Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32087 del 08/07/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 32087 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da
CORTI COSTANTE Giuseppe, n. il 9.3.1950;
avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano del 18.4.2013;
Sentita la relazione del Consigliere Luigi Lombardo;
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Elisabetta Cesqui,
che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore Avv. Erica Dumontel, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 18/4/2013, la Corte di Appello di Milano
confermò la sentenza del Tribunale di Varese, con la quale Corti Costante
Giuseppe fu condannato alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione ed
Euro 2.000,00 di multa per i reati di cui ai capi: a) art. 648 cod. pen.; b)
art. 640, 61 n. 2 cod. pen.; d) art. 648 cod. pen.; e) art. 640, 61 n. 2
cod. pen.
2. Avverso tale sentenza l’imputato propose ricorso per cassazione,
per mezzo del suo difensore di fiducia, formulando i seguenti motivi:

Data Udienza: 08/07/2014

2.1. motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria in ordine alla
ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo dei delitti di ricettazione di
cui ai capi a) e d), nonché violazione di legge in relazione all’art. 648 cod.
pen. per la mancanza di prova certa circa la commissione del reato da
parte dell’imputato. Evidenziò, al riguardo, il ricorrente di avere disposto
dei titoli alla luce del sole e in un caso di aver proceduto ad indicare nella

2.2. motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria in ordine alla
ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo dei delitti di truffa di cui ai
capi b) ed e) nonché violazione di legge in relazione all’art. 640 cod. pen.
per la mancanza di prova certa circa la commissione dei reati da parte
dell’imputato. Eccepì in particolare che, nella condotta del ricorrente, era
assente qualsiasi artifizio o raggiro volto ad indurre in errore la vittima.
2.3. omessa o insufficiente motivazione con riferimento al
trattamento sanzionatorio, che sarebbe stato determinato senza tener
conto di tutti i criteri di cui all’art. 133 cod. pen.
3. Con sentenza del 29.8.2013, la Sezione feriale di questa Corte
rigettò il ricorso.
4. Avverso tale sentenza, propose ricorso straordinario il difensore
dell’imputato, lamentando la nullità della sentenza di questa Corte, per
difetto di notifica dell’avviso di udienza a ciascuno dei difensori di fiducia
dell’imputato che avevano proposto distinti ricorsi per cassazione.
5. Con sentenza dell’1.4.2014, la seconda Sezione di questa Corte ha
revocato la sentenza impugnata, disponendo la fissazione di una nuova
udienza per la trattazione del ricorso per cassazione di cui sopra (par. 2);
tale ricorso è stato chiamato all’odierna udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO

6. Il ricorso va dichiarato inammissibile.
6.1. Il primo motivo sottopone alla Corte censure di merito,
inammissibili in sede di legittimità.
Il ricorrente, infatti, critica – sotto mentite spoglie – la valutazione
delle prove da parte dei giudici di merito e le conclusioni cui essi sono
pervenuti in ordine alla sua responsabilità penale. La valutazione delle
prove, tuttavia, è riservata in via esclusiva all’apprezzamento

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parte relativa al beneficiario del titolo il proprio nominativo.

discrezionale del giudice di merito e non è sindacabile in cassazione; a
meno che ricorra una mancanza o una manifesta illogicità della
motivazione, ciò che – nel caso di specie – deve escludersi.
Le Sezioni Unite di questa Corte, sul punto, hanno avuto occasione
più volte di precisare che «L’indagine di legittimità sul discorso
giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il

espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico
apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza
possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice
di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro
rispondenza alle acquisizioni processuali. L’illogicità della motivazione,
come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da
risultare percepibile “ictu ocu/i”, dovendo il sindacato di legittimità al
riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando
ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni
difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente
incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo
logico e adeguato le ragioni del convincimento» (Cass., sez. un., n. 24
del 24.11.1999 Rv 214794; Sez. un., n. 47289 del 24/09/2003 Rv.
226074).
Nel caso di specie, i giudici di merito hanno chiarito, con dovizia di
argomenti, le ragioni della loro decisione.
In particolare, la Corte territoriale ha valorizzato il comportamento
assunto dall’imputato in relazione all’accertato possesso degli assegni in
questione, ritenuto sintomatico di una volontà di occultare la provenienza
degli assegni; ha tenuto conto delle dichiarazioni dei testi, che hanno
affermato di avere ricevuto gli assegni dal ricorrente e hanno aggiunto
che il credito era poi rimasto insoluto avendo ricevuto dal Corti solo
vaghe promesse. Con tale argomentare la sentenza impugnata si è
adeguata al costante orientamento della giurisprudenza di legittimità
secondo il quale, ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione, è
necessaria la consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto,
senza che sia peraltro indispensabile che tale consapevolezza si estenda

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sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per

alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e
di luogo del reato presupposto, potendo anche essere desunta da prove
indirette, allorché siano tali da generare in qualsiasi persona di media
levatura intellettuale, e secondo la comune esperienza, la certezza della
provenienza illecita di quanto ricevuto. Ed in tal senso questa Corte ha
più volte affermato che la conoscenza della provenienza delittuosa della

anche dal comportamento dell’imputato che dimostri la consapevolezza
della provenienza illecita della cosa ricettata, ovvero dalla mancata – o
non attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la
quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento,
logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (Sez. 2 n. 25756 del
11/6/2008, Nardino, Rv. 241458; Sez. 2 n. 29198 del 25/5/2010,
Fontanella, Rv. 248265).
I giudici di merito, inoltre, rispondendo alle specifiche doglianze
mosse con l’atto di appello, si sono fatti carico di analizzare il rapporto
intercorso fra il ricorrente e Broggi Sergio, nonché le contraddizioni
emerse nelle dichiarazioni di quest’ultimo, pervenendo, con
argomentazioni prive di contraddittorietà o illogicità manifeste, alla
conclusione che entrambi i soggetti fossero consapevoli della provenienza
delittuosa dei titoli.
Non si ritiene, peraltro – per ovvi motivi – di riportare qui
integralmente tutte le suddette argomentazioni, sembrando sufficiente al
Collegio far rilevare che le stesse non sono manifestamente illogiche; e
che, anzi, l’estensore della sentenza ha esposto in modo ordinato e
coerente le ragioni che giustificano la decisione adottata, la quale perciò
resiste alle censure del ricorrente sul punto.
6.2. Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile. Trattasi di
questione di fatto affrontata in modo esaustivo nella sentenza di appello
(anche attraverso il rinvio alla decisione di primo grado), che – in linea
con la risalente, ma condivisibile giurisprudenza di questa Corte – ha
ravvisato, nel caso di specie, la ricorrenza dell’elemento materiale e di
quello psicologico del delitto di truffa (Sez. 2 n. 367 del 7/3/1966, Rv.
101566). Del resto la Corte territoriale ha ricostruito i rapporti economici

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cosa può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi

tra l’imputato da un lato e il Mescia e il Vilcifridi dall’altro in modo
ragionevole e plausibile, evidenziando l’intento truffaldino dell’imputato
(p. 8 e 9 della sentenza di appello); e considerando altresì la firma di
girata che il Corti avrebbe apposto sui titoli, ritenendola però – in quanto
praticamente illeggibile – ininfluente al fine di escludere il dolo del delitto
di cui all’art. 640 cod. pen.

giudici di merito è inammissibile in sede di legittimità, quando – come nel
caso di specie – la motivazione della sentenza è esente da vizi logici e
giuridici.
6.3. Infine, anche il terzo motivo di ricorso, relativo al trattamento
sanzionatorio, non può avere ingresso in sede di legittimità.
Il giudice di appello ha ritenuto adeguata la pena determinata dal
giudice di primo grado considerandola bene perequata rispetto al reale
disvalore del fatto, rilevando di non potere concedere le attenuanti
generiche alla luce della serialità delle condotte poste in essere
dall’imputato e della personalità dello stesso, già gravato da una
precedente condanna definitiva per il delitto di bancarotta fraudolenta. E
sul punto, va ricordato il principio espresso più volte da questa Corte
secondo cui la concessione o meno delle circostanze attenuanti generiche
è oggetto di un giudizio di fatto, insindacabile in cassazione, ove motivato
in modo congruo e non contraddittorio (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008,
Caridi, Rv. 242419; Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv.
249163); questa stessa Corte ha peraltro statuito che, nel motivare il
diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario
che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o
sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che
egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti,
rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 6, n.
34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244).
Anche il profilo della censura col quale si deduce un preteso contrasto
di giudicati è manifestamente infondato.
La Corte distrettuale si è fatta carico di esaminare (a p. 8 della
sentenza di appello) la relativa doglianza, pure sollevata nei motivi di

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La critica che il ricorrente fa alla valutazione delle prove compiuta dai

gravame, evidenziando come la vicenda fattuale in relazione alla quale il
Corti era stato assolto si riferisse ad altri assegni (sia pure facenti parte
del medesimo libretto sottratto alla medesima persona offesa) e come la
pronuncia di assoluzione (per non avere commesso il fatto) fosse stata
determinata dalla ritenuta insufficienza dell’unica prova acquisita in quel
processo in ordine al possesso da parte dell’imputato dei titoli in

stata considerata irrilevante rispetto ai fatti oggetto del giudizio di cui al
presente ricorso, in presenza peraltro di un ben diverso quadro
probatorio.
7. Alla stregua di quanto sopra, il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve
essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della
somma di euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione
Penale, addì 8 luglio 2014.

questione. Di conseguenza, ragionevolmente, la suddetta decisione è

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