Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32126 del 20/06/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 4 Num. 32126 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

Data Udienza: 20/06/2014

SENTE ‘1,A

sul ricorso proposto da .
III ARU CRISTIAN .REN N. IL l4/03/1977
EL ALA0111
LAKLAA ApDELmiu) N “. 27/1/1/1978
i. OIZCill LILIAtn!. “:. IL
avverso la .se-lenza n 4 . ”.`..3/2012, COR’i 1 APPELLO di MILANO, del
07/11/2013
visti gli atti, k, sentenza o il
udita in Pli13HLICA U[7, 1 ‘,”‘N7,/•., del 20’06/2014 la relazione l’atta dal
Consigliere Doit. A1\1!7;;?!:A MONTi\g,N1
I
ir? oe sovi del Dott. 09
Udito il Procuratore
che ha concluso per

D(
L

I
0….t4-1A-)

e.4.,t,(1 o

(A t.”.

r) t.4.3″ i 5

I

G
;

c’r

ft.tt

A
Udito, per)

arte civile, “Avv
,D r

Udii: icdiicl-is (..Nvv. pi. kt–0e

(4,,,” e

fA

:

Le e ( ,2.. cc, i,,I ih, ti.i.t/, f 6-le-:

ei2Lt0
t

“4- 4-.

t.4…4,

“(,./,’

ot,’

/

Ritenuto in fatto
1. Il G.i.p. presso il Tribunale di Monza, con sentenza in data 9.01.2013,
all’esito di giudizio abbreviato, dichiarava Jitaru Cristian Jon, El Alaoui Azdine,
Laklaa Abdelmajd e El Orchi El Habib, responsabili delle plurime violazioni degli artt.
73, 80 d.P.R. n. 309/1990, ed altro, loro rispettivamente ascritte. Il giudicante
riteneva più grave il reato di cui al capo a), contestato a tutti i prevenuti e,
concesse le attenuanti generiche equivalenti alla richiamata aggravante, irrogava le
pene ritenute di giustizia.

2. La Corte di Appello di Milano, con sentenza in data 7.11.2013, rilevata
l’infondatezza delle doglianze che erano state dedotte in sede di gravame,
confermava la sentenza di condanna resa dal G.i.p. di Monza
3. Avverso la predetta sentenza della Corte territoriale hanno proposto
ricorso per cassazione tutti gli imputati.
Cristian Jon Jitaru con il primo motivo denuncia il vizio motivazionale,
contestando l’affermazione di responsabilità penale. La parte osserva che nella
ricostruzione del fatto i giudici di merito hanno dato illogicamente credito alle
dichiarazioni rese dall’autista Segovia anziché a quanto riferito dal coimputato El
Alaoui. Osserva che Segovia, condannato con sentenza irrevocabile per gli stessi
fatti per cui si procede, era interessato a professare la propria innocenza.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia il vizio motivazionale, in
riferimento alla rilevanza probatoria assegnata alle risultanze dei tabulati telefonici.
La parte assume che la Corte di Appello abbia errato nell’apprezzare il dato
relativo alla assenza di contatti telefonici intercorsi tra Jitaru ed i correi nel giorno
in cui avvenne la consegna della droga presso il capannone ed in quelli precedenti.
Con il terzo motivo la parte deduce la violazione di legge, in riferimento
all’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 80, d.P.R. n. 309/1990, rispetto al
dato ponderale relativo allo stupefacente sequestrato. La parte osserva, inoltre, di
non aver avuto consapevolezza del quantitativo di stupefacente trasportato dal
camion; e denuncia la violazione dell’art. 59 cod. pen.
Con il quarto motivo l’esponente di duole del mancato riconoscimento delle
circostanze attenuanti con giudizio di prevalenza e della entità della pena inflitta.
Con il quinto motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 235 cod.
pen., osservando che è stato disposto l’allontanamento dal territorio nazionale, in
difetto del concreto accertamento circa la pericolosità sociale del prevenuto.
Con ulteriore motivo il deducente richiama la recente decisione della Corte
Costituzionale, sulla disciplina delle sostanze stupefacenti, invocando l’applicazione
del trattamento sanzionatorio più favorevole.
El Alaoui Azdine con il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 80,
d.P.R. n. 309/1990; osserva che nel caso la contestazione concerne la detenzione
2

A

di 251 chilogrammi lordi di hashish, contenenti 15,43 chilogrammi di principio
attivo.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce l’illegittimità della pena inflitta,
alla luce della sentenza della Corte Costituzionale del 12.02.2014.
Laklaa Abdelmajid con il primo motivo denuncia violazione di legge e vizio
di motivazione in riferimento all’affermazione di responsabilità penale rispetto al
reato di cui al capo A). La parte si sofferma sulle accertate circostanze di fatto e

di un unico indizio, dato dalla presenza del predetto imputato nei pressi dal
capannone.
Con il secondo motivo l’esponente denuncia a sua volta la violazione
dell’art. 80, d.P.R. n. 309/1990.
Con il terzo motivo la parte rileva che per effetto della sentenza della Corte
Costituzionale n. 32 del 2014 la pena base relativa al più grave reato di cui al capo
A) della rubrica, stabilita dai giudici di merito, risulta superiore al massimo edittale.
El Orchi El Habib con unico motivo contesta l’intervenuta affermazione di
penale responsabilità, censurando la motivazione sviluppata dai giudici di merito,
richiamando i termini di fatto della condotta posta in essere dal medesimo
prevenuto.
Con motivi nuovi successivamente depositati la parte osserva che alla luce
della recente decisione della Corte Costituzionale si impone l’annullamento della
sentenza impugnata, con rinvio al giudice di merito per la rideterminazione della
pena.
Considerato in diritto
4. I ricorsi che occupano impongono le considerazioni che seguono.
4.1 Procedendo all’esame congiunto delle comuni questioni affidate al primo
ed al secondo motivo del ricorso proposto nell’interesse di Cristian Jon Jitaru, al
primo motivo del ricorso di Laklaa Abdelmajid ed al ricorso originario proposto da El
Orchi El Habib, giova rilevare che, secondo il consolidato orientamento della
Suprema Corte, il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità
deve risultare dal testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le
varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al
controllo delle risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di
legittimità “deve essere limitato soltanto a riscontrare l’esistenza di un logico
apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l’adeguatezza delle
argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo
convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali” (in tal senso, “ex
plurimis”, Cass. Sez. 3, n. 4115 del 27.11.1995, dep. 10.01.1996, Rv. 203272).

3

ritiene che i giudici di merito abbiano ritenuto il coinvolgimento di Laklaa sulla base

Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato
altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite le quali hanno precisato che esula dai
poteri della Corte di Cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto, posti
a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al
giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera
prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata, valutazione delle
risultanze processuali (Cass. Sez. U, Sentenza n. 6402 del 30/04/1997,
dep. 02/07/1997, Rv. 207945). E la Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la

modifica dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio
2006 n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può
esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasto preclusa, per il giudice di
legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o
valutazione dei fatti (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 17905 del 23.03.2006,
dep. 23.05.2006, Rv. 234109). Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite
le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle
circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Cass. Sez. 1, Sentenza n.
1769 del 23/03/1995, dep. 28/04/1995, Rv. 201177; Cass. Sez. 6, Sentenza n.
22445 in data 8.05.2009, dep. 28.05.2009, Rv. 244181).
4.1.1 Così delineato l’orizzonte dello scrutinio di legittimità, è appena il caso
di rilevare che la congiunta lettura di entrambe le sentenze di merito – che,
concordando nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a
fondamento delle rispettive decisioni, valgono a saldarsi in un unico complesso
corpo argomentativo (cfr. Cass., Sez. 1, n. 8868/2000, Rv. 216906) – evidenzia che
i giudici hanno sviluppato un conferente percorso argomentativo, relativo
all’apprezzamento del compendio probatorio, che risulta immune da censure
rilevabili dalla Corte regolatrice; e che i ricorrenti invocano, in realtà, una
inammissibile riconsiderazione alternativa del quadro indiziario, proprio con
riguardo alle inferenze che i giudici di merito hanno tratto dagli accertati elementi di
fatto, ai fini della affermazione della responsabilità penale.
Tanto considerato, deve osservarsi che la Corte regolatrice ha da tempo
chiarito che non è consentito alle parti dedurre censure che riguardano la selezione
delle prove effettuata da parte del giudice di merito. A tale approdo, si perviene
considerando che, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione
non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore
possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, dovendo
limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e
con “i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento”, secondo una formula
giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1004 del 30/11/1999,
4

A

dep. 31/01/2000, Rv. 215745; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2436 del 21/12/1993,
dep. 25/02/1994, Rv. 196955). Come già sopra si è considerato, secondo la
comune interpretazione giurisprudenziale, l’art. 606 cod. proc. pen. non consente
alla Corte di Cassazione una diversa “lettura” dei dati processuali o una diversa
interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo
sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali. E questa
interpretazione non risulta superata in ragione delle modifiche apportate all’art.

in quanto la selezione delle prove resta attribuita in via esclusiva al giudice del
merito e permane il divieto di accesso agli atti istruttori, quale conseguenza dei
limiti posti all’ambito di cognizione della Corte di Cassazione. E bene, si deve allora
in questa sede ribadire l’insegnamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità,
per condivise ragioni, in base al quale si è rilevato che nessuna prova, in realtà, ha
un significato isolato, slegato dal contesto in cui è inserita; che occorre
necessariamente procedere ad una valutazione complessiva di tutto il materiale
probatorio disponibile; che il significato delle prove lo deve stabilire il giudice del
merito e che il giudice di legittimità non può ad esso sostituirsi sulla base della
lettura necessariamente parziale suggeritagli dal ricorso per cassazione (Cass. Sez.
5, Sentenza n. 16959 del 12/04/2006, dep. 17/05/2006, Rv. 233464).
4.1.2 Ciò posto, si rileva che neppure sussiste il travisamento della prova,
dedotto dai predetti ricorrenti.
Come è noto l’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. è stato modificato
dalla L. 19 febbraio 2006, n. 46, art. 8, che ha esteso la rilevabilità del vizio di
motivazione oltre il testo del provvedimento impugnato con il riferimento ad “altri
atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame”.
L’elaborazione giurisprudenziale successiva alla riforma ha chiarito che il
legislatore, con la norma ora richiamata, ha comunque demandato alla Corte
regolatrice una funzione di legittimità, atteso che la Suprema Corte, nell’esaminare
il travisamento della prova, non si immerge nel contesto processuale come fa il
giudice di merito, ma si limita ad individuare il vizio dedotto. Il giudice di
legittimità, cioè, non deve conoscere il contesto processuale, ma scrutinare
unicamente l’atto che veicola la prova che si assume travisata. Sulla scorta dei
cenni che precedono, è dato rilevare che, secondo diritto vivente, il travisamento
della prova sussiste qualora emerga che il giudice di merito abbia (non
erroneamente interpretato ma) indiscutibilmente travisato una prova decisiva
acquisita al processo ovvero omesso di considerare circostanze decisive risultanti da
atti specificamente indicati; e deve trattarsi di una palese e non controvertibile
difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall’assunzione della prova e quelli
che il giudice di merito ne abbia inopinatamente tratto, restando fermo il divieto,
5

606, comma primo lett. e) cod. proc. pen. ad opera della Legge n. 46 del 2006; ciò

per il giudice di legittimità, di operare una diversa ricostruzione del fatto quando si
tratti di elementi privi di significato indiscutibilmente univoco (Cass. Sez. 4,
Sentenza n. 14732 del 01/03/2011, dep. 12/04/2011, Rv. 250133; Cass. Sez. 3,
Sentenza n. 37756 del 07/07/2011, dep. 19/10/2011, Rv. 251467; Cass. Sez. 5,
Sentenza n. 9338 del 12/12/2012, dep. 27/02/2013, Rv. 255087).
Applicando i principi di diritto al caso di giudizio, si osserva che la
motivazione sviluppata dai giudici di merito non risulta affatto contrastante con gli
atti acquisiti al processo ma discende da un complessivo e ragionato

apprezzamento dell’acquisito compendio probatorio, secondo un percorso
argomentativo immune dalle denunciate aporie di ordine logico; e gli esponenti,
come sopra evidenziato, confutano la valutazione espressa dai giudici del gravame,
in riferimento alla affermazione di responsabilità degli imputati, da un lato
argomentando sulla base della inammissibile enfatizzazione, per le ragioni sopra
esposte, di un singolo dato di fatto, relativo alla mancanza di comunicazioni
telefoniche tra i correi nel contesto temporale relativo alla consegna della partita di
hashish; dall’altro, omettendo di richiamare le ulteriori circostanze di fatto
emergenti dal complesso motivazionale, ove i giudicanti ricostruiscono
dettagliatamente le operazioni svolte dal personale di polizia giudiziaria, conducenti
al sequestro della ingente partita di hashish ed anche i pervicaci tentativi di sfuggire
all’arresto, posti in essere da parte di taluni dei correi.
4.2 Le doglianze affidate al terzo motivo del ricorso proposto da Cristian
Jon Jitaru, al primo motivo di ricorso di El Alaoui Azdine ed al secondo motivo del
ricorso nell’interesse di Laklaa Abdelmajid, in ordine alla ritenuta sussistenza della
circostanza aggravante dell’ingente quantità, di cui all’art. 80, d.P.R. n. 309/1990,
che si trattano congiuntamente, sono prive di pregio.
Deve considerarsi che, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale
del 12 febbraio 2014 n. 32, la disciplina in materia di sostanze stupefacenti che
viene in rilievo è quella prevista dal d.P.R. n. 309/1990, nella versione antecedente
alle modifiche introdotte dal d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con
modificazioni dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49; conseguentemente, il testo
dell’art. 73, ad oggi vigente, non contiene il riferimento, già operato dall’art. 73,
comma 1 bis, alla detenzione di quantitativi di sostanze stupefacenti in misura
superione ai limiti massimi indicati dalle relative Tabelle ministeriali.
Si osserva, peraltro, che la materia di interesse è stata oggetto di un
ulteriore intervento correttivo, ad opera della legge 16 maggio 2014, n. 79, di
conversione, con modificazioni, del decreto legge 20 marzo 2014, n. 36, recante
Disposizioni urgenti in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza,
di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonché di
6

4

impiego di medicinali meno onerosi da parte del Servizio sanitario nazionale
(pubblicata in G.U. n.115 del 20.05.2014).
Rispetto al tema di interesse, si osserva che la novella ora citata ha inserito
all’art. 75, d.P.R. n. 309/1990, il comma 1 bis, del seguente tenore: “Ai fini
dell’accertamento della destinazione ad uso esclusivamente personale della
sostanza stupefacente o psicotropa o del medicinale di cui al comma 1, si tiene
conto delle seguenti circostanze: a) che la quantita’ di sostanza stupefacente o

della salute, di concerto con il Ministro della giustizia, sentita la Presidenza del
Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche antidroga, nonche’ della
modalita’ di presentazione delle sostanze stupefacenti o psicotrope, avuto
riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato ovvero ad
altre circostanze dell’azione, da cui risulti che le sostanze sono destinate ad un
uso esclusivamente personale”.
I cenni che precedono inducono pertanto a ritenere che la cornice
normativa vigente, come emergente dalle plurime interpolazioni della disciplina in
materia di sostanze stupefacenti, faccia comunque riferimento alla quantità
massima detenibile, tenuto anche conto del fatto che il citato d.l. 20 marzo 2014,
n. 36 prevede espressamente che gli atti amministrativi – attuativi della fonte di
rango primario di cui al d.P.R. n. 309/1990 – adottati sino alla data di pubblicazione
della sentenza della Corte Costituzionale riprendono a produrre effetti.
Conseguentemente, deve rilevarsi che mantengono validità i criteri indicati
dalle Sezioni Unite, al fine di verificare la sussistenza della circostanza aggravante
della ingente quantità, di cui all’art. 80, d.P.R.n. 309/1990.
Come noto, le Sezioni Unite di questa Suprema Corte hanno infatti chiarito
che non è ravvisabile l’aggravante di cui si tratta quando la quantità di principio
attivo sia inferiore a 2000 volte il valore massimo, in milligrammi, determinato per
ogni sostanza dalla tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006; e che nel caso in cui
tale quantità sia superata resta ferma la discrezionale valutazione del giudice, al
riguardo (cfr. Cass. Sez. U, sentenza n. 36258 del 24.05.2012, dep. 20/09/2012,
Rv. 253150). Ciò significa, con riferimento alla sostanza stupefacente di tipo
hashish, che la circostanza aggravante di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. n.
309/1990, può essere ritenuta sussistente quando la quantità di THC sia superiore
ad un chilogrammo.
Applicando i richiamati principi al caso di specie, non è chi non veda che la
valutazione effettuata dai giudici di merito, in ordine alla sussistenza della
contestata aggravante di cui all’art. 80, d.P.R. n. 309/1990, a fronte della
detenzione di una partita di pari a Kg. 251 di hashish, contenente Kg. 15,43 di
principio attivo puro, non risulta sindacabile in questa sede di legittimità.
7

psicotropa non sia superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministro

4.3 II quarto motivo di ricorso proposto da Jitaru è infondato.
La Corte di Appello, invero, nel censire il motivo di doglianza relativo alla
concessione delle attenuanti generiche in rapporto di equivalenza sulla richiamata
aggravante, ha specificamente rilevato che pure la condotta processuale
dell’imputato, il quale non aveva fornito alcun utile contributo, induceva a
confermare la valutazione che era stata espressa dal primo giudice. In tali termini
lo specifico obbligo motivazionale risulta soddisfatto e la decisione assunta dalla
Corte territoriale, sul punto di interesse, non può essere sindacata in questa sede.

4.4 II quinto motivo del ricorso proposto nell’interesse dell’imputato Jitaru è
fondato.
Il G.i.p. presso il Tribunale di Monza ha disposto l’espulsione dal territorio
della Stato degli imputati Al Alaoui, Laklaa e El Orchi e l’allontanamento di Jitaru, ai
sensi dell’art. 235 cod. pen., omettendo ogni motivazione rispetto alla pericolosità
degli imputati. E detta lacuna motivazionale non è stata colmata dalla Corte
territoriale; sul punto, nella sentenza impugnata, la Corte di Appello si è limitata ad
affermare che risultava prematura ogni valutazione al riguardo e che la questione
doveva essere affrontata in sede esecutiva.
Deve allora richiamarsi il generale principio di diritto affermato da questa
Suprema Corte, in base al quale si è chiarito che l’espulsione dello straniero dal
territorio dello Stato, nel caso di condanna alla reclusione per un tempo superiore a
due anni – prevista dall’art. 235 cod. pen., come modificato dal d.l. n. 92 del 2008,
conv. con modif. in legge n. 125 del 2008 – costituisce una misura di sicurezza
personale che trova la sua disciplina generale negli art. 199 e ss. del codice penale
e che può essere ordinata dal giudice della cognizione solo ove, con congrua e
logica motivazione, risulti accertata, alla luce dei criteri posti dall’art. 133 cod.
pen., la sussistenza in concreto della pericolosità sociale del condannato (Cass.
Sez. 4, Sentenza n. 15447 del 14/03/2012, dep. 20/04/2012, Rv. 253507).
In applicazione del principio di diritto ora richiamato, si registra, pertanto, la
denunciata mancanza di motivazione, sul punto concernente i presupposti per
l’applicabilità delle misure di sicurezza ex art. 235 cod. proc. pen.; lacuna che
impone l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per nuova valutazione.
Si osserva, al riguardo, che il motivo di impugnazione in esame non si
qualifica come esclusivamente personale, poiché involge la lacuna motivazionale
della sentenza impugnata che attinge, parimenti, la posizione di tutti i coimputati
destinatari di misure di sicurezza ed art. 235 cod. proc. pen. Conseguentemente,
l’accoglimento del motivo giova anche agli imputati Al Alaoui, Laklaa e El Orchi che
non hanno proposto ricorso, sul punto in esame. Questa Suprema Corte ha infatti
chiarito che il fenomeno processuale dell’estensione dell’impugnazione (in processo
plurisoggettivo per lo stesso reato, o in procedimento cumulativo) in favore del
8

4

coimputato non impugnante, si verifica in caso di riconoscimento, in sede di
giudizio conclusivo sull’impugnazione, della fondatezza del motivo non
esclusivamente personale, di talché il soggetto non impugnante risulta partecipe
del beneficio conseguito dal coimputato diligente (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n.
30347 del 12/07/2007, dep. 26/07/2007, Rv. 236756; Cass. Sez. 1, Sentenza n.
2940 del 17/10/2013, dep. 22/01/2014, Rv. 258393).
Come chiarito, l’annullamento relativo alla statuizione sulle misure di
sicurezza dell’allontanamento e dell’espulsione riguarda anche le posizioni di Al

Alaoui, Laklaa e El Orchi, oltre a quella del ricorrente Itaru; e, nella fase
rescissoria del giudizio, la Corte di Appello dovrà soffermarsi sulla verifica della
sussistenza, in concreto, dei profili di pericolosità sociale riferibili a tutti i predetti
imputati, per i quali è stata disposta la misura di sicurezza ex art. 235 cod. proc.
pen.
4.5 Tanto chiarito, si vengono ad esaminare le comuni doglianze relative
alla illegittimità del trattamento sanzionatorio, per effetto della decisione della
Corte Costituzionale n. 32 del 2014, dedotte da Itaru con l’ultimo motivo di
ricorso, da El Alaoui con il secondo motivo, da Laklaa con il terzo motivo e da El
Orchi con i motivi nuovi.
I rilievi sono fondati.
Deve considerarsi che, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale
del 12 febbraio 2014 n. 32, la disciplina in materia di sostanze stupefacenti che
viene in rilievo è quella prevista dal d.P.R. n. 309/1990, nella versione antecedente
alle modifiche . introdotte dal d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con
modificazioni dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, di talché la pena per le sostanze
di cui alle tabelle II e IV dell’art. 14, risulta ricompresa dal minimo di due anni al
massimo di sei anni di reclusione, oltre la multa.
Come noto, la Corte Costituzionale, con sentenza del 12.02.2014 n. 32 ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies ter, del decretolegge 30 dicembre 2005, n. 272 (Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i
finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità
dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di
tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di
disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente
della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), convertito, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge 21 febbraio 2006, n. 49. Le disposizioni colpite dalla
declaratoria illegittimità costituzionale avevano introdotto significative modifiche
nell’ordinamento, apportando una innovazione sistematica alla disciplina dei reati in
materia di stupefacenti, sia sotto il profilo delle incriminazioni sia sotto quello
9

A

sanzionatorio. Il fulcro della novella, infatti, era costituito dalla parificazione dei
delitti riguardanti le droghe cosiddette “pesanti” e di quelli aventi ad oggetto le
droghe cosiddette “leggere”, fattispecie differenziate invece dalla precedente
disciplina, di cui al d.P.R. n. 309/1990.
Occorre allora considerare che, a causa della intervenuta declaratoria di
illegittimità costituzionale ad opera della citata sentenza n. 32 del 2014, la pena
edittale relativa all’ipotesi delittuosa di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309/1990, rispetto

della reclusione da due a sei anni, oltre la multa, laddove il testo oggetto della
declaratoria di incostituzionalità, stabiliva un più grave trattamento sanzionatorio,
compreso da un minimo di sei ad un massimo di venti anni di reclusione, oltre la
multa.
Orbene, deve allora osservarsi, con rilievo di ordine dirimente, che nel caso
di specie la pena base, per la detenzione di sostanza stupefacente di tipo hashish,
in riferimento al reato di cui al capo A) – ritenuto più grave tra quelli avvinti in
continuazione, esclusa la circostanza aggravante relativa all’ipotesi di ingente
quantità, stante il richiamato bilanciamento della circostanza ex art. 80, d.P.R. n.
309/1990 con le circostanze attenuanti generiche – è stata determinata per tutti
gli imputati in anni nove di reclusione oltre la multa.
Come si vede, si tratta di una misura di pena che travalica il limite edittale
massimo, che risulta applicabile al caso di giudizio, per le spiegate ragioni.
5. In conclusione, si dispone l’annullamento della sentenza impugnata, con
rinvio alla Corte di Appello di Milano, per nuovo esame, con riferimento al
trattamento sanzionatorio ed al punto concernente le misure di sicurezza ex art.
235 cod. pen., per le ragioni sopra evidenziate. Nel resto i ricorsi vengono rigettati.
Ai sensi dell’art. 624 cod. proc. pen. si dichiara l’irrevocabilità della sentenza
impugnata, con riguardo alla affermazione di penale responsabilità dei prevenuti, in
riferimento ai reati loro ascritti.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio ed al
punto concernente la misura di sicurezza ex art. 235 cod. pen., con rinvio ad altra
Sezione della Corte di Appello di Milano; rigetta i ricorsi nel resto; visto l’art. 624
cod. proc. pen. dichiara l’irrevocabilità della sentenza in ordine alla affermazione di
responsabilità penale degli imputati.
Così deciso in Roma in data 20 giugno 2014.

alla detenzione a fine di spaccio di sostanze rientranti nelle tabelle II e IV, è quella

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA