior ragione tale deve ritenersi anche rispetto a diversi episodi tra di loro legati dal vincolo della continuazione. 5.4. Con il quarto motivo deduce ancora violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento al mancato riconoscimento del vincolo della continuazione con il reato di tentato furto di cui al capo 35 d'imputazione. che si tratta di delitti, per natura e per fine, strettamente connessi: il tentativo di furto dovendosi in particolare spiegare con la necessità di procurare il denaro occorrente per acquistare la sostanza stupefacente di cui esso ricorrente faceva uso, specialmente in considerazione della data, pressoché coincidente, dei commessi reati. 6. La difesa di Lucanto Marco articola a fondamento del proprio ricorso due motivi. 6.1. Con il primo deduce vizio di motivazione per avere la sentenza impugnata ritenuto la penale responsabilità sulla base di un dato probatorio inesistente e alla stregua di una motivazione contraddittoria, insufficiente e, comunque, meramente apparente. Lamenta in buona sintesi che l'identificazione con l'odierno ricorrente del soggetto cui nella conversazione captata in data 17/11/2009 (prog. n. 153) i coimputati si riferiscono quale fornitore di un cospicuo quantitativo di hashish è frutto di un sillogismo oltremodo equivoco, incerto ed aleatorio, essendo basata esclusivamente sui seguenti argomenti: i conversanti identificano il soggetto in questione con il prenome Marco, e Marco è anche il prenome dell'imputato; i conversanti affermano che il predetto abita a Pedace e di doversi ivi recare, come di fatto avviene, e anche l'imputato abita a Pedace; infine, una volta giunti a Pedace, i coimputati captati vengono avvicinati dal fornitore del quale viene captata la voce, attribuita all'imputato a seguito di riconoscimento vocale. Rileva, però, che di tale ultima evenienza non vi è alcuna traccia nel compendio probatorio in atti: secondo il ricorrente, infatti, non esiste nel processo né un verbale di identificazione del Lucanto, né un verbale in cui si dia atto del riconoscimento della sua voce in quella specifica circostanza o in cui, comunque, si dia atto della identità tra la voce ascoltata nel corso di quella specifica captazione e quella già nota del Lucanto, appurata sulla base di altri dati di raffronto. 10 Lamenta che, al riguardo, i giudici d'appello hanno omesso di considerare 6.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce carenza di motivazione con riferimento al diniego della ipotesi lieve di cui alla comma 5 dell'art. 73 d.P.R. 309/90. Rileva che, al riguardo, a differenza degli altri coimputati, nessuna giustificazione è rinvenibile in sentenza, neppure alla stregua di un rinvio o implicito rimando alle considerazioni, peraltro anch'esse carenti, contenute nella 7. Sganga Francesco pone a fondamento del proprio ricorso due motivi. 7.1. Con il primo deduce violazione di inosservanza di norme processuali in tema di inutilizzabilità delle intercettazioni. Assume che i giudici di merito sono incorsi in violazione dell'art. 268 cod. proc. pen. per aver posto a fondamento della decisione la registrazione dei colloqui intercettati e la verbalizzazione delle operazioni esecutive compiute non presso la Procura della Repubblica, bensì nei locali in uso alla polizia giudiziaria delegata. Assume che, pur nella regolarità della procedura di remotizzazione dell'ascolto, si è consumata una illegittimità nella esecuzione della registrazione, poiché avvenuta negli uffici della polizia giudiziaria che ha immesso sui supporti magnetici i flussi vocali intercettati e li ha poi trasmessi a corredo dei verbali. Invece, secondo il ricorrente, l'operazione avrebbe dovuto essere effettuata nel server all'interno della Procura di Cosenza, per garantire la corrispondenza all'originale ed evitare possibili manipolazioni. Soggiunge che «l'inutilizzabilità delle intercettazioni emerge ancor più forte laddove se ne verifichi la qualità intrinseca», essendo «lampante la lacunosità, la bassa qualità, l'insufficienza e quindi la nullità delle medesime intercettazioni», sottolineate anche «dalla frequente confusione che viene fatta nelle trascrizioni fra telefonate in entrata e telefonate in uscita». 7.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della ipotesi lieve di cui al comma 5 dell'art. 73 d.P.R. 309/90. Assume che, a tal fine, emergevano in modo pacifico, dalle pur difficilmente interpretabili intercettazioni, alcune circostanze favorevoli, e cioè che si trattava di episodi imputabili ad uso personale nell'ambito di un consumo di gruppo, aventi ad oggetto una sola sostanza stupefacente, in minima quantità, e collocati in un arco temporale assolutamente limitato. 11 sentenza di primo grado. 8. De Cicco Giuseppe, infine, pone a fondamento del proprio ricorso un solo motivo, con il quale deduce vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta penale responsabilità in ordine ai due reati a lui ascritti (capi 1 e 4 della rubrica). Lamenta che la Corte d'appello, sul punto, si è limitata a riprodurre la motivazione espressa dal primo giudice, omettendo di fornire adeguata risposta alle censure proposte dalla difesa, in particolare, con riferimento al riconoscimento vocale dell'imputato e agli argomenti deduttivi cui si è fatto uso ad esso ricorrente. Rileva che la sentenza impugnata non indica gli elementi investigativi sulla scorta dei quali l'utenza telefonica avente numero 3204643941 viene ritenuta «in uso al De Cicco», tanto più considerato che tale utenza non è mai stata nella disponibilità dello stesso, né a lui è stata mai intestata. Soggiunge che non vi è alcun atto nel fascicolo di causa che giustifichi la presunta conoscenza diretta dell'imputato da parte del carabiniere Di Palma, cui si attribuisce il riconoscimento vocale dell'imputato, operato peraltro su basi puramente empiriche e attraverso l'ascolto di solo tre conversazioni nel corso delle quali l'imputato si limita a pronunciare poche, brevissime battute. Considerato in diritto 4. Sono infondati i motivi del ricorso proposto da Forte Agostino, tutti impingenti l'affermazione di penale responsabilità, limitatamente peraltro solo a tre (dei sei) reati per i quali è stata pronunciata condanna nei suoi confronti: quelli di cui ai capi 2, 5 e 7 della rubrica. Le censure attengono tutte al significato delle conversazioni intercettate e in particolare alla esclusione della lettura proposta dalla difesa secondo cui ne emergerebbero elementi deponenti nel senso di una destinazione della droga ad un consumo di gruppo. In realtà, per ciascuno degli episodi considerati, la Corte d'appello illustra in modo adeguato e non manifestamente illogico le ragioni del proprio convincimento, nei termini compendiati nella parte narrativa della presente sentenza. Il dedotto difetto di motivazione si rivela quindi, in realtà, quale mera proposta di interpretazione delle conversazioni intercettate alternativa rispetto a quella del giudici di primo grado, confermata dalla Corte d'appello, alla stregua di un ragionamento sorretto da adeguate e coerenti argomentazioni. Il ricorrente richiede, infatti, una complessiva rilettura delle risultanze processuali per 12 ricorso per ritenere che una delle utenze cellulari indirettamente captate fosse in ottenere una ricostruzione dei fatti e una valutazione della consistenza probatoria diverse rispetto a quelle effettuate dal giudice di merito, il quale è giunto all'affermazione di responsabilità in base a un corretto esame del contenuto delle conversazioni in considerazione del complessivo contesto probatorio, puntualmente descritto in sentenza. La motivazione appare coerente e rispondente agli elementi presi in considerazione e non denota un deficit valutativo da parte del giudice di merito la cui decisione è stata resa all'esito di un approfondimento del quadro interpretazione alternativa. A fronte di una plausibile ricostruzione della vicenda, come descritta in narrativa, sui precisi riferimenti probatori operati dal giudice di merito, in questa sede, non è ammessa alcuna incursione nelle risultanze processuali per giungere a diverse ipotesi ricostruttive dei fatti, dovendosi la Corte di legittimità limitare a ripercorrere l'iter argomentativo svolto dal giudice di merito per verificarne la completezza e la insussistenza di vizi logici ictu ocu/i percepibili, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (v. ex plurimis, Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003 - dep. 10/12/2003, Petrella, Rv. 226074). Nell'ambito della riforma dei motivi di ricorso per cassazione con la novella dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), a opera della L. n. 46 del 2006, la nuova previsione del motivo della contraddittorietà della motivazione, con la facoltà aggiuntiva per il ricorrente di fare riferimento a «altri atti del processo» nella deduzione dei difetti della motivazione, non comporta che per la sussistenza del vizio sia sufficiente che gli atti del processo siano semplicemente contrastanti con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante, o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità, o ancora che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella contenuta nella sentenza; occorre invece che essi siano dotati di un'autonoma forza esplicativa e dimostrativa tale da disarticolare l'intero ragionamento della sentenza e da determinare al suo interno radicali incompatibilità (Sez. 6, n. 14054 del 24/03/2006 - dep. 20/04/2006, Strazzanti, Rv. 233454). La Corte d'appello, riproducendo le ragioni già sviluppate dal primo giudice sui capi per i quali vi è stata la conferma, ha sintetizzato, per ciascuno degli episodi su cui si appuntano le contestazioni del ricorrente, le ragioni in base alle quali ha ritenuto inequivoco il quadro probatorio e l'idoneità degli elementi acquisiti a configurare l'attività illecita svolta dal Forte alla stregua degli argomenti sintetizzati nella superiore parte narrativa, cui può farsi rimando, nei quali in particolare si dà conto delle ragioni fattuali (la cessione a terzi, non 13 probatorio e degli elementi che avrebbero potuto essere oggetto di appartenenti al gruppo di volta in volta considerato, di almeno parte della sostanza poi utilizzata) che ostano alla interpretazione delle conversazioni in chiave di mero consumo di gruppo. Argomenti pertinenti ed esaustivi, che non appaiono tacciabili di evidente illogicità o contraddittorietà rispetto alle emergenze probatorie considerate e rispetto ai quali le contestazioni mosse dal ricorrente si rivelano, come detto, espressive di una mera irrilevante diversa lettura ovvero di generica critica. proposti dal Perna. 4.1. Quanto in particolare all'identificazione nell'imputato (e non nell'omonimo parente secondo la tesi della difesa) del Perna Diego che prende parte alle conversazioni captate, la Corte d'appello ne fornisce congrua e del tutto coerente giustificazione facendo riferimento - quale tertium comparationis - all'intercettazione operata sull'utenza telefonica in uso all'imputato, consentendo questa una identificazione vocale del prevenuto. A fronte di tale motivazione del tutto inconferente si appalesa il rilievo del ricorrente secondo cui le conversazioni telefoniche intercettate di per sé non lasciano emergere prove di reità, atteso che ciò non esclude, ovviamente, che esse consentano l'identificazione vocale dell'imputato e il suo conseguente riconoscimento come soggetto conversante nei dialoghi captati all'interno dell'autovettura in uso allo stesso. 4.2. Le restanti censure introducono contestazioni di merito inammissibili. In particolare la riconducibilità della frase «se non c'è Valentino, viene Diego» allo stesso imputato Perna Diego viene in sentenza spiegata in termini del tutto plausibili (l'imputato riferiva agli interlocutori il contenuto di una sua precedente dichiarazione riportandola in terza persona) che, come tali, si sottraggono a censure di sorta nella presente sede. 4.3. L'esclusione poi del vincolo della continuazione tra i reati in tema di stupefacenti e il tentato furto aggravato pure accertato a carico del ricorrente si rivela pienamente conforme a consolidato indirizzo di questa Suprema Corte secondo cui presupposto normativo per l'applicazione, anche in executivis, della disciplina del reato continuato a plurime sentenze di condanna, è la preesistenza di un programma delinquenziale, ancorché genericamente ideato, del quale le varie violazioni di legge siano momenti volitivi che ne costituiscono esecuzione, concetto nel quale si illustra quella unicità del disegno criminoso cui fa 14 4. Per analoghe considerazioni devono essere disattesi i motivi di ricorso riferimento l'art. 81 capoverso cod. pen.. In tal senso, non legittimano la presunzione di unicità del disegno criminoso, né l'omogeneità delle varie violazioni (es.: furti aggravati, tentati o consumati) della legge penale, né la permanenza di un proposito criminoso riconducibile allo stato di tossicodipendenza ed al correlativo bisogno di procurarsi, con proventi illeciti, i mezzi economici necessari all'acquisto della droga, in quanto tali elementi, di per sé, sono indicativi del solo movente dei delitti commessi, ma non costituiscono prova della originaria ideazione e deliberazione di tutte le violazioni nei loro del 20/02/1996 - dep. 19/03/1996, P.M. in proc. Salamone, Rv. 203981; cfr. anche Sez. 1, n. 1146 del 21/02/1996 - dep. 13/05/1996, Candiloro, Rv. 204608; Sez. 1, n. 8898 del 09/11/2000 - dep. 05/03/2001, Piacenti, Rv. 218371). 4.4. Il ricorso del Perna è infondato anche con riferimento al secondo dei profili oggetto di censura, ossia al mancato riconoscimento della ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. Anche sul punto la motivazione della Corte territoriale risulta congrua e intrinsecamente coerente, oltre che corretta in punto di diritto, in quanto fondata su una completa e bilanciata considerazione degli elementi rilevanti ai sensi della richiamata norma e, in particolare, sia sulla caratteristica di stabile fornitore di sostanza stupefacente (desunta dal fatto che il reato si è protratto in forma continuata per diverse settimane), sia sulla quantità consistente di droga posta ad oggetto dell'episodio di cui al capo 7 d'imputazione: rispetto al quale l'incidentale contestazione mossa dal ricorrente circa la sua sussistenza si risolve anch'essa, a sua volta, nella mera prospettazione di una diversa valutazione degli elementi probatori, inidonea di per sé a segnalare lacune o incoerenze manifeste in quella invece accolta e adeguatamente argomentata dalla Corte di merito. Inconferente poi risulta il riferimento al richiamato principio giurisprudenziale secondo cui la lieve entità del fatto può in astratto predicarsi anche in presenza di attività di spaccio di stupefacenti non occasionale ma continuativo, atteso che l'esclusione dell'ipotesi detta è nella specie motivata non dal mero rilievo del carattere ripetitivo delle cessioni di stupefacente (e comunque non solo da esso), ma dalla considerazione che tale reiterata attività si è caratterizzata anche in modo così frequente e sistematico, emergendone anche lo stabile inserimento del prevenuto nel circuito calabrese dello spaccio, da porsi quale sintomo di una non trascurabile potenzialità diffusiva dell'attività di spaccio (v. Sez. 6, n. 27058 del 14/04/2008, Rinaldo, Rv. 240981). 15 caratteri essenziali, sintomatiche dell'istituto della continuazione (Sez. 1, n. 1119 5. È invece fondato il ricorso proposto da Lucanto Marco. Il ragionamento probatorio in virtù del quale, alla stregua di quanto illustrato nelle sentenze di primo e secondo grado, i giudici di merito hanno ritenuto di poter identificato il ricorrente come il soggetto cui i coimputati Forte, Perna e Sganga Francesco si rivolgono per l'acquisto della cospicua quantità di stupefacente di cui ai capi 6 e 7 d'imputazione si basa effettivamente sui soli scarni elementi evidenziati in ricorso, sortendone un argomentare sillogistico con Come dedotto dal ricorrente, infatti, l'identificazione con l'odierno ricorrente del fornitore predetto è basata esclusivamente sui seguenti argomenti: i conversanti identificano il soggetto in questione con il prenome Marco, e Marco è anche il prenome dell'imputato; i conversanti affermano che il predetto abita a Pedace e di doversi ivi recare, come di fatto avviene, e anche l'imputato abita a Pedace; infine, una volta giunti a Pedace, i coimputati captati vengono avvicinati dal fornitore del quale viene captata la voce, attribuita all'imputato a seguito di riconoscimento vocale. Posto che il primo sillogismo (premessa maggiore: il fornitore si chiama Marco ed è di Pedace; premessa minore: il ricorrente si chiama Marco ed è di Pedace; conclusione: il fornitore è l'odierno ricorrente) è con ogni evidenza paradossale, postulando l'indimostrata inferenza che a Pedace risieda solo una persona di nome Marco, il residuo argomento basato sul riconoscimento vocale è frutto di una mera immotivata asserzione, non essendo indicate in motivazione giusta quanto specificamente pure dedotto dal ricorrente - le basi istruttorie che consentono di affermare la sussistenza di un riconoscimento vocale anche nei confronti del Lucanto. Al riguardo non può risultare esaustiva l'affermazione, evidentemente generica, contenuta nella parte generale della sentenza impugnata dedicata alla «individuazione dei parlatori», secondo cui elementi di prova sarebbero al riguardo rappresentati dalle «indicazioni degli inquirenti, che per mesi avevano ascoltato le voci dei parlatori ... e che quindi offrivano garanzie di corrispondenza tra le voci delle persone captate», mentre nessun seguito concreto ha poi avuto, con riguardo alla posizione del Lucanto, il rimando per «altri rilevanti elementi» alle «singole valutazioni effettuate nel prosieguo». La sentenza impugnata va quindi annullata nei confronti di Lucanto Marco, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d'appello di Catanzaro, restando ovviamente assorbito l'esame del secondo motivo di ricorso. 16 ogni evidenza carente e illogico. 6. Giudizio di infondatezza deve tornare a esprimersi con riferimento al ricorso di Sganga Francesco. 6.1. La Corte d'appello ha offerto invero ampia ed esauriente illustrazione dei motivi in fatto e in diritto che consentono di escludere che nella specie possa fondatamente predicarsi l'esistenza di illegalità nell'operazione di captazione e registrazione delle conversazioni sulle utenze telefoniche in uso agli imputati. Tali motivi risiedono essenzialmente nel rilievo che le intercettazioni sono della Repubblica di Cosenza, solo l'ascolto essendo stato autorizzato presso la postazione decentrata della stazione dei carabinieri di Lattarico, ciò dunque nel pieno rispetto dei requisiti di legge. Secondo consolidato indirizzo di questa S.C., ampiamente richiamato nella sentenza impugnata, deve infatti ritenersi che condizione necessaria per l'utilizzabilità delle intercettazioni è che l'attività di registrazione - che, sulla base delle tecnologie attualmente in uso, consiste nella immissione dei dati captati in una memoria informatica centralizzata - avvenga nei locali della Procura della Repubblica mediante l'utilizzo di impianti ivi esistenti, mentre non rileva che negli stessi locali vengano successivamente svolte anche le ulteriori attività di ascolto, verbalizzazione ed eventuale riproduzione dei dati così registrati, che possono dunque essere eseguite in remoto presso gli uffici della polizia giudiziaria (Sez. U, n. 36359 del 26/06/2008 - dep. 23/09/2008, Carli, Rv. 240395: in motivazione la Corte ha precisato, con riguardo all'attività di riproduzione - e cioè di trasferimento su supporti informatici di quanto registrato mediante gli impianti presenti nell'ufficio giudiziario -, che trattasi di operazione estranea alla nozione di registrazione, la cui remotizzazione non pregiudica le garanzie della difesa, alla quale è sempre consentito l'accesso alle registrazioni originali). La doglianza del ricorrente non si confronta minimamente con le riferite indicazioni fattuali, né con l'esposto quadro interpretativo, non essendo essa diretta a contestare che la immissione dei dati captati sia avvenuta presso gli impianti installati nella Procura della Repubblica, ma piuttosto e del tutto infondatamente appuntandosi proprio sullo svolgimento decentrato delle successive operazioni di ascolto e registrazione in remoto dei dati captati su supporto magnetico: in realtà, come detto, del tutto legittima. Né maggior valore può riconoscersi alla doglianza in ragione del rilievo, generico e meramente assertivo, secondo cui le registrazioni dei colloqui risulterebbero lacunose e di bassa qualità, in contrasto con la contraria valutazione sul punto espresso in sentenza. 17 state nella specie regolarmente effettuate presso il server esistente nella Procura 6.2. Per considerazioni analoghe a quelle sopra espresse con riferimento alla posizione del Perna, infondato deve ritenersi anche il secondo motivo, relativo al mancato riconoscimento della ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. Anche sul punto la motivazione della Corte territoriale risulta infatti adeguatamente argomentata sulla base di una esaustiva considerazione degli elementi rilevanti ai sensi della richiamata norma e in particolare sia della non irrilevante contributo dato alla circolazione della droga nel territorio desumibile dalla ripetute condotte di acquisto, detenzione e cessione della sostanza. 7. Non diversa valutazione deve riservarsi al ricorso di De Cicco Giuseppe. Su entrambi i punti rispetto ai quali egli lamenta difetto di motivazione, la sentenza impugnata offre in termini sintetici ma tuttavia sufficientemente specifici ed esaustivi adeguata giustificazione del proprio convincimento in punto di sussistenza dei fatti contestati. In particolare, l'indicazione della fonte del riconoscimento vocale offre quel dato ulteriore mancante con riferimento alla posizione del Lucanto e certamente idoneo a rendere la motivazione impermeabile alle apodittiche contestazioni mosse dal ricorrente. 8. Anche nei confronti dei ricorrenti Forte, Perna, Sganga Francesco e De Cicco Giuseppe deve peraltro pronunciarsi l'annullamento della sentenza in relazione al trattamento sanzionatorio, in ragione della illegalità della pena applicata sopravvenuta per effetto della nota pronuncia della Corte costituzionale n. 32 del 25 febbraio 2014. Giova al riguardo rammentare che, per consolidando indirizzo, la Corte dì Cassazione, in conseguenza della declaratoria di incostituzionalità della norma sostanziale in punto di pena, può intervenire al riguardo di ufficio per rilevare la sopravvenuta nullità della sentenza impugnata nel punto relativo alla determinazione del trattamento sanzionatorio, e ciò anche in relazione a ricorsi inammissibili (v. ex plurimis sez. 6 n. 21982 del 16/05/2013, Ingordini, Rv. 255674; e da ultimo, con riferimento agli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, Sez. 7, nn. 16649-16651 del 12/03/2014, non massimate; Sez. 7, nn. 12916-12917 del 28/02/2014, non mass.). Il trattamento sanzionatorio è stato, nella specie, determinato dai giudici di merito nella vigenza del comma 1 dell'art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, 18 quantità dello stupefacente ad oggetto dell'episodio contestato al capo 7, sia del come sostituito dall'art. 4-bis, comma 1, lett. b), d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49. Tale ultima norma, come noto, uniformava il trattamento sanzionatorio relativo alle ipotesi di reato concernenti le c.d. droghe leggere (che qui solo vengono in considerazione) con quelle riferite alle c.d. droghe pesanti, prevedendo per entrambe la pena edittale della reclusione da sei a venti anni e della multa da euro 26.000 a euro 260.000, laddove il testo originario del d.P.R. n. 309/90 prevedeva per le prime una cornice edittale di ben minore severità, (art. 73, comma 4). Com'è altrettanto noto, tuttavia, la Corte costituzionale, con la detta sentenza n. 32 del 12-25 febbraio 2014, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del predetto art. 4-bis d.l. cit., oltre che dell'art. 4-vicies ter (entrambi inseriti in sede di conversione), perché adottati in carenza dei presupposti per il legittimo esercizio del potere legislativo di conversione. Secondo l'espressa indicazione del giudice delle leggi, con la dichiarazione dell'illegittimità costituzionale delle norme impugnate, «riprende applicazione l'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 nel testo anteriore alle modifiche con queste apportate» (con il conseguente ripristino del su evidenziato differente trattamento sanzionatorio dei reati concernenti le cosiddette droghe leggere, puniti con la pena della reclusione da due a sei anni e della multa), atteso che i vizi procedurali in cui era incorso il legislatore del 2006 (in sede di conversione dell'originario decreto-legge), dovevano considerarsi tali da dar luogo ad un atto legislativo affetto da un «vizio radicale nella sua formazione [come tale] inidoneo ad innovare l'ordinamento e, quindi, anche ad abrogare la precedente normativa (sentenze n. 123 del 2011 e n. 361 del 2010)». Ad oggi pertanto - è utile rimarcare - la cornice edittale di riferimento per i reati ritenuti in sentenza a carico dei ricorrenti tutti non può più considerarsi quella prevista al momento della sua pronuncia (da sei a venti anni di reclusione), ma quella ben più mite compresa tra un minimo di due anni di reclusione e un massimo di sei. Reputa questo collegio che a un così rilevante mutamento della forbice edittale (tale per cui quello che prima dell'intervento della Corte costituzionale rappresentava il minimo della pena irrogabile adesso è invece divenuto il limite massimo, il quale dunque è passato da venti a sei anni) non possa non attribuirsi rilievo ancorché in astratto le pene inflitte rientrino anche all'interno della nuova cornice. In presenza, infatti, di un così radicale mutamento normativo riguardante il trattamento sanzionatorio occorre che ne risultino, sia pure per implicito, 19 fissata nella reclusione da due a sei anni e nella multa da C 5.164 a C 77.468 considerate le eventuali refluenze sul giudizio di disvalore della fattispecie ai fini della complessiva ponderazione della pena. La questione, come detto, attiene alla legalità della pena, coinvolge l'applicazione dell'art. 2 cod. pen. e va rilevata anche d'ufficio. Si rende, pertanto, necessario l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente all'entità della pena inflitta agli imputati predetti, giovando peraltro avvertire che, anche nel caso in cui, all'esito del giudizio di rinvio, dovesse essere confermato il giudizio di penale responsabilità anche nei confronti citata pronuncia della Corte costituzionale ai fini del relativo trattamento sanzionatorio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Lucanto Marco e rinvia per nuovo esame ad altra Sezione della Corte d'appello di Catanzaro. Annulla altresì la sentenza stessa nei confronti di Forte Agostino, Perna Diego, Sganga Francesco e De Cicco Giuseppe limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo esame al riguardo ad altra Sezione della Corte d'appello di Catanzaro. Rigetta nel resto i ricorsi di Forte Agostino, Perna Diego, Sganga Francesco e De Cicco Giuseppe. Così deciso il 27/6/2014 del Lucanto, occorrerà ovviamente anche per lui tener conto degli effetti della

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