Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32109 del 20/05/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 32109 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da :
NENCI ANNA RITA N. IL 25.08.1972;
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI FIRENZE in data 25.10.2013;
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI, udite le
conclusioni del PG in persona del dott. Giulio Romano che ha chiesto il rigetto del
ricorso. E’ presente l’avvocato Denarosi Daniela del foro di Firenze, difensore di
fiducia della ricorrente la quale conclude riportandosi ai motivi di ricorso

RITENUTO IN FATTO
1. Con l’impugnata sentenza la Corte d’appello di Firenze, in parziale riforma della
sentenza emessa dal Tribunale di Arezzo – sezione distaccata di Montevarchi- in
data 18 dicembre 2009, appellata da Nenci Anna Rita e Neri Mauro, revocava le
statuizioni civili, confermando nel resto la gravata sentenza che aveva ritenuto
la Nenci ed il Neri responsabili del reato di omicidio colposo loro ascritto,
condannandoli alla pena di giustizia. Era stato loro contestato “il reato di cui
all’art. 589 c.p. perché la Nenci Anna Rita, quale medico specialista ginecologo
accettante della signora De Los Angeles Chiara Grazia Maria presso l’U.O. di
Ostetricia e Ginecologia del Presidio Ospedaliero di Santa Maria alla Gruccia di
Montevarchi alle ore 14,21 del 21 settembre 2007, medico di turno in reparto
fino alle ore 20,00 dello stesso giorno, nonché medico responsabile del turno
notturno ed assistente al parto della suddetta paziente ed alle fasi successive, il
Neri quale medico specialista ginecologo di turno dalle ore 20,00 del 21
settembre 2007 alle ore 6,00 del 21 settembre 2007 assistente al travaglio ed
al parto della De Los Angeles nonché alle fasi ad esso successive, per colpa
consistita in generica negligenza, imprudenza, imperizia ed, in particolare:
entrambi avendo contribuito con le condotte di seguito descritte, ad aumentare
i fattori di rischio di rottura spontanea dell’utero – effettivamente verificatasi in
epoca post partum- data la preesistenza, nella paziente, di circostanze

Data Udienza: 20/05/2014

predisponenti, quali la multiparità ed il peso del nascituro; la Nenci quale
medico accettante e di guardia sino alle ore 20,00 del 21 settembre 2007
avendo disposto la somministrazione di ossitocina dalle ore 15,45 del predetto
giorno, nonostante tratta vasi di paziente multipara, non diabetica ed in una
situazione ostetrica non ben definibile come travaglio iniziale; la Nenci sino alle
ore 20,00 ed il Neri dalle ore 20,00 in poi avendo omesso, nonostante il
tracciato effettuato tra le 19,10 e le 19,45 del giorno 21 settembre 2007 avesse
rilevato una risposta contattile uterina patologica (tachisistolia) allia
somministrazione di ossitocina, di interrompere o quanto meno di ridurre la
somministrazione del farmaco; il Neri quale medico di turno nella fase di
espulsione di feto, avendo atteso per 1 ora e 28 minuti l’espulsione spontanea
del nascituro, omettendo di provvedere, superata la durata media di 30 minuti
necessari per la fase espulsiva di una pluripara, quale era la paziente,
all’esecuzione di un taglio cesareo o di un parto vaginale operativo; entrambi
quali medici ginecologi assistenti la paziente nelle fasi immediatamente
successive al parto, avendo adottato nell’affrontare l’emorragia post partum
intervenuta a seguito della predetta rottura dell’utero, una intempestiva
condotta terapeutica e, nella specie, avendo iniziato la somministrazione di una
terapia trasfusionale solo alle ore 23 e 30 del 21 settembre 2007, nonostante
l’imponente emorragia verificatasi già dopo il secondamento avvenuto alle ore
22.40 circa e malgrado i primi dati di laboratorio rilevati alle ore 23.06 avessero
riportato valori di emoglobina compatibili con la perdita di 2/3 del patrimonio
eritorocitario, così consentendo, nel pregresso periodo di inerzia terapeutica, il
verificarsi nella paziente di un imponente squilibrio emodinamico, in presenza
del quale ogni approccio terapeutico non era più praticabile, cagionavano la
morte di De Los Angeles Chiara Grazia Maria, conseguita a seguito di shock
ipovolemico, emorragico da rottura d’utero spontanea incompleta.
2. Avverso tale decisione ricorre la Nenci a mezzo del proprio difensore,
censurando la gravata sentenza per violazione di legge in relazione agli artt.
40, 41, 42 e 43 c.p.. e mancanza e manifesta e/o contradditorietà della
motivazione; la violazione dell’art. 521 comma 2 c.p.p. in relazione all’art. 178
lett. c) c.p.p., chiedendo altresì l’annullamento della sentenza impugnata ai
sensi e per gli effetti dell’art. 609 comma 2 c.p.p. in relazione alla necessità di
applicazione della legge penale successiva più favorevole in materia di
responsabilità
professionale
dell’esercente
le
professioni
sanitarie,
sopravvenuta nelle more del ricorso per cassazione, avuto specifico riguardo
alla previsione di cui all’art. 3 d.l. 13 settembre 2012 n. 158, convertito in
legge 8 novembre 2012, n. 189
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. L’impugnata sentenza ha confermato il giudizio di penale responsabilità
dell’odierna ricorrente ritenendo infondata la già dedotta violazione
del
principio di correlazione tra accusa e sentenza (in relazione alla effettuazione
da parte della Nenci della cd. manovra di Kristeller, condotta secondo la tesi
della difesa non contestata in sede di imputazione né successivamente) per
essersi la imputata venuta a trovare, attraverso l’iter del processo, nella
condizione concreta di difendersi anche in ordine alle “manovre manuali di
spinta” sia pure non espressamente indicate nel capo di imputazione. Ha poi
ritenuto che la somministrazione di ossitocina era controindicata nel caso di
specie perché le condizioni della gestante (sesti gravida quarti para, non ancora
giunta al termine di una gravidanza decorsa in modo del tutto fisiologico) e
l’assenza (risultante dal tracciato cardiotocografico iniziato alle 14,19 del 21
settembre 2007) di attività uterina a ritmo regolare ed elevata intensità)
lasciavano ritenere che al momento del suo ingresso in ospedale la De Los
Angeles fosse fuori travaglio e comunque detta somministrazione era
sconsigliata dal sospetto di masocromia fetale. Ha aggiunto che l’esito del
tracciato cardiotogografico avrebbe altresì dovuto indurre la Nenci a sospendere
la somministrazione di ossitocina o almeno a ridurne e non ad aumentarne il
dosaggio. Ha infine ritenuto colpevole il ritardo della Nenci nel disporre la

terapia trasfusionale onde ripristinare il volume ematico circolante.
Con il secondo motivo, da esaminarsi tuttavia preliminarmente, in ragione
della natura del vizio lamentato si reitera l’eccezione di violazione del principio
di correlazione tra accusa e sentenza. Secondo la ricorrente non sarebbe
condivisibile il principio di diritto seguito dalla Corte territoriale non essendo
stata l’imputata posta nelle condizioni di esplicare pienamente le proprie
difese,non convincendo la considerazione che per ciò basti la generica
contestazione di un comportamento colposo, essendo dovere precipuo
dell’accusa descrivere con una certa puntualità il fatto addebitato.
Siffatte deduzioni della ricorrente non appaiono coerenti al contenuto sul punto
della decisione impugnata che non ha comunque fatto riferimento alla colpa
generica pure nella specie contestata (cfr. comunque a riguardo, Sez. 4, n.
51516 del 21/06/2013, Rv. 257902, secondo cui, in tema di reati colposi, non
sussiste la violazione del principio di correlazione tra l’ accusa e la sentenza di
condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata
come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto
contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della
colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto
esercizio del diritto di difesa ), ma ha escluso che in concreto si siano verificate
lesioni del diritto di difesa (lesioni dalla ricorrente solo assertivamente
denunciate). Sul punto peraltro questa Corte ha recentemente affermato che
l’obbligo di correlazione tra accusa e sentenza è violato non da qualsiasi
modificazione rispetto all’accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la
modificazione dell’imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato:
la nozione strutturale di “fatto” va coniugata con quella funzionale, fondata
sull’esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che
il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un
potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere
del giudice) risponde all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per
un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia
potuto difendersi.
Ciò posto vanno comunque ricordati gli ulteriori principi a riguardo ribaditi dai
giuidici di legittimità. Secondo le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n.
36551 del 15/07/2010, Carrelli, Rv. 248051) per aversi mutamento del fatto
occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della
fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla
legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da
cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti di difesa; ne consegue che
l’indagine volta ad accertare la violazione del principio di correlazione tra
imputazione contestata e sentenza non può esaurirsi nel mero confronto
puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia
di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato,
attraverso l’iter del processo, si sia venuto a trovare nella condizione concreta
di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione. Ad ulteriore specificazione è
stato affermato che, a fondamento del principio di correlazione tra
l’imputazione contestata e la sentenza sta l’esigenza di assicurare all’imputato
la piena possibilità di difendersi in rapporto a tutte le circostanze rilevanti del
fatto che è oggetto dell’imputazione. Ne discende che il principio in parola non
è violato ogni qualvolta siffatta possibilità non risulti sminuita. Pertanto, nei
limiti di questa garanzia, quando nessun elemento che compone l’accusa sia
sfuggito alla difesa dell’imputato, non si può parlare di mutamento del fatto e il
giudice è libero di dare al fatto la qualificazione giuridica che ritenga più
appropriata alle norme di diritto sostanziale. In altri termini, quindi, siffatta
violazione non ricorre quando nella contestazione, considerata nella sua
interezza, siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato
ritenuto in sentenza (Sez. 5, n. 2074 del 25/11/2008, Rv. 242351; Sez. 4, n.
10103 del 15/01/2007, Rv. 236099; Sez. 6, n.34051 del 20/02/2003,
Rv.226796; Sez. 5, n. 7581 del 5/05/1999, Graci, Rv. 213776; Sez. 6, n. 9213

4.

del 26/09/1996, Rv. 206208; Sez. 6, n. 7955 del 21/04/1995„ Rv. 202572;
Sez. 1, n. 2421 del 26/01/1995, Rv. 200474; Sez. 2, n. 5907 dell’11/04/1994,
Rv. 197831). Sussiste, invece, violazione del principio di correlazione della
sentenza all’accusa formulata quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi,
rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità
sostanziale, nel senso che si sia realizzata una vera e propria trasformazione,
sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito nei confronti
dell’imputato, posto, così, di fronte – senza avere avuto alcuna possibilità di
difesa – ad un fatto del tutto nuovo (Sez. 3, n. 9916 del 12/11/2009,
Rv.246226; Sez. 3, n. 818 del 6/12/2005„ Rv.233257; Sez.6, n.21094 del
25/02/2004, Rv. 229021; Sez. 3, n. 3471 del 9/02/2000, Rv. 216454; Sez. 4,
n. 9523 del 18/09/1997, Rv.208784; Sez. 6, n. 10362 del 30/09/1997,
Rv.208872). Il fatto, di cui agli artt. 521 e 522 c.p.p., va poi definito
come l’accadimento di ordine naturale dalle cui connotazioni e circostanze
soggettive ed oggettive, geografiche e temporali, poste in correlazione tra loro,
vengono tratti gli elementi caratterizzanti la sua qualificazione giuridica. Per
fatto diverso deve, perciò, intendersi un dato empirico, fenomenico, un
accadimento, un episodio della vita umana, cioè la fattispecie concreta e non la
fattispecie astratta, lo schema legale nel quale collocare quell’episodio della vita
umana (Sez. 1, n. 28877 del 4/06/2013, Rv. 256785; Sez. U, n. 16 del
19/06/1996, Rv. 205619). La violazione del suddetto principio postula, quindi,
una modificazione – nei suoi elementi essenziali – del fatto, inteso appunto
come episodio della vita umana, originariamente contestato. Si ha, perciò,
mancata correlazione tra fatto contestato e sentenza quando vi sia stata
un’immutazione tale da determinare uno stravolgimento dell’imputazione
originaria (Sez. U., n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051).
5. Con riferimento poi al primo motivo di gravame, lo stesso per molti aspetti è
da ritenersi inammissibile mirando sostanzialmente ad una diversa
ricostruzione del fatto e ad una rivalutazione degli elementi di prova.
Non sussiste, poi, in particolare il dedotto travisamento della prova.
A tal riguardo, giova premettere i limiti del controllo di legittimità quando ci si
trovi di fronte, come nel caso di specie, a una doppia sentenza di condanna :le
sentenze di primo e secondo grado vanno innanzitutto apprezzate nel loro
complesso, onde valutarne la conformità al diritto ed alla logica, sì da poterne
considerare la tenuta in sede di legittimità. Parimenti, va ricordato che il vizio di
“travisamento della prova”, si verifica quando nella motivazione si fa uso di un
dato di conoscenza considerato determinante, ma non desumibile dagli atti del
processo, o quando si omette la valutazione di un elemento di prova decisivo
sullo specifico tema o punto in trattazione. Tale vizio può essere fatto valere,
però, solo nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato quella di
primo grado, ma non nel caso in cui la sentenza di appello abbia confermato
l’anteriore decisione (cosiddetta “doppia conforme” appunto), posto in questo
caso il limite posto dal principio devolutivo, che non può essere valicato, con
coeva intangibilità della valutazione di merito del risultato probatorio, se non
nell’ipotesi in cui il giudice di appello abbia individuato – per superare le censure
mosse al provvedimento di primo grado – atti o fonti conoscitive mai prima
presi in esame, ossia non esaminati dal primo giudice (Sezione 6, 10 maggio
2007, Contrada).
Il giudice di legittimità è e rimane (anche alla luce della rinnovata formulazione
dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato dalla L. 20 febbraio
2006, n. 46), pur sempre giudice della correttezza della motivazione e, quindi,
(solo) del modo con cui una determinata affermazione è veicolata a supporto
della decisione, dovendo limitare il proprio vaglio alla spiegazione razionale
fornita in proposito dal giudice di merito cui spetta di fornire una spiegazione
convincente che sia in grado di reggere – qui nell’ottica dell’al di là di ogni
ragionevole dubbio ai fini della condanna – il vaglio della logicità e della
persuasività. Vaglio che si risolve nel caso di specie in termini positivi.
Infatti è immediatamente apprezzabile la non manifesta illogicità della

7.

6.

sentenza, che ha proceduto ad un’attenta disamina di tutti gli elementi sottesi
al caso in esame.
Anche l’ultimo motivo, con il quale si invoca il novum normativo costituito dalla
previsione di cui all’art. 3 d.l. 13 settembre 2012 n. 158, convertito in legge 8
novembre 2012, n. 189, che limita la responsabilità in caso di colpa lieve,
comunque dedotto in termini di assoluta genericità, è infondato .
Non può infatti essere utilmente evocata l’applicazione delle linee guida ( che
peraltro non vengono nemmeno espressamente indicate), contenendo esse solo
regole di perizia e non afferiscono ai profili di negligenza e di imprudenza.
Come sottolineato da questa Corte, infatti, (Sez. 4, n. 11493 del 24/01/2013,
Rv. 254756, la citata disposizione obbliga, infatti, a distinguere fra colpa lieve
e colpa grave, solo limitatamente ai casi nei quali si faccia questione di essersi
attenuti a linee guida e solo limitatamente a questi casi viene forzata la nota
chiusura della giurisprudenza che non distingue fra colpa lieve e grave
nell’accertamento della colpa penale. Tale norma non può, invece, involgere
ipotesi di colpa per negligenza o imprudenza, perché, come sopra sottolineato,
le linee guida contengono solo regole di perizia (v. sulla natura delle linee guida
e sulla loro rilevanza nelle scelte terapeutiche del medico e nella valutazione del
giudice, Sez. 4, 11 luglio 2012, n. 35922, Ingrassia).
Il gravame va invece accolto con riferimento al denunciato vizio di motivazione
in ordine alla dedotta insussistenza del nesso eziologico. A fronte di un
espresso motivo di appello sul punto, infatti, la Corte territoriale, si è limitata
alla seguente considerazione, peraltro limitata a solo parte degli addebiti
contestati : l’evidente rapporto causale esistente tra il mancato tempestivo
ripristino del volume ematico circolante e degli altri costituenti ematici ed il
mortale deterioramento delle condizioni generali della paziente non può essere
messo in dubbio dalla incertezza del risultato di un trattamento chirurgico non
effettuato a causa proprio di quel mancato ripristino, mentre era quanto mai
pregnante e decisivo nel caso di specie, proprio, l’esame del rapporto di
causalità.
Come noto, la Sezioni Unite di questa Suprema Corte (Cass. Sez. Un., n.
30328, dell’11.9.2002, Franzese, Rv. 222138) hanno fugato le incertezze in
ordine alla utilizzabilità di generalizzazioni probabilistiche nell’ambito del
ragionamento causale. Nella verifica dell’imputazione causale dell’evento
occorre dare corso ad un giudizio predittivo, sia pure riferito al passato: il
giudice si interroga su ciò che sarebbe accaduto se l’agente avesse posto in
essere la condotta che gli veniva richiesta. Detta valutazione risulta di maggiore
complessità in riferimento alle fattispecie omissive ovvero ogni qual volta la
condotta, anche se attiva, risulti qualificata dalla rilevanza causale di condizioni
negative dell’evento, in rapporto al contenuto omissivo della colpa. In tali
fattispecie, qualificate dalla presenza di condizioni negative dell’evento, si rende
indispensabile la costruzione di decorsi causali ipotetici: il giudice, procedendo
alla ricostruzione controfattuale del nesso causale, deve interrogarsi in ordine
all’evitabilità dell’evento, per effetto delle condotte doverose mancate che,
naturalisticamente, costituiscono un “nulla”. La giurisprudenza di legittimità ha
anche enunciato il carattere condizionalistico della causalità omissiva, indicando
il seguente itinerario probatorio: il giudizio di certezza sul ruolo salvifico della
condotta omessa presenta i connotati del paradigma indiziario e si fonda anche
sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico, da effettuarsi ex post sulla
base di tutte le emergenze disponibili; e culmina nel giudizio di elevata
“probabilità logica”. Con specifico riferimento all’accertamento del nesso di
derivazione causale, la Suprema Corte ha evidenziato che “le incertezze
alimentate dalle generalizzazioni probabilistiche possono essere in qualche caso
superate nel crogiuolo del giudizio focalizzato sulle particolarità del caso
concreto quando l’apprezzamento conclusivo può essere espresso in termini di
elevata probabilità logica” (Cass. Sez. 4, n. 43786 del 17.9.2010, Rv. 248943).
Ai fini dell’imputazione causale dell’evento, pertanto, il giudice di merito deve
sviluppare un ragionamento esplicativo che si confronti adeguatamente con le

Così deciso nella camera di consiglio del 20 maggio 2014,
IL CONSIGLIERE ESTENSORE

IL PRESIDENTE

particolarità della fattispecie concreta, chiarendo che cosa sarebbe accaduto se
fosse stato posto in essere il comportamento richiesto dall’ordinamento.
Sempre le SS.UU. si sono espresse nel senso che “poiché il giudice non può
conoscere tutte le fonti intermedie attraverso le quali la causa produce il suo
effetto, né procedere ad una spiegazione fondata su una serie continua di
eventi, l’ipotesi ricostruttiva formulata in partenza sul nesso di condizionamento
tra condotta umana e singolo evento potrà essere riconosciuta fondata soltanto
con una quantità di precisazioni e purché sia ragionevolmente da escludere
l’intervento di un diverso ed alternativo decorso causale. Nel caso di specie, le
sintetiche affermazioni dalla Corte territoriale nei termini anzidetti non risulta
aderente alle evidenziate coordinate interpretative.
8. La gravata sentenza va pertanto annullata con rinvio ad altra sezione della
Corte d’appello di Firenze.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello
di Firenze,

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