Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32092 del 02/07/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 32092 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: IANNELLI ENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
EPICOCO ANTONIO N. IL 23/06/1974
avverso l’ordinanza n. 124/2014 TRIB. LIBERTA’ di LECCE, del
25/02/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ENZO IANNELLI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 02/07/2014

-1- Tramite difensore Epicoco Antonio, già in custodia cautelare in carcere per delitto di omicidio
pluriaggravato ex artt. 110,575,577 n. 3 c.p. e 7 1. n. 203/1991 ai danni di tale Lippolis Nicolai,
ricorre per cassazione avvero l’ ordinanza 25/28.2.2014 del tribunale di Lecce che, in sede di
riesame, previa conferma della gravità degli indizi in merito al delitto come contestato, sostituiva la
misura cautelare come sopra adottata ritenendo depotenziate, ma non annullate, le esigenze cautelari
specie quelle funzionali al pericolo di reiterazione del delitto. La gravità degli indizi, secondo i
giudici di merito, si trarrebbe dalla concordanza delle dichiarazioni di due collaboratori di giustizia,
tali Belfiore Tommaso Emanuele e Fornaro Fabio, riscontrate da una idonea, sostanzialmente
comune, causale: eliminare una partecipe della associazione che, al di là delle specifiche
trasgressioni, violava sistematicamente le ferree regole dell’ organizzazione criminale.
-2- Cinque ed articolate le ragioni di doglianza costitutive dei motivi di ricorso che richiamano l’art.
606 lett. b) c) ed ) codi c di rito, di seguito indicate:
a) violazione del cd. ” giudicato cautelare”, per essere stato una pregressa ordinanza, emessa il
26.9.2013 dal gip del tribunale di Lecce, annullata dal tribunale del riesame in data 8.11.2013 ,senza
che il provvedimento fosse stato oggetto di ricorso. I giudici del riesame avevano ritenuto
inutilizzabili le dichiarazioni accusatorie di due dei tre collaboratori di giustizia per la violazione
delle norme di garanzia poste a tutela della genuinità delle deposizioni, a nulla valendo la
deposizione di un ulteriore verbale del collaboratore Belfiore Tommaso Emanuele reso
successivamente, il 26.4.2001, nel rispetto delle norme che lo presiedevano e che avrebbe dovuto
del caso sostenere il ricorso per cassazione, omesso, avverso il primo provvedimento coercitivo
cautelare.
b) inutilizzabilità delle dichiarazioni accusatorie rese il 17.11.2010 da Fornaro Fabio per essere
stato, in un diverso procedimento, condannato per la medesima associazione a delinquere di cui
faceva parte l’ Epicoco, e per essere stata la sua deposizione assunta senza le formalità prescritte
dall’art, 64 comma 3 lett. c) cp.p., in particolare senza essere avvertito che le dichiarazioni rese
potevano comportare la sua responsabilità per il delitto di fala testimonianza.
c)violazione dell’art. 192 comma 3 c.p.p. per aver valorizzato la deposizione di Fornaro Fabio
malgrado l’ omessa valutazione di altri elementi di prova che ne confermassero la attendibilità.
d) omesso valutazione della attendibilità del teste Fornaro che depone su asserite circostanze
riferitegli da Caforio Simone, le cui dichiarazioni i giudici di merito hanno dichiarato inutilizzabili,
nonchè dallo steso imputato che però le nega in modo assoluto, proclamando la propria innocenza.
e) violazione dell’ art. 16 quater 1. n. 82/1991, introdotto dall’art., 14 1. n. 45/2001 per essere state
rese le dichiarazioni dei collaboratori, Fornaro Fabio e Caforio Simone, a distanza di molto tempo ben oltre i 180 giorni- dall’ inizio della loro collaborazione.
f) mancanza ed illogicità manifesta, infine, in merito alla gravità degli indizi, tratti dalle
dichiarazioni del collaboratore Tommaso Belfiore, che non ha partecipato all’esecuzione del
delitto, dichiarazioni rese in quattro occasioni, contraddittorie tra loro e che rinvengono la loro fonte
da quanto riferitogli dallo stesso Epicoco. La difesa infine rileva la debolezza del riscontro costituto
secondo i giudici di merito dalle dichiarazioni rese da altro collaboratore Fornaro Fabio, rese però
dieci anni dopo quelle di Belfiore.
-3- Infondato il ricorso e da respingere quindi nel contesto proprio del giudizio di legittimità.
La prima eccezione difensiva centrata sulla preclusione derivante da un precedente giudizio su una
una prima obbligata
pregressa ordinanza cautelare per lo stesso fatto richiede
puntualizzazione.Invero il divieto di un secondo giudizio (art. 649 cod. proc. pen.), nel caso in cui
per il medesimo fatto sia stata pronunciata sentenza (ovvero decreto penale) irrevocabile, è
inapplicabile, sia pure in via soltanto analogica, al procedimento che abbia ad oggetto

Letti gli atti, la ordinanza impugnata, il ricorso;
Udita la relazione del cons. Enzo Jannelli;
Udite le conclusioni del S. Procuratore generale,Giulio Romano, per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore dell’imputato, avv.to Cavallo Cinzia, che ne chiede l’accoglimento.

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misure cautelari, in cui non esiste e non può esistere alcuna preclusione formata da
precedenti giudicati, dato che l’apprezzamento delle esigenze cautelari dipende da circostanze
necessariamente mutevoli nel tempo. Parimenti l’ ipostatizzazione del giudizio sulla gravità degli
indizi come sulle prove non regge più di fronte alla emersione di elementi di novità o di
contraddizione che ne minano il relativo valore euristico. Da qui la rimovibilità in generale del
giudicato a fronte dei limiti connaturati ai valori della verità processuale su cui si fonda. Del resto il
limite ontologico connaturato al giudicato penale mina la sua stabilità per definizione condizionata,
in certi limiti, al contenuto di verità della cognizione giudiziale in funzione della garanzia di libertà
e dignità della persona. In particolare, per quel che in questa sede rileva, la preclusione processuale
determinata dal cosiddetto “giudicato cautelare” opera su due piani, il primo incentrato sulla finalità
di impedire la mera rivalutazione del materiale probatorio già compiutamente esaminato — a cui
corrisponde, nella prospettiva del giudicato vero e proprio, il divieto imposto dall’art. 637 comma 3
c.p.p.-, il secondo sull’imposizione dell’obbligo di una specifica motivazione circa l’idoneità
intrinseca degli elementi di novità da apprezzare sul piano della gravità indiziaria — esigenza ,per il
giudicato correlato alla sentenza, formalizzata dalle prescrizioni di cui agli artt. 630 e 631 c.p.p.-.
Ora, sul punto, la difesa sottovaluta senza alcuna giustificazione il richiamo proprio del giudice del
riesame all’ interrogatorio del collaboratore di giustizia Belfiore Tommaso Emanuele reso in data
26.4.2011 nel pieno rispetto di tutte le norme procedurali di garanzia dettate dalla 1. n.63/2001 nel
corso del quale l’ interrogato ha confermato e ribadito tutto quelle che era stato travasato nei
precedenti interrogatori del 28.9., del 5, 6 e 23.10.2000, ritenuti inutilizzabili, per la violazione delle
garanzia difensive, dal precedente ” giudicato cautelare”. Ne consegue l’ elemento di novità,
devastante il pregresso compendio indiziario, tanto da tracimare i suoi confini e legittimare il nuovo
giudizio.
-4- Parimenti infondata, in diritto, è la seconda censura che denuncia l’ inutilizzabilità delle
dichiarazioni del secondo collaboratore di giustizia, Forriaro Fabio. Invero sia che il predetto
dovesse considerarsi quale testimone, come sostiene la difesa, per essere stato dequalificato, nel
processo a suo carico, l’associazione a delinquere di stampo mafioso — la medesima di cui faceva
parte l’ imputato oggi ricorrente – in associazione semplice e quindi per essere intervenuto un
“giudicato parziale” in ordine per l’appunto alla dequalificazione- giudicato divenuto irrevocabile il
10.1.2012- ovvero, considerarsi come imputato in un reato collegato, dal punto di vista probatorio, a
norma dell’art. 371 comma 2 lett. b) c.p.p., come ritiene il tribunale del riesame, 1 omesso
avvertimento prescritto dalla lett. c) c.p.p. sarà causa di invalidità — in specie di nullità relativa
Mainiero ed
secondo Cass. Sez. 1, 11.2/1.3.2010, Visentin, Rv. 246329; Sez. 3, 11.6/5.10.2004,
a., Rv. 229614- la quale non potrà essere eccepita in mancanza di un interesse all’ osservanza della
disposizione citata. La norma tende a tutelare l’imputato o l’indagato nel procedimento connesso dal
rischio che, deponendo nel processo come testimone obbligato a dire la verità, ovvero anche solo
come imputato arrivi inconsapevolmente ad autoincriminarsi per il reato connesso o collegato e
comunque a deporre contro se stesso. Tale interesse, se deponesse come testimone, per il
dichiarante, potrà profilarsi solo quando l’ inosservanza delle formalità prescritte per la deposizione
dovesse tradursi in una imputazione di falsa testimonianza, nella specie insussistente, mentre non
potrà mai un tale interesse coagularsi nella persona dell’ imputato contro cui sono rese le
dichiarazioni, per essere la disposizione formulata e prescritta nel solo interesse del dichiarante.
Invero la giurisprudenza ha costantemente chiarito che l’inutilizzabilità di una prova ai sensi dell’art.
191 c.p.p., comma 1, consegue soltanto nei casi in cui quella prova sia stata assunta “in violazione
dei divieti stabiliti dalla legge”, e non nei casi in cui l’assunzione della prova, pur consentita, sia
stata assunta senza l’osservanza delle formalità prescritte: in questi ultimi casi, può trovare
applicazione soltanto il diverso istituto delle nullità (Cass., Sez. 1^, 11.2.2008, n. 8082), la cui
rilevazione, trattandosi di nullità relativa, potrà essere eccepita solo da colui nel cui interesse è stata
prevista.
-5- Ancora destituite di fondamento sono la terza e quarta censura che prospettano la” solitudine”
della dichiarazione di Fornaro Fabio: essa è invece in buona compagnia, perché collimante con la

deposizione di altro collaboratore, Belfiore Tommaso Emanuele, e con il rilevante elemento di
riscontro costituito dalla causale dell’ omicidio, comune ad entrambe le deposizioni. Né, in questa
fase procedimentale, riveste rilievo decisivo il riferimento delle dichiarazioni del collaborante a
quanto appreso dall’ imputato ovvero da altra persona, nella specie Caforio Simone, le cui
dichiarazioni non sono state ritenute utilizzabili per violazione delle garanzie formali che avrebbero
dovuto presiederle. Invero in tema di testimonianza indiretta, non sono estensibili alla fase delle
indagini preliminari i divieti di testimonianza de auditu previsti per il dibattimento, in quanto, nella
fase delle indagini, non si raccolgono prove, ma si assicurano fonti di prova, con la conseguenza
che dette dichiarazioni hanno valore di indizi della sussistenza di un reato, la cui gravità è valutata
dal giudice di merito. E nel caso di specie, i giudici della cautela hanno dimostrato di avere
efficacemente e sapientemente controllato, oltre all’attendibilità del dichiarante, anche quella della
fonte di riferimento, pervenendo, attraverso la comparazione delle molteplici versioni travasate
nella scena procedimentale,ad una scelta ragionata privilegiando le versioni del collaborante,
dandone contezza con adeguata motivazione
-6- Ancora impossibile da condividere l’ ulteriore ragionamento difensivo che punta alla
inutilizzabilità assoluta delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia a distanza di tempo,
dopo 180 giorni, dall’ inizio della loro collaborazione. E’ pur vero che alla stregua dell’art.14
comma 9 1. n. 45/2001- che ha implementato l’art. 16 quater 1. n. 82/1991- le dichiarazioni rese dal
collaboratore, oltre il termine di 180 giorni dalla manifestazione di volontà di collaborare, “..non
possono essere valutate ai fini della prova dei fatti in essa affermati contro le persone diverse dal
dichiarante salvo i casi di irreperibilità”. Ma sta di fatto che della disposizione le Sez. Un.
25.9/2008/13.1.2009, Magistris, RV. 241882, valorizzando la lettera della legge” ai fini della
prova” e l’ argomento della irragionevolezza della disposizione ove fosse interpretata nel senso di
amputare della conoscenza di elementi determinanti la delicata conduzione delle indagini
preliminari, hanno dato una interpretazione che ne circoscrive l’efficacia alla fase dibattimentale
ordinaria, salvaguardando così negli altri contesti, investigativi e giudiziali, 1″ operatività delle
dichiarazioni predette rese oltre il termine.
-7- L’ ultima censura difensiva, che mira al cuore del ragionamento giudiziale, denuncia di carenza
motivazionale, sui versanti della attendibilità intrinseca ed estrinseca dei collaboratori di giustizia,
la decisione, ma senza costrutto: alcun vizio logico si annida, specie in una fase improntata ai
valori della probabilità ovvero seria possibilità e non della certezza processuale, in un discorso
giustificativo che analizza puntualmente l’attendibilità del collaboratore Belfiore che si auto-accusa
dell’ omicidio, quale mandante, dell’ Epicoco, che rende dichiarazioni etero-accusatorie collimanti
con quelle rese da Fornaro Fabio, entrambe poi esplicative della causale dell’ omicidio. E se
qualche particolare è divergente nelle due dichiarazioni- come l’ uso del piccone insieme all’ uso
della pistola per cagionare la morte della persona offesa- il dato si presenta del tutto periferico,
spiegabile per la labilità dei ricordi a distanza di circa venti anni dall’ esecuzione del delitto,
commesso in Montenegro, certo non incidente, quel dato, sul nocciolo duro delle due dichiarazioni
che collocano la responsabilità dell’ imputato in un cerchio impenetrabile a censure di legittimità.
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. la parte privata che ha proposto il ricorso deve essere condannata al
pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
Così deciso in Roma il 2.7. 014.

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