Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32123 del 20/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 32123 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CIPOLLE ‘IM PIETRO N, IL 01/09/1976
avverso la sentenza n. 49•1/2013 CORTE APPELLO di ROMA, del
06/11/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/06/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. O 5 C,2
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che ha concluso per

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Data Udienza: 20/06/2014

Ritenuto in fatto
1. Il G.i.p. presso il Tribunale di Tivoli, con sentenza in data 11.12.2012,
all’esito di giudizio abbreviato, dichiarava Cipolletti Pietro responsabile della
violazione dell’art. 73, d.P.R. n. 309/1990, in concorso con altri, per avere detenuto
circa quattro chili di hashish.
2. La Corte di Appello di Roma, con sentenza in data 6.11.2013, confermava
la sentenza di condanna resa dal G.i.p. di Tivoli. Il Collegio rilevava che i rapporti
intercorrenti tra il Cipolletti e gli altri correi e la specifica dinamica del fatto (la

busta contenente quattro chili di hashish si trovava appoggiata sul tavolo della
cucina dell’appartamento ove il prevenuto era rimasto per oltre un’ora) inducevano
a ritenere che l’odierno ricorrente fosse pienamente consapevole del contenuto
della busta. Sul piano sanzionatorio, la Corte territoriale considerava che al
prevenuto era già stato applicato il minimo della pena, con successiva riduzione di
un terzo, per la scelta del rito; ed escludeva la concedibilità delle attenuanti
generiche, in difetto di elementi che potessero essere positivamente valutati.
3. Avverso la predetta sentenza della Corte territoriale ha proposto ricorso
per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore.
Con il primo motivo la parte denuncia la mancanza di motivazione,
osservando che la Corte di Appello ha disatteso l’eccezione di legittimità
costituzionale dell’art. 73 d.P.R. n. 309/1990, che era stata dedotta in corso di
udienza.
Con il secondo motivo l’esponente denuncia la violazione dell’art. 73, d.P.R.
n. 309/1990, osservando che erroneamente i giudici di merito hanno ritenuto che
la condotta del Cipolletti rientrasse nell’ambito applicativo della norma
incriminatrice. A sostegno dell’assunto la parte si sofferma diffusamente sui
termini di fatto della vicenda, con specifico riguardo all’attività svolta dal Cipolletti.
Con il terzo motivo la parte si duole del mancato apprezzamento dell’ipotesi
di cui all’art. 75, d.P.R. n. 309/1990, assumendo che la droga fosse destinata ad
uso personale.
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 62 bis, cod.
pen., in riferimento al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche.
Considerato in diritto
4. Il ricorso che occupa muove alle considerazioni che seguono.
4.1 II primo motivo di ricorso risulta assorbito dalle considerazioni che di
seguito si vengono a svolgere, in riferimento alle conseguenze, sul giudizio in corso,
discendenti dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014.
4.2 Le questioni affidate al secondo ed al terzo motivo di ricorso, che è dato
esaminare congiuntamente, sono inammissibili.
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Giova rilevare che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte,
il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal
testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni
inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle
risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità “deve
essere limitato soltanto a riscontrare l’esistenza di un logico apparato
argomentativo, senza spingersi a verificare l’adeguatezza delle argomentazioni,
utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro

rispondenza alle acquisizioni processuali” (in tal senso, “ex plurimis”, Cass. Sez. 3,
n. 4115 del 27.11.1995, dep. 10.01.1996, Rv. 203272).
Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato
altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite le quali hanno precisato che esula dai
poteri della Corte di Cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto, posti
a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al
giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera
prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata, valutazione delle
risultanze processuali (Cass. Sez. U, Sentenza n. 6402 del 30/04/1997,
dep. 02/07/1997, Rv. 207945). E la Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la
modifica dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio
2006 n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può
esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasto preclusa, per il giudice di
legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o
valutazione dei fatti (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 17905 del 23.03.2006,
dep. 23.05.2006, Rv. 234109). Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite
le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle
circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Cass. Sez. 1, Sentenza n.
1769 del 23/03/1995, dep. 28/04/1995, Rv. 201177; Cass. Sez. 6, Sentenza n.
22445 in data 8.05.2009, dep. 28.05.2009, Rv. 244181).
4.2.1 Così delineato l’orizzonte dello scrutinio di legittimità, è appena il caso
di rilevare che la congiunta lettura di entrambe le sentenze di merito – che,
concordando nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a
fondamento delle rispettive decisioni, valgono a saldarsi in un unico complesso
corpo argomentativo (cfr. Cass., Sez. 1, n. 8868/2000, Rv. 216906) – evidenzia che
i giudici hanno sviluppato un conferente percorso argomentativo, relativo
all’apprezzamento del compendio probatorio, che risulta immune da censure
rilevabili dalla Corte regolatrice; e che il ricorrente invoca, in realtà, una
inammissibile riconsiderazione alternativa del quadro indiziario, proprio con

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riguardo alle inferenze che i giudici di merito hanno tratto dagli accertati elementi di
fatto, ai fini della affermazione della responsabilità penale.
Tanto considerato, deve osservarsi che la Corte regolatrice ha da tempo
chiarito che non è consentito alle parti dedurre censure che riguardano la selezione
delle prove effettuata da parte del giudice di merito. A tale approdo, si perviene
considerando che, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione
non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore
possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, dovendo

limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e
con “i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento”, secondo una formula
giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1004 del 30/11/1999,
dep. 31/01/2000, Rv. 215745; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2436 del 21/12/1993,
dep. 25/02/1994, Rv. 196955). Come già sopra si è considerato, secondo la
comune interpretazione giurisprudenziale, l’art. 606 cod. proc. pen. non consente
alla Corte di Cassazione una diversa “lettura” dei dati processuali o una diversa
interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo
sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali. E questa
interpretazione non risulta superata in ragione delle modifiche apportate all’art.
606, comma primo lett. e) cod. proc. pen. ad opera della Legge n. 46 del 2006; ciò
in quanto la selezione delle prove resta attribuita in via esclusiva al giudice del
merito e permane il divieto di accesso agli atti istruttori, quale conseguenza dei
limiti posti all’ambito di cognizione della Corte di Cassazione. E bene, si deve allora
in questa sede ribadire l’insegnamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità,
per condivise ragioni, in base al quale si è rilevato che nessuna prova, in realtà, ha
un significato isolato, slegato dal contesto in cui è inserita; che occorre
necessariamente procedere ad una valutazione complessiva di tutto il materiale
probatorio disponibile; che il significato delle prove lo deve stabilire il giudice del
merito e che il giudice di legittimità non può ad esso sostituirsi sulla base della
lettura necessariamente parziale suggeritagli dal ricorso per cassazione (Cass. Sez.
5, Sentenza n. 16959 del 12/04/2006, dep. 17/05/2006, Rv. 233464).
4.3 D quarto motivo di ricorso è infondato.
La Corte di Appello, invero, nel censire il motivo di doglianza relativo alla
mancata concessione delle attenuanti generiche, ha specificamente rilevato che il
mero stato di incensuratezza non consentiva di riconoscere le invocate attenuanti,
ai sensi dell’art. 62 bis, comma 3, cod. pen.; e che dagli atti non emergevano
ulteriori elementi che potessero essere positivamente considerati al riguardo. In tali
termini lo specifico obbligo motivazionale risulta soddisfatto e la decisione assunta
dalla Corte territoriale, sul punto di interesse, non può essere sindacata in questa
sede.
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4.4 Ciò posto, osserva il Collegio che, per effetto della sentenza della Corte
Costituzionale del 12 febbraio 2014 n. 32 – che ha accolto la questione sollevata
dalla III Sezione Penale di questa Suprema Corte, con ordinanza 28.01.2013,
richiamata dall’esponente – la disciplina in materia di sostanze stupefacenti che
viene in rilievo è quella prevista dal d.P.R. n. 309/1990, nella versione antecedente
alle modifiche introdotte dal d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con
modificazioni dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, di talché la pena per le sostanze
di cui alle tabelle II e IV dell’art. 14, risulta ricompresa dal minimo di due anni al

massimo di sei anni di reclusione, oltre la multa.
Ed invero, la Corte Costituzionale, con sentenza del 12.02.2014 n. 32 ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies ter, del decretolegge 30 dicembre 2005, n. 272 (Misure urgenti per garantire la sicurezza ed í
finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità
dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di
tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di
disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente
della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), convertito, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge 21 febbraio 2006, n. 49. Le disposizioni colpite dalla
declaratoria illegittimità costituzionale avevano introdotto significative modifiche
nell’ordinamento, apportando una innovazione sistematica alla disciplina dei reati in
materia di stupefacenti, sia sotto il profilo delle incriminazioni sia sotto quello
sanzionatorio. Il fulcro della novella, infatti, era costituito dalla parificazione dei
delitti riguardanti le droghe cosiddette “pesanti” e di quelli aventi ad oggetto le
droghe cosiddette “leggere”, fattispecie differenziate invece dalla precedente
disciplina, di cui al d.P.R. n. 309/1990.
Occorre considerare che, a causa della intervenuta declaratoria di
illegittimità costituzionale ad opera della citata sentenza n. 32 del 2014, la pena
edittale relativa all’ipotesi delittuosa di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309/1990, rispetto
alla detenzione a fine di spaccio di sostanze rientranti nelle tabelle II e IV, è quella
della reclusione da due a sei anni, oltre la multa, laddove il testo oggetto della
declaratoria di incostituzionalità, stabiliva un più grave trattamento sanzionatorio,
compreso da un minimo di sei ad un massimo di venti anni di reclusione, oltre la
multa.
Orbene, deve osservarsi, con rilievo di ordine dirimente, che nel caso di
specie all’imputato, per la detenzione di quattro chili sostanza stupefacente di tipo
hashish, in difetto di contestazione relativa alla circostanza aggravante dell’ingente
quantità, ex art. 80, d.P.R. n. 309/1990, è stata inflitta la pena di quattro anni di
reclusione, oltre la multa, computando la pena base in anni sei di reclusione oltre la
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multa. E deve sottolinearsi che la Corte di Appello, nel rigettare la richiesta di
rideterminazione della pena, che era stata dedotta dalla difesa, ha precisato che il
primo giudice già aveva contenuto la pena in misura corrispondente al minimo
edittale. Deve allora conclusivamente rilevarsi: che, per effetto del mutato scenario
sanzionatorio, la pena inflitta all’imputato corrisponde oggi al limite edittale
massimo, che risulta applicabile al caso di giudizio, per le spiegate ragioni; e che,
conseguentemente, non è dato ritenere che l’effettuata valutazione giudiziale sulla

5. Si dispone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio
ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma, per nuova valutazione
limitatamente al trattamento sanzionatorio. Il ricorso, nel resto, deve essere
rigettato. Ai sensi dell’art. 624 cod. proc. pen. si dichiara l’irrevocabilità della
sentenza impugnata, con riguardo alla affermazione di penale responsabilità del
prevenuto, in riferimento al reato ascritto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con
rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma; rigetta il ricorso nel resto; V°
l’art. 624 c.p.p. dichiara l’irrevocabilità della sentenza in ordine all’affermazione di
responsabilità penale dell’imputato.
Così deciso in Roma in data 20 giugno 2014.

congruità della pena mantenga od oggi validità.

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