Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32059 del 16/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 32059 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: BRUNO PAOLO ANTONIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto dal

Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli

averso l’ordinanza del Tribunale del riesane di quella stessa città, emessa il 5
giugno 2013, nei confronti di Amirante Valeria, Granata Raffaele, Noventi Teresa,
Granata Elisa e Granata Sabatino;

letto il ricorso ed il provvedimento impugnato;
sentita la relazione del consigliere dr. Paolo Antonio BRUNO.
sentite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dr.
Giuseppe Volpe, che ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento
impugnato;
sentiti, inoltre, l’avv. Gennaro Lepre e Massimo Krogh, difensori di Sabatino Granata
(il primo anche nell’interesse di Amirante Valeria, Noventi Teresa, Granata Raffaele
e Granata Elisa), che hanno chiesto l’inammissibilità del ricorso e, in subordine, il
rigetto.

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 16/05/2014

1. Con ordinanza del 16 febbraio 2011 il Tribunale di Napoli, in funzione di
giudice del riesame, annullava il decreto del locale Gip, che, il 13 gennaio di quello
stesso anno, aveva disposto il sequestro preventivo di numerosi beni, tra cui anche
risorse finanziarie affidate a conti correnti bancari, ed immobili, sul presupposto che
gli stessi, ancorché formalmente intestati ad Almirante Valeria, Granata Raffaele
Noventi Teresa e Granata Elisa, fossero, in realtà, nella diretta disponibilità di

ritenuta partecipazione al sodalizio camorristico inteso dan Ma/lardo; b) per il reato
di cui all’art.

12-quinquies d.l. n. 306/1992 con riferimento a dodici condotte

contestate in concorso con i fittizi proprietari; c) per il reato di cui all’art. 374-bis
cod. pen., aggravato ai sensi dell’art. 7 I. n. 203/1992, per falso ideologico in atto
notarile finalizzato alla predisposizione di cospicua provvista finanziaria, da
utilizzare in futuri giudizi.

2. Avverso la pronuncia anzidetta il Procuratore della Repubblica di Napoli ha
proposto ricorso per cassazione e questa Suprema Corte, Quinta Sezione Penale,
con sentenza dell’i giugno 2011, n. 849, ha annullato l’anzidetta ordinanza,
rinviando per nuovo esame al competente giudice del riesame.
Rilevava la pronuncia rescindente che il giudice a quo aveva assunto, come
presupposto dell’annullamento, il venir meno della “mafiosità” del Granata in
quanto, nel procedimento cautelare personale a suo carico, non era stata
riconosciuta la necessaria gravità indiziaria in merito alla contestata sua
appartenenza al clan Mallardo;
a tale ultima conclusione, il Tribunale partenopeo era pervenuto perché l’assunto
accusatorio sul punto si reggeva sulle sole dichiarazioni dei collaboratori di giustizia
Vassallo Gaetano ed Izzo Salvatore;
l’anzidetta deliberazione era, però, contraddittoria in punto di ritenuta
“impermeabilità” ovvero “incomunicabilità” degli indizi nascenti dalle propalazioni
accusatorie di una decina di collaboratori di giustizia e di quelli connessi alla
disponibilità di un ingente patrimonio ingiustificatamente accumulato dall’indagato,
che, invece, avrebbero dovuto essere considerati in una dimensione unitaria e
globale;
l’accumulo ingiustificato di imponente ricchezza, nel settore immobiliare,
imprenditoriale e finanziario, unitamente alla “non abbienza” dei parenti e degli
amici intestatari, era sufficiente ad integrare un quadro indiziario rilevante, ex art.
273 cod. proc. pen., in relazione al reato di cui all’art. 12

quinquies d.l. n.

306/1992;
la dimensione anomala della ricchezza accertata,

gli indiscutibili rapporti con

l’ambiente criminale camorristico denunciato dai collaboratori di giustizia,

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in

Granata Sabatino, indagato: a) per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., per

assenza di convincenti smentite, erano elementi di tale valenza dimostrativa da non
poter essere trascurati ai fini della decisione; né poteva negarsi la sicura qualità di
base indiziaria

in uno con l’insieme delle propalazioni dei collaboratori, le cui

carenze “perdono decisiva rilevanza” se considerate nella “dimensione di frammenti
per un complesso ed uniforme quadro indiziario”.

3. Pronunciando in sede di rinvio, il Tribunale di Napoli, con ordinanza del 27
ottobre 2011, confermava l’annullamento del decreto di prime cure e con esso la

sufficienti indizi in ordine all’ipotizzata partecipazione associativa del Granata, non
essendo attendibili le accuse dei collaboratori di giustizia e non potendo trarsi
elementi significativi dagli accertamenti patrimoniali, in funzione dell’ipotizzata
appartenenza camorristica.

4. Avverso l’anzidetta pronuncia il Procuratore di Napoli ha proposto nuovo
ricorso per cassazione e questa Corte Suprema, Prima Sezione Penale, con sentenza
del 15 novembre 2012, ha nuovamente annullato l’ordinanza impugnata, con rinvio
per un nuovo esame al componente giudice del riesame.
Rilevava questa Corte regolatrice che la precedente pronuncia rescindente
aveva censurato l’inesistenza di un percorso logico idoneo a sorreggere la
precedente decisione del tribunale del riesame, fondata su una valutazione parziale,
incoerente e frammentaria delle esposte risultanze; che l’ordinanza annullata e
quella pronunciata in esito al rinvio avevano in comune la particolarità di avere
annullato il sequestro, previa valutazione della gravità indiziaria e sulla sola base
dell’esito, ritenuto negativo, di tale verifica, ove invece, per indiscusso
insegnamento giurisprudenziale di legittimità, il giudice del riesame avrebbe dovuto
verificare soltanto il fumus commissi delicti ossia l’astratta sussumibilità della
fattispecie nell’ipotizzato paradigma delittuoso; che il giudice del rinvio aveva
sostanzialmente eluso il precetto della stessa Corte di legittimità, in quanto aveva,
nuovamente, preso le mosse dalla parcellare disamina delle numerose dichiarazioni
di collaboratori di giustizia, negandone l’intrinseca consistenza, attendibilità e
convergenza, per poi passare all’indagine patrimoniale, con inversione del percorso
argomentativo suggerito nella pronuncia rescindente. Il giudice a quo aveva,
inoltre, ritenuto che le cospicue risorse economiche dell’indagato avessero una
redditività reale assai superiore a quella dichiarata e che ulteriore fonte di
guadagno fosse costituita dall’intensa attività di abusivismo edilizio – oggetto di
separato giudizio – in concorso con pubblici funzionari corrotti, in un contesto
territoriale, storicamente, oggetto di influenza camorristica, elementi ritenuti, con
palese inversione logica, idonei a neutralizzare il fondamentale indizio
dell’ingiustificato arricchimento. Lo stesso giudice non si era curato, poi, di valutare
3

restituzione dei beni sequestrati. A dire del giudice del rinvio, non esistevano

se le dichiarazioni del dichiarante Vassallo – definite de relato – potessero essere
frutto del flusso di notizie circolanti all’interno dei gruppi criminali operanti in zona
e in un contesto contiguo a quello di supposta appartenenza del Granata; aveva
negato la “convergenza del molteplice” sul rilievo che i collaboratori non avevano
riferito identici fatti, omettendo di considerare che, rispetto ad una condotta
criminosa protratta nel tempo, il quadro indiziario ben può essere integrato da
distinti, purché significativi, segmenti della stessa condotta. Sicché, balzava
evidente la violazione dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen.

meramente apparente, con riferimento agli addebiti di trasferimento fraudolento dei
valori di cui all’art. 12

quinquies di. n. 306/92, che sanzionava la fittizia

intestazione dei beni (non necessariamente di provenienza illecita) “al fine di
eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale”,
facendo peraltro richiamo ad indiscusso insegnamento giurisprudenziale di
legittimità, secondo cui non occorreva che fosse già intrapreso un procedimento di
prevenzione personale, essendo sufficiente il ragionevole convincimento della
possibile adozione di misure di prevenzione reale, donde l’esigenza della fittizia
dismissione dei cespiti al fine di scongiurarne gli effetti. Ebbene, di fronte
all’apparente distribuzione di buona parte della straordinaria ricchezza accumulata
dal prevenuto, in favore di parenti ed amici, peraltro nullatenenti, ed all’accertata
pendenza di giudizi per gravi reati, che ben consentiva all’interessato di prevedere
l’imminente adozione di misure di prevenzione nei suoi confronti, la configurabilità
degli estremi oggettivi e soggettivi della fattispecie incriminatrice era stata esclusa
senza alcuna razionale giustificazione. Le anzidette considerazioni avevano
carattere assorbente di ogni altra ragione di censura.
Andava condiviso, invece, il convincimento del giudice del rinvio in ordine
all’intervenuta prescrizione del reato di cui all’art. 374 bis cod. pen..
Si imponeva, pertanto, l’annullamento dell’impugnata ordinanza con rinvio al
giudice territoriale affinché, in piena libertà di giudizio, in applicazione del principio
di diritto esplicitamente richiamato (in ordine ai presupposti del reato di
trasferimento fraudolento dei valori), valuti la ricorrenza o meno del fumus in ordine
non soltanto al reato associativo, bensì anche a quello di intestazione fittizia nella
titolarità dei beni di cui alla richiesta di sequestro, a tal fine adeguatamente
valutando, globalmente ed in riferimento reciproco, le conoscenze personali dei
collaboratori di giustizia, la oggettivamente amplissima base patrimoniale per cui è
causa ed ogni altra significativa acquisizione istruttoria (tra le quali, di sicura
rilevanza, il rapporto di proporzionalità tra redditualità dei proprietari formali e il
valore dei beni) nonché gli esiti peritali, di consulenza e di PG.

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Soggiungeva il giudice di legittimità che la motivazione in esame era

5. Pronunciando ancor una volta in sede di rinvio, il Tribunale di Napoli, con
l’ordinanza indicata in epigrafe, annullava nuovamente il decreto di sequestro
preventivo emesso dal locale Gip il 13 gennaio 2011, nei confronti delle persone
nominate in rubrica.
Il giudice del rinvio richiamava la propria ordinanza del 4 dicembre 2013 che
aveva escluso la sussistenza di gravi indizi di partecipazione del prevenuto al clan
camorristico Mallardo ed aveva spiegato la ragguardevole disponibilità patrimoniale
del prevenuto anche con i proventi di attività illecita, specialmente nell’ambito di

escludersi la contiguità del prevenuto al contesto affaristico-criminale della zona, da
cui aveva sicuramente tratto vantaggi anche economici (come emergeva
dall’intervenuta condanna per fatti relativi), ciò nondimeno la complessiva
valutazione dell’incerto assetto patrimoniale dello stesso in uno con le valutate
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, impediva di ipotizzare a suo carico la
contestata partecipazione al clan Mallardo ovvero, in ogni caso, altre condotte
penalmente rilevanti. Le conclusioni che avevano portato lo stesso giudice del
riesame ad annullare la misura custodiale nei confronti del prevenuto erano tali da
escludere, pertanto, non solo la sussistenza della gravità indiziaria, ma anche del
fumus commissi delicti,

nell’accezione indicata dalla Corte di legittimità. Le

anzidette conclusioni non consentivano neppure di ravvisare una specifica
fattispecie criminosa, in funzione della quale ipotizzare i presupposti legittimanti
dell’impugnata misura cautelare, in vista di possibile confisca. Il compendio
investigativo non consentiva di ritenere “provato” che i beni oggetto di sequestro
preventivo fossero nell’effettiva disponibilità del ricorrente ovvero fossero,
addirittura, attribuibili ad esponenti del clan, in gran parte dei casi nemmeno
nominativamente indicati dai collaboratori, che avevano assegnato al Granata il
ruolo “generico” di ricidatore per conto del clan ovvero di prestanome. In ogni caso,
non risultavano acquisiti concreti elementi di fatto per ritenere che la mera
pendenza del giudizio per gravi reati (per i quali il Granata risulta irrevocabilmente
condannato alla pena di anni cinque di reclusione) avrebbe consentito
all’interessato di prevedere la proposta di misure di prevenzione nei suoi confronti.
Andava, pertanto, ribadito il giudizio, già espresso con ordinanza del 4 dicembre
2013, in ordine all’impossibilità di configurare anche il delitto di intestazione fittizia
dei beni, contestato al prevenuto ed agli altri ricorrenti.

6. Avverso l’anzidetta pronuncia il Procuratore della Repubblica di Napoli ha
proposto nuovo ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura di seguito
indicate.
Con unico, articolato, motivo si denuncia erronea applicazione della legge
penale sotto distinti profili:
5

rilevanti iniziative di abusivismo edilizio nell’aria flegrea. Anche se non poteva

- per inosservanza del dictum della Corte di legittimità e violazione degli artt.
309 e 192 cod. proc. pen.;

in relazione alla portata delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, con

violazione del menzionato art. 192 del codice di rito;

in relazione agli artt. 416 bis, 648bis cod. pen. e dell’art. 12 quinquies

L.

356/92 e 7 I. n. 203/91 e dello stesso art. 192 cod. proc. pen.;

in relazione alla possibilità concessa al giudice del riesame di riqualificare il

fatto contestato, con violazione deli artt. 309 e 192 del codice di rito.
violazione di legge per vizio di motivazione tanto radicale da rendere

meramente apparente e, di fatto, inesistente l’impianto giustificativo;

violazione di legge per vizio della motivazione per mancanza dei requisiti

minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, tali da rendere comprensibile
l’itinerario logico seguito dal giudice.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Un breve riferimento alla pronuncia di annullamento (la seconda, per
l’esattezza), al fine di coglierne la ratio decidendi costituisce necessaria premessa
all’esame del ricorso del P.m., che, nella sua articolata formulazione, è
evidentemente inteso a sollecitare questa Corte alla verifica del rispetto, da parte
del giudice del rinvio, del dictum della stessa pronuncia rescindente.
Orbene, risulta agevolmente dalla narrativa che la ragione primaria
dell’annullamento risiedeva nella mera apparenza della motivazione, integrante
pacificamente violazione di legge – solo vizio deducibile in materia di misure
cautelari – posto che il giudice del rinvio aveva trascurato di considerare che in
subiecta materia assume rilievo primario non già la sussistenza di gravi indizi di
colpevolezza, ma la mera configurabilità del fumus commissi delicti, ossia l’astratta
sussumibilità della fattispecie nel paradigma delle ipotesi delittuose formulate
nell’incolpazione provvisoria. Da qui l’annullamento dell’ordinanza impugnata
affinché il giudice del rinvio, in piena libertà di convincimento, procedesse a nuovo
esame, sulla base delle enunciate direttive [valuti la ricorrenza o meno del fumus in
ordine non soltanto al reato associativo, bensì anche a quello di intestazione fittizia
nella titolarità dei beni di cui alla richiesta di sequestro, a tal fine adeguatamente
valutando, globalmente ed in riferimento reciproco, le conoscenze personali dei
collaboratori di giustizia, la oggettivamente amplissima base patrimoniale per cui è
causa ed ogni altra significativa acquisizione istruttoria (tra le quali, di sicura
rilevanza, il rapporto di proporzionalità tra redditualità dei proprietari formali e il
valore dei beni) nonché gli esiti peritali, di consulenza e di PG].

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2. Chiamato a tale compito ricognitivo, il giudice del rinvio è, però, incorso
nello stesso errore d’impostazione e di valutazione, che aveva afflitto la precedente
pronuncia.
In particolare, si era posto, ancora una volta, l’accento sul contestuale
annullamento, da parte dello stesso giudice del rinvio, dell’ordinanza di custodia
cautelare riguardante la ritenuta partecipazione dell’indagato al sodalizio
camorristico inteso dan Ma/lardo.
Ed invero, a parte che la richiamata pronuncia di annullamento è stata oggetto

all’odierna udienza, è di certo erroneo l’assunto secondo cui la sola caducazione
della misura cautelare personale, in ragione della ritenuta inidoneità delle risultanze
investigative ad integrare un contesto di gravità indiziaria, tale da far ritenere la
qualificata probabilità di appartenenza dell’indagato a sodalizio mafioso, portasse,
perciò solo, ad escludere anche il mero fumus, nel senso dell’astratta riconducibilità
dei fatti al paradigma associativo, senza farsi carico di esaminare – sia pure a soli
fini dell’astratta configurabilità e nell’ambito di una valutazione globale e non
parcellizzata – le plurime emergenze investigative (le propalazioni accusatorie di
una decina di collaboratori di giustizia, in rapporto al dato conclamato della
titolarità, in capo al Granata, di un imponente patrimonio di incerta provenienza).
Anche con riferimento all’ipotesi del fraudolento trasferimento di valori non era,
di per sé, sufficiente la ritenuta insussistenza del presupposto della gravità
indiziaria in ordine alla partecipazione mafiosa, per escludere la configurabilità del
reato anzidetto, occorrendo verificare – ancora una volta nei limiti della mera
delibazione del fumus – la sussistenza dei relativi presupposti, ovverosia la ritenuta
intestazione fittizia dei beni in capo a parenti ed amici, privi di capacità reddituale
e, comunque, la sproporzione dei relativi cespiti, non senza considerare che, alla
stregua del principio di diritto richiamato nella stessa pronuncia rescindente, la
finalità di sottrarre i beni alla misura ablatoria non presupponeva l’avvenuto avvio
di apposita procedura di prevenzione reale, essendo, all’uopo, sufficiente la mera
prevedibilità che la stessa procedura potesse essere intrapresa.
3. La riproposta mera apparenza – e, di fatto, inesistenza – della motivazione è
ragione di nullità dell’impugnato provvedimento, che dev’essere dunque dichiarata
nei termini di cui in dispositivo, affinché il giudice del rinvio proceda a nuovo
esame, rendendo in esito motivazione esente dalle riscontrate incongruenze.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con l’invio al Tribunale di Napoli per un nuovo
esame.
Così deciso il 16/05/201

di ulteriore cassazione da parte di questa Corte, con distinto provvedimento emesso

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