Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32100 del 11/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 32100 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA

SENTENZA
Sul ricorso proposto da :
1. LORENZINI EDOARDO N. IL 13.02.1936
2. PANNELLA ROBERTO N. IL 09.07.1948
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA in data 19 giugno 2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. Francesco Maria Ciampi;
udite le conclusioni del PG in persona del dott. Vincenzo Geraci che ha chiesto il rigetto del
ricorso e dell’avvocato Francesco Damiani per la parte civile Distercoop a r.l. chge ha chiesto
dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi; in subordine il rigetto degli stessi
RITENUTO IN FATTO
1. Lorenzini Edoardo e Panella Roberto vennero rinviati a giudizio per rispondere del reato
di cui al D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, artt. 43, comma 1, lett. a), e art. 46, comma
1, lett. b), per aver il primo quale procacciatore di fatto ed il secondo quale procuratore
commerciale della soc. SER EXIMPLTD, sottratto al pagamento dell’accisa 101.140 litri
anidi di alcol etilico ceduti dal produttore Distercoop s.c.a r.l. di Faenza alla Ser
Eximpltd per essere destinati alla esportazione in Bielorussia ma oggetto di svincolo
irregolare mediante l’utilizzo di documenti amministrativi di accompagnamento (DAA) e
delle bollette di esportazione (EX1), tutti recanti false attestazioni di uscita dalla
comunità europea ed in particolare con impronte false dei timbri della dogana tedesca
di Cottbus.
Il giudice del tribunale di Ravenna, con sentenza del 23 febbraio 2004, dichiarò gli
imputati colpevoli dei reati loro ascritti e li condannò alla pena ritenuta di giustizia oltre
al risarcimento del danno in favore delle parti civili ministero dell’economia e società

Data Udienza: 11/12/2013

Il solo Lorenzini proponeva ricorso per Cassazione.
La Suprema Corte con sentenza n. 13704 del 2006 accoglieva il ricorso, annullando la
sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Bologna.
Rilevato poi che il ricorso per Cassazione proposto dal Lorenzini non era fondato su
motivi esclusivamente personali, per cui il suo accoglimento giovava e si estendeva
anche al coimputato non ricorrente Panella Roberto.

Con sentenza in data 19 giugno 2012 la Corte d’Appello di Bologna, decidendo in sede
di rinvio, dichiarava non doversi procedere nei confronti degli appellanti in ordine al
reato di cui all’art. 43 d.lgs.vo n. 504 del 1995, confermando nel resto la sentenza di
primo grado nei loro confronti emessa dal Tribunale di Ravenna.
Rilevava la Corte territoriale che ogni tentativo posto in essere reiteratamente sia dalla
stessa Corte che dalla Procura Generale di reperire le risultanze delle rogatorie
internazionali era risultato vano, tanto da legittimare il dubbio che le stesse non fossero
mai state neppure disposte e che quindi la stessa Corte aveva pure vanamente offerto
la possibilità agli appellanti di provare con lo strumento dagli stessi ritenuto idoneo (le
dette rogatorie) che l’alcool era stato immesso al consumo fuori dall’ambito della
Comunità Europea e, quindi, che era stata superata e vinta la presunzione relativa,
bene delineata dalla sentenza della Corte di Cassazione. In ultima analisi – secondo la
sentenza impugnata- non era stato acquisito alcun elemento idoneo a ritenere vinta la
presunzione posta dalla legge e pertanto occorreva ritenere integrati i reati contestati,
con la precisazione, quanto al reato di cui all’art. 43 Digs.vo n. 504/1955 che era
decorso il termine prescrizionale massimo.
2. Avverso tale decisione ricorrono gli imputati lamentando con un primo motivo la
mancata assunzione di una prova decisiva ex art. 606 comma 1 lett. d) c.p.p., rilevando
come le rogatorie in questione erano state effettivamente disposte come emerso dalle
produzioni del Pubblico Ministero all’Ufficio del GIP, richiamate dalla sentenza di primo
grado; che la mancata risposta da parte degli organi cui erano state richieste non
poteva ritorcersi contro gli imputati; che la presunzione in questione aveva natura di
presunzione semplice che perdeva tutto il proprio valore a favore della presunzione di
innocenza degli stessi ricorrenti.
Con un secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b) c.p.p. per
inosservanza od erronea applicazione della legge penale, richiamandosi la natura di
violazione formale affermata dalla Suprema Corte nella sentenza di rinvio ed il disposto
di cui all’art. 10 comma 3 della legge n. 212 del 2000, laddove stabilisce che le sanzioni
non sono irrogate quando la violazione si traduce in mera violazione formale senza
alcun debito di imposta.
RITENUTO IN DIRITTO
3. I ricorsi sono infondati e vanno pertanto rigettati, essendosi il giudice di rinvio attenuto
ai rilievi di questa Corte.

Distercoop.
La Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 22 febbraio 2003 confermò la sentenza
di primo grado. Osservò, tra l’altro, la corte d’appello: a) che non poteva accogliersi la
richiesta di istruttoria dibattimentale per il compimento di rogatorie già promosse dal
pubblico ministero al fine di accertare che le partite di alcol erano state effettivamente
vendute in Bielorussia; b) che, poiché a causa dei timbri falsi apposti sui DAA vi era
stato uno svincolo irregolare, ciò aveva comportato la automatica decadenza dal regime
agevolato, a prescindere dalla effettiva destinazione della merce; c) che infatti il D.Lgs.
26 ottobre 1995, n. 504, art. 43 sanziona non solo la sottrazione al pagamento
dell’accisa ma anche la sottrazione allo accertamento della debenza del tributo, sicché si
tratta di un reato formale per il quale è irrilevante accertare se l’alcol è stato poi
venduto all’interno o all’esterno della UE.

La sentenza annullata aveva ricavato dal complesso disposto del D.Lgs. 26 ottobre
1995, n. 504, art. 7, comma 1 , che dispone la decadenza dal regime agevolato per
qualsiasi irregolarità relativa alle vicende della sostanza, a prescindere dalla sua
effettiva destinazione, e dall’art. 43 stesso decreto l’esistenza di una presunzione iuris
ed de iure secondo cui la falsificazione dei documenti di accompagnamento e di
esportazione comporterebbe automaticamente l’immissione della merce al consumo nel
territorio dell’UE e l’obbligo di pagamento del tributo, e quindi integrerebbe di per sè
sola il reato di cui all’art. 43 cit., senza alcuna possibilità di fornire la prova contraria,
ossia che la merce ha invece raggiunto un paese esterno all’Unione e che la
falsificazione ha avuto l’effetto e la finalità di evadere non l’imposta di fabbricazione
comunitaria ma l’imposta doganale del paese esterno destinatario.
Secondo invece i giudici di legittimità le disposizioni su cui la corte d’appello aveva
fondato la sussistenza di una presunzione assoluta di responsabilità penale, non solo
non prevedeva in realtà alcuna presunzione in ordine all’obbligo di pagamento o in
ordine alla sussistenza del reato, ma anzi sanciva espressamente che essa non
riguardava comunque l’esercizio dell’azione penale e quindi la sussistenza o la
configurabilità di eventuali reati. La realtà- come può leggersi nella motivazione della
citata decisione- è che una presunzione è posta non dal richiamato art. 7, comma 1,
ma dall’art. 2, comma 2, lett. a), il quale dispone che l’accisa è esigibile all’atto della
immissione in consumo del prodotto nel territorio dello Stato e che si considera
immissione in consumo, tra l’altro, lo svincolo, anche irregolare, da un regime
sospensivo. Detta presunzione ha tuttavia carattere relativo (iuris tantum), e quindi
deve ritenersi superata qualora sussista una prova contraria. A parte ogni altra
considerazione, infatti, sembrerebbe contraria ai nostri principi costituzionali ed a quelli
comunitari una norma da cui derivasse che il reato in questione, che punisce la
sottrazione della merce al pagamento dell’accisa, dovrebbe considerarsi integrato anche
qualora vi fosse la prova che in realtà la merce ha avuto una concreta destinazione
estera e che quindi non vi era nessuna accisa da pagare (e che, conseguentemente,
non vi è stata nessuna sottrazione al suo pagamento).

4. La sentenza impugnata si è conformata a tale impostazione, non negando la richiesta
rinnovazione dell’istruttoria ed offrendo ai ricorrenti, stante l’impossibilità di reperire le
risultanze delle rogatorie in questione, la possibilità di provare con lo strumento dagli
stessi ritenuto idoneo che l’alcol era stato immesso al consumo fuori dall’ambito della
Comunità Europea e che quindi era stata superata e vinta la presunzione relativa che
implica sostanzialmente. La motivazione della sentenza impugnata sul punto appare
coerentemente argomentata e non manifestamente illogica, determinando in buona
sostanza la delineata presunzione relativa una inversione dell’onere della prova.
Spettava quindi ai richiedenti dimostrare quanto sostenuto con l’adeguata allegazione di
concreti elementi di fatto, dai quali potesse desumersi in modo chiaro e univoco il
superamento della presunzione in questione. Del resto nella specie detta presunzione si
fonda su presupposti particolarmente evidenti essendo pacifico che l’alcol in questione
viaggiasse in regime sospensivo e che si fosse verificato uno svincolo irregolare dal
regime stesso, mediante l’apposizione di falsi timbri della dogana tedesca sui relativi
documenti.

evidenziare che nell’annullare la precedente sentenza della Corte
Giova, infatti,
d’Appello di Bologna, i giudici di legittimità hanno evidenziato erroneità della predetta
pronuncia nella parte in cui aveva rigettato la richiesta di rinnovazione dibattimentale al
fine di acquisire e completare le rogatorie con paesi esteri che erano state promosse dal
pubblico ministero e comunque al fine di acquisire la prova che i carichi di alcol in
questione erano stati effettivamente destinati e trasportati in paesi esterni alla Unione
europea, perché l’attività stessa sarebbe stata comunque irrilevante dal momento che si
trattava di reato puramente formale da ritenersi ugualmente sussistente anche qualora
fosse stata provata la effettiva destinazione della merce in paesi esterni all’Unione.

5. All’infondatezza del ricorso segue, per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento
delle spese processuali oltre alla rifusione in favore della parte civile Distercoop s.r.l.
delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi C 2.500,00 oltre accessori
come per legge
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali oltre alla
rifusione delle spese del presente giudizio in favore della parte civile Distercoop s.r.l.
che liquida in complessivi C 2.500,00 oltre accessori come per legge
IL CONSIGLIERE E ENSORE
(dott. Francesco rvlà,r. Ciampi)

IL P
(dott. Ca

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
IV Sezione Penale

IDENTE
useppe Brusco)

Di scarsa intelligibilità appare il secondo motivo di gravame che sembra prendere erroneamente- spunto da un passaggio della sentenza n. 13704/2006 di questa Corte
secondo cui : “… ad ulteriore conferma che, contrariamente a quanto ritenuto dalla
corte d’appello, in caso di dubbio debba preferirsi una interpretazione che non
attribuisca al reato in questione carattere di reato o di violazione meramente formale,
può altresì ricordarsi la L. 27 luglio 2000, n. 212 art. 10, comma 3, (recante
Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), il quale dispone che “le
sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione … si traduce in una mera
violazione formale senza alcun debito di imposta”.~} antrariamente a quanto
sostenuto in ricorso, evidentemente il richiamo operato al principio generale di diritto
tributario è stato effettuato al solo fine di individuare la corretta interpretazione delle
disposizioni del D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, e non quale affermazione nel caso di
specie dell’insussistenza di alcun debito di imposta. Gli stessi giudici di legittimità hanno
peraltro chiarito nella citata sentenza di annullamento cheh, ” stabilito dunque che, se
pure di reato formale possa parlarsi, esso deve comunque intendersi nel senso che la
presunzione posta dalle disposizioni in esame è comunque una presunzione relativa,
che si applica solo quando non sussista la prova di una inesistenza dell’obbligo di
pagamento dell’accisa per essere state le merci effettivamente destinate ad uno Stato
esterno alla comunità”. Valgono pertanto le osservazioni di cui sopra in merito al
mancato superamento della presunzione.

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