Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32070 del 26/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 32070 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: POSITANO GABRIELE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
TRIESTE
nei confronti di:
DEL MISSIER STEFANO N. IL 26/01/1973
avverso la sentenza n. 949/2012 GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE
di UDINE, del 31/07/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

– C.P

Rigtra-A.

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Data Udienza: 26/05/2014

Udit i fensor Avv.;

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RITENUTO IN FATTO
1. Il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Trieste propone ricorso per
cassazione contro la sentenza di patteggiamento emessa dal G.u.p. presso il Tribunale
di Tolmezzo in data 31 luglio 2013, nei confronti di De Misser Stefano con la quale è
stata applicata la pena concordata tra le parti di anni uno e mesi otto di reclusione,
sospesa, con confisca per equivalente di beni immobili e mobili registrati, nei limiti del
profitto del reato di cui al capo E). L’imputato era chiamato a rispondere di una pluralità

alla S.a.s. Premicec, della quale era socio accomandatario (capi A, C, D) e quello
dell’impresa individuale Carnia Tecno Fin, della quale era titolare (capi B, C, D), a
seguito del fallimento della prima e del De Misser in proprio, entrambi dichiarati, con la
medesima sentenza, dal Tribunale di Tolmezzo in data 19 maggio 2011.
2. Con il ricorso il Procuratore Generale censura la continuazione fallimentare fra i reati di
bancarotta ascritti all’imputato, ritenuta dal giudice a quo, trascurando il fatto che tali
fatti non sono stati commessi nell’ambito del medesimo dissesto fallimentare, avendo,
invece, interessato due diverse procedure concorsuali, con ciò violando la disposizione
di legge prevista dall’articolo 219, secondo comma della legge fallimentare. Secondo il
ricorrente trattandosi di distinte serie di reati fallimentari, l’aggravante prevista
dall’articolo 219 della legge fallimentare avrebbe potuto essere riconosciuta all’interno
dei rispettivi fallimenti, mentre l’ordinaria disposizione di cui all’articolo 81 secondo
comma, avrebbe potuto operare nei rapporti tra le due serie di fallimenti, relativi a
differenti società.
3. Con parere del 19 dicembre 2013 il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione
conclude chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.
4. Con la memoria depositata il 15 maggio 2014 il difensore di De Misser Stefano, avv.
Emanuela Rosanda, precisa che, nel caso di specie, non ricorrerebbero i presupposti
evidenziati nel ricorso poiché la dichiarazione di fallimento è stata emessa con un’unica
sentenza civile, depositata il 19 maggio 2011, che ha dichiarato il fallimento della

di fatti di bancarotta commessi nell’ambito di due differenti fallimenti, quello relativo

società e di De Misser Stefano, quale socio accomandatario, nonché del predetto De
Misser in proprio, con conseguente fallimento della ditta individuale “Carnia Tecno Fin”
di De Misser Stefano, oggetto del capo di imputazione B), della seconda ipotesi del capo
C) e D), nonché del capo F). Sotto altro profilo rileva che è stata dichiarata
l’incostituzionalità della norma oggetto del capo di imputazione E), per cui, trattandosi
di questione rilevabile d’ufficio, dovrebbe essere ridefinito l’aumento per la
continuazione esterna.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Come correttamente rilevato dal Procuratore Generale, la determinazione della pena
non è stata effettuata correttamente, pervenendo a un’ipotesi di illegalità della pena,

7)-(

che implica l’esclusione della validità dell’accordo concluso fra le parti nel processo e
ratificato dal giudice.
2. Secondo i principi affermati dalla Cassazione a Sezioni Unite nella sentenza del 27
gennaio 2011 n. 21039, la disciplina speciale del concorso di reati prevista dall’articolo
219, comma secondo, n. 1, legge fallimentare, trova applicazione in relazione a diversi
fatti di bancarotta, purché relativi alla medesima procedura concorsuale.
Conseguentemente, ricorrendo nel caso di specie due distinte serie di reati fallimentari

219 per ciascuna serie di reati e, tra le stesse, in presenza dei requisiti di legge,
avrebbe potuto essere riconosciuto il vincolo della continuazione esterna ai sensi della
disposizione ordinaria di cui all’articolo 81, comma secondo, codice penale. Sotto tale
profilo appare irrilevante la circostanza, da ultimo dedotta nella memoria difensiva del
15 maggio 2014, dell’unicità della decisione civile di fallimento. Risulta
documentalmente che con sentenza civile del 19 maggio 2011 è stato dichiarato il
fallimento, sia della S.a.s. Precimer di De Misser Stefano & C., sia ~ del socio
accomandatario illimitatamente responsabile e legale rappresentante, De Misser
Stefano, gUe….11trnèTiti – di queWetim4 in proprio. A tale ultima declaratoria è
connesso il fallimento della ditta individuale Carnia Tecno Fin, di De Misser Stefano,
oggetto delle condotte di cui al capo B), per i pagamenti eseguiti a favore di se stesso
per il tramite di tale ditta individuale e per le condotte poste in essere anche quale
titolare dell’impresa individuale ai sensi dell’articolo 217 della legge fallimentare (capo
C) e 216 medesima legge, (capo D). Tale circostanza costituisce questione irrilevante
rispetto al fatto oggettivo che le condotte incriminate non sono state commesse
nell’ambito del medesimo dissesto fallimentare, avendo, invece, interessato due diverse
procedure concorsuali, con la conseguenza che l’aggravante prevista dall’articolo 219
della legge fallimentare avrebbe potuto operare solo all’interno dei rispettivi fallimenti.
3. La decisione, pertanto, va ar
ullata sul punto.

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4. Quanto al secondo profilo occorre prendere atto che la Consulta con decisione n. 80 del
16 aprile 2014 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 10-ter del decreto
legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (relativa alla nuova disciplina dei reati in materia di
imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno
1999, n. 205), nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre
2011, punisce l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base
alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo di
imposta, a euro 103.291,38. Si tratta di questione rilevabile d’ufficio che incide sulla
determinazione della pena finale avendo ad oggetto il reato contestato al capo di
imputazione sub E), riguardanhyomesso versamento della imposta sul valore aggiunto
per l’importo di euro 53.853, commesso il 27 dicembre 2010.
5. Conseguentemente va disposto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
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la pena avrebbe dovuto essere determinata applicando l’aggravante di cui all’articolo

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Udine
per il corso ulteriore.
Così deciso in Roma il 26/05/2014

Il Consigliere estensore

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