Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32111 del 13/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 32111 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Paci Adriano n. il 13.10.1976
avverso la sentenza n. 1609/2009 pronunciata dalla Corte d’appello
di Firenze il 15.6.2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 13.6.2014 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. F. Baldi, che ha
concluso per la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso;
udito, per l’imputato, l’avv.to A.M. Papadia del foro di Roma, che ha
concluso per l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 13/06/2014

Ritenuto in fatto
i. – Con sentenza resa in data 30.3.2007, il giudice dell’udienza
preliminare presso il tribunale di Siena ha condannato Adriano Paci
alla pena di due anni di reclusione ed euro 900,00 di multa in relazione ad alcuni episodi concernenti il traffico di sostanze stupefacenti
commessi, in continuazione tra loro e nella forma dell’ipotesi di lieve
entità di cui all’art. 73, co. 5, d.p.r. n. 309/90, in Monteroni D’Arbia,
Buonconvento, Montalcino, Firenze, Perugia e Napoli tra il settembre
del 2002 e il luglio del 2003.
Con sentenza in data 15.6.2012, la corte d’appello di Firenze,
in parziale riforma della sentenza di primo grado, confermata la responsabilità dell’imputato, ha ridotto la pena allo stesso inflitta in
quella di dieci mesi di reclusione ed euro 3.000,00 di multa.
Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore,
ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, dolendosi del vizio di
motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata nella costruzione logica degli elementi probatori complessivamente acquisiti,
di per sé inidonei a fornire la prova della responsabilità penale del
Paci.
Sotto altro profilo, il ricorrente censura la sentenza impugnata
per l’eccessività del trattamento sanzionatorio irrogatogli, e per avere
la corte territoriale omesso di concedere la sospensione condizionale
della pena in favore dell’imputato, nonché, infine, per avere detta
corte omesso di riconoscere l’avvenuta estinzione dei reati in esame
in ragione dell’intervenuta prescrizione degli stessi.
Considerato in diritto
2. – Osserva preliminarmente la Corte che i reati per i quali
l’imputato è stato tratto a giudizio sono prescritti trattandosi di fatti
concernenti il traffico di sostanze stupefacenti nella forma dell’ipotesi
di lieve entità di cui all’art. 73, co. 5, d.p.r. n. 309/90, commessi tra
l’anno 2002 e l’anno 2003.
Sul punto, rileva il collegio come i giudici del merito abbiano
considerato i fatti ascritti all’imputato quali ipotesi riconducibili alla
fattispecie criminosa di cui all’art. 73, co. 5, d.p.r. n. 309/90, di recente riqualificata dal legislatore (d.l. 23.12.2013, n. 146) quale ipotesi autonoma di reato (punita con una pena edittale rideterminata, a
seguito del d.l. 20 marzo 2014, n. 36 convertito con modificazioni con
la legge 16 maggio 2014, n. 79, nella reclusione da sei mesi a quattro

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anni e nella multa da euro 1.032 a euro 10.329), rispetto
all’alternativa interpretazione, in precedenza consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass., Sez. 4, n. 3557/2012, Rv.
252671), incline a configurarla quale circostanza attenuante
dell’ipotesi base di cui al primo comma del medesimo art. 73.
Al riguardo, questa stessa corte di cassazione ha altresì sancito
come, con l’art. 2 del d.l. 23.12.2013, n. 146, il legislatore abbia configurato l’ipotesi di cui all’ad 73, co. 5, cit., quale autonoma figura di
reato, come tale idonea a imporre, anche retroattivamente,
l’applicazione del termine prescrizionale pari a sei anni (estensibile a
sette anni e mezzo per effetto delle eventuali interruzioni), a norma
dell’art. 157 c.p. (cfr. Cass., Sez. 6, 8.1.2014, r.g. n. 37783/2012, Cassanelli).
Ciò posto, rilevato che il ricorso proposto non appare manifestamente infondato, né risulta affetto da profili d’inammissibilità di
altra natura, occorre sottolineare, in conformità all’insegnamento ripetutamente impartito da questa Corte, come, in presenza di una
causa estintiva del reato, l’obbligo del giudice di pronunciare
l’assoluzione dell’imputato per motivi attinenti al merito si riscontri
nel solo caso in cui gli elementi rilevatori dell’insussistenza del fatto,
ovvero della sua non attribuibilità penale all’imputato, emergano in
modo incontrovertibile, tanto che la relativa valutazione, da parte del
giudice, sia assimilabile più al compimento di una ‘constatazione’,
che a un atto di ‘apprezzamento’ e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (v. Cass., Sez.
Un., n. 35490/2009, Rv. 244274).
E invero, il concetto di ‘evidenza’, richiesto dal secondo comma dell’art. 129 c.p.p., presuppone la manifestazione di una verità
processuale così chiara e obiettiva, da rendere superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi così in qualcosa di più di quanto la legge
richiede per l’assoluzione ampia, oltre la correlazione a un accertamento immediato (cfr. Cass., Sez. 6, n. 31463/2004, Rv. 229275).
Da ciò discende che, una volta sopraggiunta la prescrizione del
reato, al fine di pervenire al proscioglimento nel merito dell’imputato
occorre applicare il principio di diritto secondo cui ‘positivamente’
deve emergere dagli atti processuali, senza necessità di ulteriore accertamento, l’estraneità dell’imputato a quanto allo stesso contestato,
e ciò nel senso che si evidenzi l’assoluta assenza della prova di colpevolezza di quello, ovvero la prova positiva della sua innocenza, non

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rilevando l’eventuale mera contraddittorietà o insufficienza della
prova che richiede il compimento di un apprezzamento ponderato tra
opposte risultanze (v. Cass., Sez. 2, n. 26008/2007, Rv. 237263).
Tanto deve ritenersi non riscontrabile nel caso di specie, in cui
questa Corte – anche tenendo conto degli elementi evidenziati nelle
motivazioni della sentenza impugnata – non ravvisa alcuna delle ipotesi sussumibili nel quadro delle previsioni di cui al secondo comma
dell’art. 129 c.p.p..
Ne discende che, ai sensi del richiamato art. 129 c.p.p., la sentenza impugnata va annullata senza rinvio per essere i reati contestati
estinti per prescrizione.
Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché i reati sono estinti per prescrizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13.6.2014.

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