Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32083 del 09/05/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 32083 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: CAMMINO MATILDE

Data Udienza: 09/05/2014

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
DI SERAFINO Sergio n. Roma 6 settembre 1964
avverso la sentenza emessa il 26 settembre 2012 dalla Corte di appello di Roma

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Matilde Cammino;
udita la requisitoria del pubblico ministero, sost. proc. gen. dott. Massimo Galli, che ha
chiesto il rigetto del ricorso;
osserva:

ti,

Considerato in fatto
1. Con sentenza in data 26 settembre 2012 la Corte di appello di Roma ha
parzialmente riformato la sentenza emessa il 18 marzo 2008 dal Tribunale di Tivoli,
sezione distaccata di Palestrina, all’esito del giudizio abbreviato, nei confronti di Di
Serafino Sergio dichiarando estinti per prescrizione i reati contravvenzionali allo stesso
ascritti (artt.697, 712 e 707 cod.pen.) e rideterminando la pena, per il residuo reato di

luglio 2005, in anni uno, giorni venti di reclusione ed euro 1.600,00 di multa.
2. Avverso la predetta sentenza il Di Serafino, tramite il difensore, ha proposto
ricorso per cassazione deducendo l’erronea applicazione della legge penale, con
riferimento all’art.379 cod.pen., e l’illogicità della motivazione in ordine alla mancata
qualificazione del fatto come favoreggiamento reale sulla base della ritenuta
inattendibilità della versione difensiva (dell’avere l’imputato detenuto i beni solo in
custodia per conto di un amico, poi deceduto, senza perseguire un vantaggio
personale e pur nella consapevolezza della provenienza illecita dei beni); del resto non
sarebbero ostativi alla configurabilità nel caso concreto del delitto di favoreggiamento
reale né l’acquisizione da parte dell’imputato di un vantaggio, né la consapevolezza
che i beni occultati fossero di provenienza illecita.

Ritenuto in diritto
3. Il ricorso è inammissibile.
Il ricorso è del tutto generico e, comunque, fondato su una diversa lettura
degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione la cui valutazione è compito
esclusivo del giudice di merito ed è inammissibile in questa sede, essendo stato
comunque l’obbligo di motivazione esaustivamente soddisfatto nella sentenza
impugnata con valutazione critica di tutti gli elementi offerti dall’istruttoria
dibattimentale e con indicazione, pienamente coerente sotto il profilo logico-giuridico,
degli argomenti a sostegno dell’affermazione di responsabilità.
Nella motivazione della sentenza impugnata si qualifica “intrinsecamente poco
credibile e del tutto sfornita di un positivo riscontro”

la versione difensiva e si

evidenzia che l’imputato (il quale, peraltro, nello scritto autografo depositato in
udienza si era dichiarato colpevole) aveva solo indicato nome e cognome della persona
per conto della quale avrebbe a suo dire custodito la merce, persona peraltro
deceduta poco più di un mese prima del rinvenimento dei veicoli di provenienza

(,

ricettazione di ciclomotori e macchine agricole accertato in Gallicano nel Lazio il 19

3

delittuosa, senza alcun intento di profitto. Tale valutazione di merito, adeguatamente
motivata sul punto della mancanza di concreti e affidabili elementi di riscontro alla tesi
difensiva di un’attività solo di favoreggiamento messa in atto nei confronti della
persona deceduta, è sufficiente per giustificare la qualificazione giuridica del fatto
come ricettazione. Infatti nell’ipotesi di occultamento di un oggetto costituente
provento di reato, la distinzione tra il delitto di favoreggiamento e il delitto di
ricettazione è individuabile nel dolo specifico (fine di procurare a sé o ad altri un

2005 n.47171, Properzi; sez.VI 21 febbraio 1994 n.3407, Corrias). Nel caso specifico
la ritenuta inattendibilità della versione difensiva, priva di elementi di riscontro,
equivale alla mancanza di giustificazioni sul possesso dei beni di provenienza
delittuosa, di valore certamente non indifferente trattandosi di macchine agricole e
ciclomotori, la cui ingiustificata ricezione (una volta esclusa, per mancanza di prova, la
tesi del favoreggiamento reale) comportava per l’imputato un profitto.
Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa
delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in
euro 1.000,00.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Roma 9 maggio 2014

il cons. est.
I Presidente

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profitto) richiesto per il secondo e non per il primo reato (Cass. sez.II 6 dicembre

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