Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32058 del 16/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 32058 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: BRUNO PAOLO ANTONIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto dal

Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli

avverso l’ordinanza del Tribunale del riesane di quella stessa città del 5 giugno
2013 nel procedimento penale a carico di GRANATA Sabatino, nato a Villaricca il
3.1.1962;

letto il ricorso ed il provvedimento impugnato.
Sentita la relazione del consigliere dr. Paolo Antonio BRUNO.
Sentite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dr.
Giuseppe Volpe, che ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento
impugnato;
sentiti, inoltre, i difensori dell’indagato, avv. Gennaro Lepre e Massimo Krogh, che
hanno chiesto l’inammissibilità del ricorso e, in subordine, il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 16/05/2014

1. Con ordinanza del 16 febbraio 2011 il Tribunale di Napoli, in funzione di
giudice del riesame, annullava l’ordinanza del locale Gip, che il 13 gennaio di quello
stesso anno, aveva disposto la misura cautelare in carcere nei confronti di Sabatino
Granata, siccome indagato: a) per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., per
ritenuta appartenenza al sodalizio camorristico inteso dan Ma/lardo; b) per il reato
di cui all’art.

12-quinquies d.l. n. 306/1992, in riferimento a dodici condotte

contestate in concorso con i fittizi proprietari; c) per il reato di cui all’art.

374-bis

notarile finalizzato alla predisposizione di cospicua provvista finanziaria.

2.

Avverso la pronuncia anzidetta il Procuratore della Repubblica di Napoli

ha proposto ricorso per cassazione e questa Suprema Corte, Quinta Sezione Penale,
con sentenza n. 850 dell’i giugno 2011, ha annullato l’ ordinanza impugnata,
rinviando per nuovo esame al competente giudice della riesame.
Rilevava la pronuncia rescindente che il giudice a quo aveva distintamente
valutato, sul presupposto dell’asserita “impermeabilità” ovvero “incomunicabilità”
degli indizi nascenti dalle propalazioni accusatorie di una decina di collaboratori di
giustizia e quelli connessi alla disponibilità di un ingente patrimonio
ingiustificatamente accumulato dall’indagato, ove invece i detti indizi avrebbero
dovuto essere considerati in una dimensione unitaria e globale. Inidonea, inoltre,
era la valutazione del compendio indiziario a sostegno dell’incolpazione provvisoria
di trasferimento fraudolento di valori e di cui all’art. 374-bis cod. pen., apparendo
altamente probabile, quanto a quest’ultima ipotesi delittuosa, la destinazione
dell’atto all’utilizzo in sede giudiziaria.

3. Pronunciando in sede di rinvio, il Tribunale di Napoli con ordinanza del 28
ottobre 2011, confermava l’annullamento dell’ordinanza cautelare, con la
precisazione che il reato di cui all’ar.

374-bis cod. pen., esclusa la contestata

aggravante, era da ritenere estinto per intervenuta prescrizione.

4. Avverso l’anzidetta pronuncia il Procuratore della Repubblica di Napoli ha
proposto un nuovo ricorso per cassazione e questa Corte Suprema, Prima Sezione
Penale, con sentenza del 15 novembre 2012, ha nuovamente annullato l’ordinanza
impugnata limitatamente ai capi a) e b) dell’incolpazione provvisoria.
Rilevava la Corte che il giudice del rinvio non si era attenuto al dictum della
pronuncia rescindente, che lo aveva chiamato ad una rilettura globale ed unitaria
del compendio indiziario. Lo stesso Tribunale aveva, invece, proceduto ad una
disamina ancora parcellare delle molteplici propalazioni accusatorie, negandone
l’intrinseca consistenza, credibilità e convergenza, per poi passare all’indagine
patrimoniale, con inversione del percorso argomentativo suggerito dai giudici di
2

cod. pen., aggravato ai sensi dell’art. 7 I. n. 203/1992, per falso ideologico in atto

legittimità. Inoltre, aveva ritenuto che le risorse economiche dell’indagato avessero
una redditività reale assai superiore a quella dichiarata e che ulteriore fonte di
guadagno fosse costituita da un’intensa attività di abusivismo edilizio – oggetto di
separato giudizio – svolta in concorso con pubblici dipendenti infedeli (accusati di
corruzione), in un contesto territoriale di notoria influenza camorristica; elementi,
questii, ritenuti – con evidente inversione logica – idonei a neutralizzare la valenza
asseritamente indiziaria dell’ingiustificato, arricchimento. Lo stesso giudice non si
era curato, poi, di valutare se le dichiarazioni del dichiarante Vassallo – definite de

criminali operanti in zona ed in un contesto contiguo a quello di supposta
appartenenza del Granata; aveva negato la “convergenza del molteplice” sul rilievo
che i collaboratori non avevano riferito fatti identici, omettendo di considerare che,
rispetto ad una condotta criminosa protrattasi nel tempo, il quadro indiziario
avrebbe ben potuto essere integrato da distinti, purché significativi, segmenti della
stessa condotta. Sicché, risultava evidente la violazione dell’art. 627, comma 3,
cod. proc. pen.
Soggiungeva il giudice di legittimità che, ingiustificatamente, era stata
negata attendibilità a numerosi collaboratori di giustizia, i quali avevano
concordemente indicato il Granata come uomo di fiducia del clan Mallardo (peraltro
valutando, erroneamente, come de relato dichiarazioni che, invece, erano dirette,
siccome tratte dalla conoscenza personale del collaborante, maturata nel gruppo di
appartenenza) e, per altro verso, aveva valutato gli accertamenti patrimoniali
esclusivamente sotto l’aspetto della proporzionalità tra capacità reddituali e valore
dei beni sequestrati. Era, quindi, mancata un’adeguata motivazione voltaYspiegare
perché una ricchezza di straordinarie proporzioni, come quella oggetto di sequestro,
non potesse considerarsi, essa stessa, riscontro oggettivo delle numerosissime
chiamate in correità e perché l’un dato (le chiamate di correo) e l’altro (l’anomalia
di una ricchezza esorbitante, acquistata in tempi relativamente brevi, peraltro in un
contesto territoriale, storicamente, oggetto di influenza camorristica) non
potessero, vicendevolmente, comporre un idoneo quadro indiziario, tanto più se
rapportato alla fase processuale in corso. Riteneva, ancora, che la motivazione
riguardante gli addebiti di trasferimento fraudolento di valori fosse meramente
apparente, facendo peraltro richiamo ad indiscusso insegnamento giurisprudenziale
di legittimità, secondo cui non occorreva che fosse già intrapreso un procedimento
di prevenzione personale, essendo sufficiente il timore dell’indagato in ordine alla
possibile adozione di misure di prevenzione reale nei suoi confronti, donde
l’esigenza della fittizia dismissione dei cespiti onde scongiurarne gli effetti.
Era, invece, condivisibile il rilievo del giudice di merito in ordine
all’intervenuta prescrizione del reato di cui all’art. 374-bis cod. pen., in ragione
della sua, pacifica, natura di reato istantaneo.

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relato – potessero essere frutto del flusso di notizie circolanti all’interno dei gruppi

Per quanto sopra, l’ordinanza impugnata doveva essere annullata con rinvio
perché il giudice del riesame, in piena libertà di giudizio e tenuto conto delle
necessità probatorie proprie della fase cautelare, provvedesse ad una complessiva e
non parcellizzata valutazione del quadro indiziario offerto dal processo, in esso
considerando la straordinaria ricchezza acquisita dall’indagato in tempi
relativamente rapidi, la documentata sua consuetudine criminale in considerazione
delle condanne da lui subite, le concordanti accuse dei collaboratori di giustizia, il

fittizia di persona nella titolarità di un vastissimo patrimonio immobiliare e
mobiliare, la documentata operatività del clan Mallardo di Giugliano, il tutto nella
direzione di considerare indiziariamente provata o meno la partecipazione
dell’indagato a detto dan malavitoso.

5. Pronunciando ancor una volta in sede di rinvio, il Tribunale di Napoli, con
l’ordinanza indicata in epigrafe, annullava nuovamente l’ordinanza 13 gennaio 2011
del locale Gip.

6. Avverso l’anzidetta pronuncia il Procuratore della Repubblica di Napoli ha
proposto nuovo ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura di seguito
indicate.
Con il primo, articolato, motivo si denuncia erronea applicazione della legge
penale sotto distinti profili:

per inosservanza del dictum della Corte di legittimità e violazione degli artt.

309 e 192 cod. proc. pen.;
– in relazione al contenuto degli artt. 416 bis cod. pen., 12 quinquies I.
356/1992 e 7 I. n. 203/91 e del menzionato art. 192.;

in relazione alla portata delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, per

violazione dello stesso art. 192 del codice di rito;

in relazione agli artt. 416 bis, 648 bis cod. pen. e dell’art. 12 quinquies I. n.

356/92 e 7 I. n. 203/91 nonché dell’art. 192 cod. proc. pen.;

in relazione al potere del giudicer del riesame di riqualificare il fatto, con

violazione degli artt. 309 e 192 del codice di rito.
Con il secondo motivo si denuncia mancanza, contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606 lett. e), per omesso esame degli
elementi indiziari, con particolare riferimento ai certificati di deposito Mangiapia e
Castaldo; alle dichiarazioni dello stesso Di Mare Castrese, che, sentito della difesa,
aveva dichiarato di essere “prestanome” di Granata Sabatino; alle vicende del Parco
Teresa; alle risultanze della consulenza tecnico-contabile: alle dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia già esistenti al tempo dell’emissione dell’ordinanza di

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quadro indiziario attestante la verosimile fondatezza del reato di interposizione

riesame del 30 ottobre 2011; alle nuove risultanze investigative trasmesse con nota
del 4 aprile 2013 in vista dell’ordinanza del 12 aprile 2013.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. L’esame del ricorso del P.m. pone, in buona sostanza, due interrogativi di
fondo. In primo luogo, il quesito di diritto relativo all’individuazione dell’ambito di

l’interrogativo – al primo necessariamente connesso – se il giudice a quo abbia
realmente eluso il dictum della pronuncia rescindente.
In merito al primo profilo, è ius receptum, alla stregua di consolidato
insegnamento di questa Corte regolatrice, che le disposizioni codicistiche, dettate
dall’art. 627 cod. proc. pen., in tema di giudizio di rinvio in esito ad annullamento,
debbano trovare applicazione anche nel procedimento cautelare, in quanto
espressione di principi generali applicabili a qualsivoglia contesto procedurale. Così
è pacifico che il giudice del rinvio possa decidere con gli stessi poteri che aveva il
giudice del provvedimento annullato, a mente del comma 2 della menzionata norma
processuale; ed è pure indiscusso che lo stesso giudice sia obbligato ad uniformarsi
alla sentenza di cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa
decisa, ai sensi della norma di cui al comma successivo della detta disciplina. Non è
neppure revocabile in dubbio che,

in subiecta materia,

siano mutuabili le

enunciazioni di principio affermate in riferimento al rito ordinario, sull’assunto che
la Corte di Cassazione risolve una questione di diritto anche quando giudica
dell’adempimento dell’obbligo della motivazione: ed alla relativa statuizione è
tenuto ad uniformarsi il giudice del rinvio, così come è obbligato a fare, a mente
dell’art. 627, comma 3, in ogni altro caso di annullamento (Sez. 1, 6.5.2004, n.
26274, rv. 228913). Il principio di diritto è rispettato ove il giudice di merito motivi
la sua decisione sulla base di argomenti diversi da quelli ritenuti illogici o carenti in
sede di legittimità (Sez. 4, 21.6.2005, n. 30422, rv. 232019).
Pacificamente applicabile alla materia cautelare è anche il principio secondo
cui i poteri del giudice del rinvio sono diversi a seconda che l’annullamento sia stato
pronunciato per violazione od erronea applicazione della legge penale ovvero per
mancanza o manifesta illogicità della motivazione. Nella prima ipotesi, infatti, resta
ferma ed intangibile la valutazione dei fatti così come accertati dal provvedimento
annullato; nella seconda ipotesi, invece, l’annullamento travolge gli accertamenti e
le valutazioni già effettuati ed autorizza il giudice di rinvio ad un nuovo esame del
fatto, in piena autonomia di valutazione (Sez. 3, n. 4759 del 22.3.2000, rv.
216343).
Siffatta ampiezza di cognizione attiene, però, soltanto al momento della
valutazione delle emergenze investigative – peculiare espressione di apprezzamento
5

cognizione del giudice del rinvio, nella procedura camerale; e, in secondo luogo,

squisitamente di merito – ma non anche alla scelta delle coordinate e dei parametri
di giudizio ove questi siano stato dettati dal Supremo Collegio, in quanto,
diversamente, il libero apprezzamento delle risultanze si tradurrebbe in sostanziale
elusione del dictum della pronuncia rescindente.
Per quanto si è detto, il giudice del rinvio, nell’esplicitare le ragioni di quel
suo convincimento, non può incorrere nelle stesse incongruenze logiche, carenze od
omissioni già censurate nella pronuncia di annullamento, siccome momenti
integranti il vizio motivazionale.

poter utilizzare anche elementi probatori “nuovi”, deve, dunque, coniugarsi con la
forza cogente del principio di diritto affermato dal giudice di legittimità.
E appena il caso di osservare che l’evidenziata indeclinabilità dei doveri del
giudice del rinvio si riconnette, necessariamente, alla stessa logica dell’architettura
ordinamentale, per cui il disimpegno delle istituzionali funzioni di nomofilachia e di
collaudo della correttezza giuridica e della tenuta logica dei provvedimenti di merito
postula la rigorosa osservanza da parte del giudice del rinvio del

dictum di

legittimità, per quanto opinabile – e, al limite, persino erroneo – possa essere, ivi
compresa la determinazione dei relativi presupposti.

3. Tanto premesso, la verifica cui questa Corte è chiamata ai fini della
soluzione del secondo interrogativo indicato in premessa, ossia la denunciata
elusione del dictum della sentenza di annullamento, presuppone, di necessità, che
si individui esattamente l’ambito contenutistico di quel precetto e la ratio decidendi
della stessa pronuncia rescindente.
Dalla stessa narrativa del presente provvedimento (par. 4), balza evidente
che la ragione dell’annullamento risiedeva, fondamentalmente, nel rilevato vizio di
approccio al corposo materiale investigativo e nell’erronea metodologia di esame
degli elementi indiziari. In particolare, era stata censurata la disamina parcellizzata
delle numerosissime dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, ciascuna
sbrigativamente liquidata come scarsamente affidabile, in difetto di sostanziale
coincidenza e concordanza con le altre, senza considerare che, convergendo tutte
nel riferire di una vicinanza o contiguità del Granata al sodalizio camorristico di
riferimento, pur nella diversa indicazione della natura dei rapporti fiduciari con esso
intercorrenti, avrebbero potuto cogliere – nella dinamica ed evoluzione di quei
rapporti – segmenti temporali diversi; la discutibile attribuzione della natura

de

relato di talune propalazioni accusatorie, onde sottodimensionarne l’intrinseca
valenza, senza considerare che le stesse, invece, avrebbero ben potuto considerarsi
dirette

nella parte in cui riferivano di conoscenze direttamente attinte dal

patrimonio cognitivo dei clan di appartenenza; la mancata considerazione della
possibilità di ritenere l’imponente patrimonio accumulato dall’indagato come

6

L’indubbia pienezza dei poteri cognitivi dello stesso giudice, sino al punto da

riscontro diretto delle stesse propalazioni accusatorie, sotto il profilo che
quell’abnorme accumulo di ricchezza, maturato in un contesto notoriamente ad alto
coefficiente di densità mafiosa, avrebbe ben potuto ritenersi in qualche modo
agevolato dal rapporto di vicinanza o contiguità con il clan Mallardo; e, comunque,
della possibilità che il dato fattuale dello smisurato accumulo di ricchezza e le
plurime dichiarazioni di collaboratori di giustizia, correttamente valutate in un
contesto unitario e non atomizzato, componessero una piattaforma indiziaria dotata

Non era neppure mancato il rilievo di patente illogicità del tentativo del giudice del
rinvio di giustificare l’aumento esponenziale delle capacità imprenditoriali del
Granata con l’attività edilizia abusiva intrapresa in territorio di Giugliano, peraltro
con il compiacente contributo di pubblici ufficiali corrotti (che aveva dato luogo ad
un indagine penale e ad una successiva sentenza di condanna, divenuta
irrevocabile), sì da neutralizzare il dato indiziario dell’ingente arricchimento, quasi
che quella redditizia attività fosse stata realizzata in asettica area territoriale,
diversa da quella, notoriamente, soggetta ad egemonia mafiosa, ove – per massime
di esperienza – è assai difficile ipotizzare indisturbati accumuli di ricchezza, anche
se frutto di metodiche illecite, senza placet, collusione o cointeressenza del sistema
camorristico.
Da tali rilievi critici, che ad un tempo rappresentavano ineludibili canoni di
giudizio ai quali parametrare la valutazione del compendio investigativo, conseguiva
l’epilogo decisionale dell’annullamento perché il giudice del riesame, in piena libertà
di giudizio e tenuto conto delle necessità probatorie proprie della fase cautelare,
provvedesse ad una complessiva e non parcellizzata valutazione del quadro
indiziario offerto dal processo, in esso considerando la straordinaria ricchezza
acquisita dal/indagato in tempi relativamente rapidi, la documentata sua
consuetudine criminale in considerazione delle condanne da lui subite, le
concordanti accuse dei collaboratori di giustizia, il quadro indiziario attestante la
verosimile fondatezza del reato di interposizione fittizia di persone nella titolarità di
una vastissimo patrimonio immobiliare e mobiliare, la documentata operatività del
clan Ma/lardo di Giugliano, il tutto nella direzione di considerare indiziariamente
provata o meno la partecipazione de/l’indagato a detto dan malavitoso.
4. Così individuato il perimetro cognitivo e così cristallizzato il

thema

decidendum, non sfugge – già prima facie – che il giudice del rinvio abbia,
sostanzialmente, disatteso il dictum della pronuncia rescindente, riproponendo gli
stessi errori d’impostazione del primo, censurato, giudizio, omettendo di rendere
motivazione plausibile e convincente delle ragioni per le quali, nonostante la
pacifica circostanza di un imponente accumulo di ricchezza e le indicazioni
accusatorie di decine di collaboratori di giustizia, tanto più in un contesto valutativo
di sommaria delibazione, propria della fase cautelare, non potesse dirsi raggiunto
7

r
D27

del necessario coefficiente di gravità tale da legittimare la misura custodiale.

uno standard indiziario sufficiente – per oggettiva gravità – a legittimare la custodia
cautelare per l’addebito di partecipazione ad associazione di stampo mafioso. Per di
più senza neppure porsi il naturale interrogativo se quelle emergenze indiziarie, in
ipotesi inidonee a sostenere, sia pure a livello di incolpazione provvisoria, un’accusa
siffatta, fossero, quantomeno, sufficienti ad accreditare l’ipotesi alternativa del
concorso esterno in associazione mafiosa, così come giustamente denunciato dal
P.m. ricorrente. E’, del resto, assolutamente pacifico nella giurisprudenza di questa
Corte di legittimità, che il giudice del riesame possa procedere, anche d’ufficio, alla

incide sull’autonomo potere del P.m. di esercizio dell’azione penale, che riguarda il
fatto storico in contestazione (cfr., tra le altre, Sez. 6, n. 18219 del 11/03/2003,
Rv. 225216; Sez. 1, 14,7,1997, n. 4864, rv. 208724 sulla scia dell’interpretazione
di Sez. U, n. 16 del 19/06/1996) – non potendo, invece, modificare il capo
d’imputazione attraverso il mutamento del fatto storico (Sez. 1, 27.2.1996, rv.
204307).

5.

Nel rilievo della persistente criticità del provvedimento, anche

nell’anzidetta direzione, non possono sfuggire altre due vistose illogicità, emergenti
dal tessuto motivazionale. La prima è quella secondo cui, nel prendere atto delle
molteplici “atecniche” definizioni dei collaboratori in ordine al ruolo svolto in
concreto dal Granata, si assume che le stesse testimoniano al più, comunque, ad
avviso del tribunale, la ritenuta riferibilità di tutto il patrimonio dell’indagato
all’associazione criminale quale provento delle attività illecite dello stesso sodalizio.
Come a dire che l’indagato sarebbe stato il fiduciario ed il formale intestatario di un
patrimonio assai rilevante, di pertinenza della stessa consorteria camorristica. Ma
se davvero così fosse, esclusa la partecipazione allo stesso sodalizio, non è in alcun
modo spiegato perché una tale situazione non possa essere indicativa, quantomeno,
di concorso esterno o di altra tipologia di reato.
La seconda palese incongruenza risiede nell’assunto alternativo secondo cui,
ove l’indagato dovesse essere ritenuto,

sulla base di invero contraddittorie

dichiarazioni dei collaboratori, “riciclatore”, giammai potrebbero ravvisarsi poi profili
di intraneità allo stesso clan camorristico, esclusi in radice dalla stessa ipotesi di
riciclaggio.
L’assunto è errato in diritto, stante la pacifica ammissibilità del concorso
delle due ipotesi delittuose, alla stregua di indiscussa lezione giurisprudenziale di
legittimità (Sez. 2, n. 27292 del 04/06/2013, Rv. 255712, secondo cui

il

concorrente nel delitto associativo di stampo mafioso può essere chiamato a
rispondere in quello di riciclaggio dei beni provenienti dall’attività associativa, sia
quando il delitto presupposto sia da individuarsi nei delitti-fine, attuati in esecuzione
del programma criminoso, sia quando esso sia costituito dallo stesso reato

8

modificazione della qualificazione giuridica del fatto, atteso che tale modifica non

associativo, di per sé idoneo a produrre proventi illeciti); di recente ribadita da
questa stessa Corte nella sua più autorevole espressione a Sezioni Unite (n. 25191,
Iavarazzo, dep. 13.6.2014, non ancora massimata).
Ad ogni modo, ove il Granata fosse, davvero, da considerare mero ricidatore,
non è in alcun modo spiegato perché una siffatta circostanza non possa essere
utilmente apprezzata in funzione di un’alternativa configurazione di reato.

insanabile efficacia invalidante della pronuncia impugnata, che va, dunque,
annullata nei termini di cui in dispositivo, affinché il giudice del rinvio proceda a
nuovo esame, attenendosi scrupolosamente ai principi sopra enunciati.
Il disposto annullamento assorbe ogni altra ragione di censura di parte
ricorrente.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Napoli per nuovo
esame.
Così deciso il 16/05/2014

6. Il rilevato deficit motivazionale ed i riscontrati errori di diritto assumono

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