Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3207 del 20/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 3207 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto daPelusoSavatore, nato il 16.6.1961, avverso la sentenza
della Corte di appello di Lecce del 20.11.2012. Sentita la relazione della causa
fatta dal consigliere Fabrizio Di Marzio; udita la requisitoria del sostituto
procuratore generale Fulvio Baldi, il quale ha concluso chiedendo che il ricorso
sia dichiarato inammissibile. Udito il difensore dell’imputato, avv. Dionesalvi
Salvatore il quale si riporta ai motivi.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello diLecce ha parzialmente
confermato la sentenza del tribunale della medesima città in data 19 dicembre
2011 appellata da Peluso Salvatore escludendo parzialmente l’aggravante
dell’art. 644 comma 5 0 n. 4 cod. pen., limitatamente ai fatti relativi
all’anticipazione dell’importo di n. 2 assegni postdatati di euro 6000 ed euro
6500, riducendo proporzionalmente la pena inflitta e confermando nel resto la
decisione impugnata.
Ricorre per cassazione personalmente l’imputato lamentando vizio di
motivazione e violazione di legge per avere la corte territoriale fondato il

Data Udienza: 20/12/2013

proprio giudizio sulla penale responsabilità esclusivamente sulle dichiarazioni
rese dalla persona offesa Panarese Marco, prive di riscontri ed
intrinsecamente non credibili, svolgendo una dettagliata critica in fatto alle
pagine 3-4 del ricorso; e inoltre per essere stata riconosciuta l’aggravante di
cui all’art. 644 comma 5 0 n. 4 cod. pen. per la parte del rapporto usurario
svoltasi nel mentre la persona offesa era divenuta imprenditrice, con ciò non
considerando che il rapporto medesimo era sorto mentre la stessa persona

offesa non svolgeva nessuna attività commerciale; inoltre, con riguardo alla
penale responsabilità per il delitto contestato al capo C della imputazione si
rileva come dalla stessa deposizione della persona offesa Fersini Cosimo
emergesse l’insussistenza del fatto delittuoso; infine si contesta il giudizio
sulle circostanze attenuanti generiche, negate e invece secondo la difesa da
concedersi, quantomeno con giudizio di equivalenza rispetto le contestate
aggravanti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Il Collegio ritiene di dovere riaffermare in questa sede il principio, espresso da
un consolidato indirizzo esegetico, e di recente ribadito da Cass. sez. un.
19.7.2012,n. per il quale “le regole dettate dall’art. 192 cod. proc. pen.,
comma 3, non trovano applicazione relativamente alle dichiarazioni della
parte offesa: queste ultime possono essere legittimamente poste da sole a
base dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica,
corredata da idonea motivazione, della loro credibilità soggettiva e
dell’attendibilità intrinseca del racconto (cfr. ex multis e tra le più recenti Sez.
4, n. 44644 del 18/10/2011, F., Rv. 251661; Sez. 3, n. 28913 del
03/05/2011, C, Rv.251075; Sez. 3, n. 1818 del 03/12/2010, dep. 2011, L. C,
Rv. 249136;Sez. 6, n. 27322 del 14/04/2008, De Ritis, Rv. 240524). Il vaglio
positivo dell’attendibilità del dichiarante deve essere più penetrante e rigoroso
rispetto a quello generico cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi
testimone, di talchè tale deposizione può essere assunta da sola come fonte di
prova unicamente se venga sottoposta a detto riscontro di credibilità
oggettiva e soggettiva. Può essere opportuno procedere al riscontro di tali
dichiarazioni con altri elementi qualora la persona offesa si sia anche costituita
parte civile e sia, perciò, portatrice di una specifica pretesa economica la cui

/

soddisfazione discenda dal riconoscimento della responsabilità dell’imputato

(Sez. 1, n. 29372 del 24/06/2010, Stefanini, Rv. 248016; Sez. 6, n. 33162 7
del 03/06/2004, Patella, Rv. 229755).Costituisce, infine, principio

2

incontroverso nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione che la
valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una
questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio
motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di
legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni (cfr.
ex plurimis Sez. 6, n. 27322 del 2008, De Ritis, cit.; Sez. 3, n. 8382 del
22/01/2008, Finazzo, Rv. 239342; Sez. 6, n. 443 del 04/11/2004, dep. 2005,

Rv. 227493; Sez. 3, n. 22848 del 27/03/2003, Assenza, Rv. 225232)”.
La corte territoriale – tenendo doverosamente ed accuratamente conto di tutti
gli elementi emersi nel corso del processo – ha spiegato, con

iter

argomentativo esaustivo, logico, correttamente sviluppato e saldamente
ancorato all’esame delle singole emergenze processuali, le ragioni per le quali
le dichiarazioni rese dalla persona offesa dal reato sono da ritenersi
intrinsecamente e oggettivamente attendibili e trovano univoci e significativi
elementi di convergenza negli altri elementi investigativi acquisiti: come
emerge in particolare nella dettagliata motivazione resa alle pagine 13-14
della sentenza impugnata. Ne discende la manifesta infondatezza della
doglianza.
Quanto alla sussistenzadell’aggravante dell’art. 644 comma 5 0 n. 4 cod. pen.,
correttamente la corte territoriale rileva come, in gran parte,i1 rapporto
usurario si sia svolto nel mentre la persona offesa esercitava una attività di
impresa, cosicché il delitto deve ritenersi aggravato dalla esposte circostanza
(a nulla, ovviamente, potendo rilevare che il segmento iniziale della condotta
fosse stato posto in essere nei confronti di soggetto non imprenditoriale,
rilevando ai fini della configurazione del reato non il momento genetico del
rapporto usurario ma la realtà stessa di quel rapporto, ampiamente protrattosi
ai danni di un imprenditore).Ne discende l’infondatezza del motivo.
L’argomentazione sulla penale responsabilità per il delitto contestato al capo C
della imputazione è svolta alle pagine 14-15 della sentenza impugnata, in cui
si rileva che la difesa nell’atto di appello si è limitata a contestare il
coinvolgimento dell’imputato nell’attività criminosa, ma tale coinvolgimento è
emerso chiaramente dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa e captate
dagli inquirenti, peraltro dettagliatamente riportate in sentenza.Ne discende la
manifesta infondatezza della doglianza.
L’inammissibilità del motivo sulla circostanze attenuanti generiche è dato dalla
impeccabile motivazione con cui la corte territoriale ha negato il

Zamberlan, Rv. 230899; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, dep. 2004, Pacca,

riconoscimento in ragione della pessima personalità dell’imputato (che risulta
gravato da numerosi precedenti penali, anche specifici, oltre che per gravi
reati associativi – tra cui quello di associazione di stampo mafioso) e della
oggettiva gravità dei fatti accertati nel processo.
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
PQM

Così deliberato il 20.12.2013

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrenteal pagamento delle spese processuali.

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