Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32118 del 13/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 32118 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Kramti Walid n. il 12.9.1973
Falcone Palma n. il 17.2.1974
avverso la sentenza n. 2312/2013 pronunciata dalla Corte d’appello di
Brescia il 25.10.2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 13.6.2014 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. F. Baldi, che ha
concluso per la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 13/06/2014

Ritenuto in fatto
1. – Con sentenza resa in data 8.5.2013 il giudice dell’udienza
preliminare presso il tribunale di Bergamo ha condannato Walid
Kramti e Palma Falcone alla pena di un anno e due mesi di reclusione
ed euro 3.000,00 di multa ciascuno (sanzione così corretta nel dispositivo dalla successiva sentenza della corte d’appello di Brescia), in relazione al reato di concorso nella detenzione a fini di spaccio di diverse sostanze stupefacenti (cocaina, eroina, hashish e marijuana),
commesso, nella forma dell’ipotesi di lieve entità di cui all’art. 73,
comma 5, d.p.r. n. 309/90, in Bergamo il 17.3.2009.
Su appello degli imputati, con sentenza in data 25.10.2013, la
corte d’appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza di primo
grado, ha disposto la riduzione della pena inflitta ai due imputati dal
primo giudice, determinandola in otto mesi di reclusione ed euro
2.000,00 di multa ciascuno, confermando, nel resto, la sentenza impugnata.
Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del comune difensore,
hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati, censurando la decisione della corte territoriale per violazione di legge e vizio di motivazione, avendo il giudice d’appello erroneamente ritenuto
la destinazione allo spaccio delle sostanze stupefacenti rinvenute in
possesso degli imputati, senza fornire alcuna concreta prova in contrasto con la circostanza evidenziata da questi ultimi in ordine alla destinazione di dette sostanze al relativo uso personale.
Considerato in diritto
2.1. – Osserva il collegio come le censure illustrate dai ricorrenti con il proprio atto d’impugnazione siano del tutto prive di fondamento.
E invero, occorre evidenziare come il giudice d’appello, con
motivazione dotata di piena coerenza logica e adeguata linearità argomentativa, abbia evidenziato un complesso di elementi di natura
indiziaria nel loro insieme idonei a sostanziare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la conclusione raggiunta circa l’effettiva destinazione
allo spaccio della sostanza stupefacente rinvenuta in possesso dei due
imputati.
In particolare, la corte territoriale ha sottolineato come, al di là
del dato ponderale delle sostanze stupefacenti rinvenute, occorresse

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valorizzare i dati costituiti: 1.) dalla pluralità delle sostanze stupefacenti rinvenute nell’abitazione utilizzata dai due imputati, corrispondenti a più dosi; 2) dal rinvenimento, nello stesso luogo, di sostanza
da taglio e di strumentazione per il confezionamento di singole dosi
(alcuni ritagli di cellophane, etc.); 3) dalla rilevazione di segni di bruciature sui polpastrelli della Falcone, riconducibili all’attività di predisposizione di singole dosi da cedere; 4) dalla detenzione di due telefoni cellulari nella disponibilità del Kramti; 5) dalla detenzione di ben
600,00 euro (conservati in modo accartocciato) in tagli tipici ordinariamente utilizzati per il pagamento di singole dosi di vario stupefacente in possesso della Falcone, della cui provenienza gli imputati
non hanno saputo fornire alcuna plausibile giustificazione; 6) dalla
comune utilizzazione dell’abitazione da parte dei due imputati e dalla
collocazione dello stupefacente, della sostanza da taglio e della strumentazione per il confezionamento delle singole dosi nei locali comuni, in piena vista, sì da evidenziarne la ragionevole riconducibilità
all’attività di entrambi gli imputati; 7) dal rinvenimento, nella medesima abitazione, di documentazione cartacea costituente una sorta di
contabilità.
È peraltro appena il caso di evidenziare, sul punto, come, in
tema di riscontri indiziari, il carattere equivoco di un dato d’indole
presuntiva accertato nella sua effettiva esistenza, finisce inevitabilmente per scolorire la propria oggettiva ambiguità, laddove posto in
correlazione con il complesso degli altri elementi probatori e/o indiziari considerati nella loro totalità.
Vale, al riguardo, richiamare l’insegnamento delle sezioni unite di questa corte di legittimità, ai sensi del quale l’apprezzamento unitario degli indizi per la verifica della confluenza verso un’univocità
indicativa che dia la certezza logica dell’esistenza del fatto da provare,
costituisce un’operazione logica che presuppone la previa valutazione
di ciascun elemento indiziario singolarmente considerato, onde saggiarne la valenza qualitativa individuale. Acquisita la valenza indicativa (sia pure di portata possibilistica e non univoca) di ciascun indizio deve allora passarsi al momento metodologico successivo dell’esame globale e unitario, attraverso il quale la relativa ambiguità indicativa di ciascun elemento probatorio può risolversi, perché nella valutazione complessiva ciascun indizio si somma e s’integra con gli altri, di tal che l’insieme può assumere quel pregnante e univoco signi-

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ficato dimostrativo che consente di ritenere conseguita la prova logica del fatto; prova logica che non costituisce uno strumento meno
qualificato rispetto alla prova diretta (o storica), quando sia conseguita con la rigorosità metodologica che giustifica e sostanzia il principio
del cosiddetto libero convincimento del giudice (cfr. Cass., Sez. Un.,
n. 6682/1992, Rv. 191230).
Sul punto, converrà inoltre ribadire, in coerenza al consolidato
insegnamento della giurisprudenza di legittimità, come il sindacato
demandato alla corte di cassazione sia necessariamente limitato – per
espressa volontà del legislatore – al riscontro dell’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata,
senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di
cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento. Esula, infatti, dai poteri della corte di cassazione quello di una
`rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione,
la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito,
senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione
di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (cfr. Cass., Sez. Un., n. 6402/1997, Rv. 207944, e
altre di conferma).
In altri termini, una volta accertata la coerenza logica delle argomentazioni seguite dal giudice di merito, non è consentito alla corte di cassazione prendere in considerazione, sub specie di vizio motivazionale, la diversa valutazione delle risultanze processuali prospettata dal ricorrente sulla base del proprio differente soggettivo punto
di vista (Cass., Sez. 1, n. 6383/1997, Rv. 209787; Cass., Sez. 1, n.
1083/1998, Rv. 210019), sempre che sia da escludere con evidenza
(come nel caso di specie) la prospettazione di un ragionevole dubbio
circa l’effettivo raggiungimento dell’accertamento della responsabilità penale degli imputati.
Ciò posto, osserva il collegio, di là dal rilievo
dell’infondatezza dei motivi d’impugnazione proposti dagli imputati,
come la sentenza impugnata debba essere annullata, in ragione
dell’intervenuta modificazione normativa del trattamento sanzionatorio corrispondente alle condotte criminose ascritte agli imputati.
Sul punto, dev’essere infatti rilevato come, in epoca successiva
alla proposizione dell’odierna impugnazione, il legislatore abbia
2.2. –

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provveduto (con il d.l. 23.12.2013, n. 146, convertito con modificazioni con la legge n. 10/2014) alla riconfigurazione normativa dei comportamenti criminosi riconducibili, come quello oggetto dell’odierno
esame (cfr. le motivazioni di entrambe le sentenze di merito), al quadro delle previsioni di cui all’art. 73, co. 5, d.p.r. n. 309/90: da un lato
ridefinendo la fattispecie quale ipotesi autonoma di reato (e non più
quale circostanza aggravante dell’ipotesi-base di cui all’art. 73, co.
d.p.r. 11. 309/90), dall’altro modificando la cornice edittale relativa
alla sanzione penale irrogabile (cfr., su tali punti, Cass., Sez. 4, 28
febbraio 2014, n. 10514, n.m.); sanzione nella specie rideterminata, a
seguito del successivo d.l. 20 marzo 2014, n. 36 (convertito con modificazioni con la legge 16 maggio 2014, n. 79) nella reclusione da sei
mesi a quattro anni e nella multa da euro 1.032 a euro 10.329, invece
di quella della reclusione da uno a sei anni e della multa da euro
3.000 a euro 26.000 prevista dalla legge vigente al tempo della
commissione dell’episodio criminoso contestato agli imputati.
Ciò posto, ai sensi dell’art. 2 c.p. (secondo cui “se la legge del
tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo salvo che sia
stata pronunciata sentenza irrevocabile”), spetterà al giudice del rinvio l’individuazione delle disposizioni più favorevoli al reo tra quelle
succedutesi nel tempo, con la definitiva determinazione del trattamento sanzionatorio irrogabile agli imputati.
Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, annulla la sentenza impugnata limitatamente alla misura del trattamento sanzionatorio con rinvio
ad altra Sezione della Corte d’appello di Brescia per l’ulteriore corso;
visto l’articolo 624 cod. proc. pen., dichiara irrevocabile
l’accertamento della responsabilità penale degli imputati.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13.6.2014.

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