Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32122 del 13/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 32122 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Mangione Emanuele n. il 18.2.1961
avverso la sentenza n. 2959/2011 pronunciata dalla Corte d’appello di
Catania il 14.5.2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 13.6.2014 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. F. Baldi, che ha
concluso per la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 13/06/2014

Ritenuto in fatto
i. – Con sentenza resa in data 14.5.2012, la corte d’appello di
Catania ha integralmente confermato la sentenza in data 4.4.2011 con
la quale il tribunale di Ragusa, sezione distaccata di Vittoria, ha condannato Emanuele Mangione alla pena di un mese e quindici giorni
di reclusione, oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita, in relazione al reato di lesioni personali colpose commesso, in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni
sul lavoro, ai danni di Franco Pirrello, in Vittoria, il 14.11.2005.
All’imputato, in qualità di datore di lavoro della persona offesa, era stata contestata la condotta omissiva consistita nella mancata
adozione delle protezioni e delle necessarie dotazioni di sicurezza (oltre all’omessa predisposizione di un dispositivo supplementare per
l’arresto di emergenza) della macchina trasportatrice su cui era intento al lavoro il Pirrello; omissioni (cui veniva altresì associata la mancata formazione del lavoratore infortunato in materia di rischi e di sicurezza sul lavoro) per effetto delle quali il lavoratore infortunato aveva subito gravi lesioni a tre dita della mano destra.
Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore,
ha proposto ricorso per cassazione il Mangione, dolendosi della violazione di legge e del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la
corte territoriale nell’omettere di valutare la rilevanza causale del
comportamento del lavoratore infortunato in occasione dell’evento
oggetto di giudizio.
Sotto altro profilo, il ricorrente invoca il riconoscimento
dell’intervenuta estinzione del reato a causa della prescrizione, anche
in considerazione del lungo lasso di tempo intercorso tra la lettura
del dispositivo della sentenza di condanna all’udienza del 14.5.2012 e
il deposito delle motivazioni avvenuto in data 13.2.2014.
Considerato in diritto
2.1. – Osserva preliminarmente la Corte che il reato per il quale l’imputato è stato tratto a giudizio non è prescritto, trattandosi di
un fatto di lesioni personali colpose commesso alla data del
14.11.2005, il cui termine di prescrizione è stabilito in quello di sette
anni e sei mesi.
Ciò posto, associando a tale periodo gli ulteriori periodi di sospensione della prescrizione per un totale pari a tredici mesi e tre

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giorni (con al definitiva fissazione della prescrizione al 17.6.2014),
deve ritenersi che in relazione al reato oggetto dell’odierno giudizio i
termini di prescrizione non siano ancora, ad oggi, interamente decorsi.
Ciò premesso – pervenendo all’esame nel merito dell’impugnazione -, rileva la corte come in modo manifestamente infondato
l’odierno ricorrente abbia censurato la sentenza impugnata in relazione alla mancata considerazione della rilevanza causale del comportamento della vittima nella verificazione dell’evento lesivo oggetto
di giudizio.
Al riguardo, osserva il collegio come la corte territoriale, con
motivazione completa ed esauriente, immune da vizi d’indole logica o
giuridica, abbia correttamente escluso il ricorso, nella specie, di un
comportamento abnorme del prestatore di lavoro infortunato, atteso
che l’evento lesivo in esame ebbe a verificarsi, nel corso delle ordinarie mansioni cui il lavoratore era addetto, senza che al lavoratore fosse possibile ascrivere il compimento di eventuali erronee manovre
nell’esecuzione delle funzioni demandategli (cfr. pag. 3 della sentenza
impugnata).
La stessa corte d’appello, sotto altro profilo, ha correttamente
evidenziato come, quand’anche fosse stato rinvenibile un eventuale
atteggiamento imprudente da parte della persona offesa, gli effetti lesivi dello stesso sarebbero stati comunque scongiurati dalla predisposizione delle obbligatorie cautele, specificamente descritte nella sentenza impugnata, imposte per legge al datore di lavoro.
Sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento di questa corte di legittimità, ai sensi del quale, in tema
di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro, in quanto titolare di una
posizione di garanzia in ordine all’incolumità fisica dei lavoratori, ha
il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed
esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta,
solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri
dell’eccezionalità, dell’abnormità e, comunque, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive organizzati-

2.2. –

ve ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile
(cfr., tra le molte, Cass., Sez. 4, n. 37986/2012, Rv. 254365).
Al riguardo, la circostanza del ricorso di un’eventuale imprudenza o negligenza del lavoratore infortunato nell’esercizio delle incombenze affidategli, non sarebbe valsa in ogni caso a escludere la
responsabilità del datore di lavoro, dovendo ritenersi ricompreso, entro l’ambito delle responsabilità di quest’ultimo, l’obbligo di prevenire anche l’ipotesi di una condotta imprudente o negligente del lavoratore, al fine di scongiurare la verificazione delle prevedibili evenienze
riconducibili all’ordinario sviluppo delle lavorazioni oggetto d’esame.
Il datore di lavoro, infatti, in quanto destinatario delle norme
antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità quando il comportamento del dipendente, rientrante nelle mansioni che gli sono proprie, sia assolutamente abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia consistito in qualcosa di radicalmente e ontologicamente diverso dalle ipotizzabili e, quindi,
prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione
del lavoro (Cass., Sez. 4, n. 7267/2009, Rv. 246695).
In thema, questa stessa corte ha avuto recentemente modo di
sottolineare come l’errore sulla legittima aspettativa che non si verifichino condotte imprudenti dei lavoratori non è invocabile da parte
del datore di lavoro, il quale, per la sua posizione di garanzia, risponde dell’infortunio, sia a titolo di colpa diretta, per non aver negligentemente impedito l’evento lesivo ed eliminato le condizioni di rischio,
che a titolo di colpa indiretta, per aver erroneamente invocato a sua
discriminante la responsabilità altrui qualora le misure di prevenzione siano state inadeguate (Cass., Sez. 4, n. 16890/2012, Rv. 252544).
Sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata
l’inammissibilità dell’odierno ricorso (in ragione della manifesta infondatezza dei motivi di impugnazione in questa sede proposti), con
la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, dichiara l’inammissibilità del
ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

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Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13.6.2014.

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