Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32056 del 02/07/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 32056 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: BEVERE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
REGGIO CALABRIA
nei confronti di:
DI GIAMBATTISTA ROBERTO N. IL 03/10/1957
avverso la sentenza n. 11/2009 GIUDICE DI PACE di VILLA SAN
GIOVANNI, del 07/11/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 02/07/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO BEVERE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per j1 ift D
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 02/07/2014

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Il ricorso merita accoglimento.
Preliminarmente va rilevata la fondatezza del primo motivo e conseguentemente l’erronea citazione
a giudizio davanti al giudice di pace,disposta dal pubblico ministero, del querelato per fatti da
qualificare, con immediata evidenza, a norma dell’art. 612 cpv c.p. e quindi di pacifica
competenza del tribunale in composizione monocratica.
Dal capo imputazione risulta che al Giambattista — possessore a fini istituzionali,in qualità di
agente di polizia, di arma da fuoco- è stato contestato di aver pronunciato nei confronti della
moglie (nell’arco di tempo compreso tra il 20 maggio e il 5 luglio 2007) le seguenti frasi :
Io ti ammazzo come e quando voglio ,ti sparo alle gambe.
Esci fuori che ti ammazzo …]
Troia,zoccola esci fuori che ti ammazzo,buttana, voglio sapere dove sei che ti ammazzo.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale la gravità della minaccia va razionalmente
intesa con riferimento all’entità dell’ingiusto danno prospettato e del correlato turbamento psichico
che l’atto intimidatorio può determinare nel soggetto passivo ; tale gravità può essere desunta da
tutte le circostanze oggettive e soggettive che accompagnano e contestualizzano l’atto medesimo.
Nel caso in esame, al di là della reiterazione ,a ritmo serrato, in un ristretto arco di tempo, della
prospettazione di menomazioni fisiche forti e addirittura letali ,si è immediatamente profilata al
titolare dell’azione penale e al giudice di primo grado la peculiarità della fonte della suindicate
parole intimidatorie , che rendeva di massima evidenza la configurazione del reato di minaccia
grave , di competenza del tribunale in composizione monocratica. Il legittimo possesso dell’arma da
fuoco ha ragionevolmente acuito e inspessito la forza intimidatoria e il correlato potenziale
turbamento psichico della moglie convivente . Né questa implicita presenza dell’arma letale può
perdere rilevanza a causa della legittimità del suo possesso ( sez. 5 ,n. 19518,del 10.5.06, rv
234429) .

FATTO E DIRITTO
La Procura Generale presso la corte di appello di Reggio Calabria ha presentato ricorso avverso la
sentenza 7.11.2013 con la quale il giudice di pace di Villa San Giovanni ha assolto , per non aver
commesso il fatto, Di Giambattista Roberto„ dai reati,uniti dal vincolo della continuazione, di
ingiuria e minaccia in danno della moglie Scopelliti Antonietta.
Nel ricorso sono formulate le seguenti censure :
1. violazione di legge in riferimento alla fattispecie della minaccia :le ripetute minacce di
lesioni e di morte mediante l’uso di una pistola, da parte di un agente di polizia,
istituzionalmente armato, configurano il reato ex art. 612 cpv c.p. di competenza del
tribunale monocratico. Inoltre ,Scopelliti Concetta, sorella della persona offesa, ha
dichiarato di aver ascoltato le minacce di morte indirizzate sulla predetta dal
Giovanbattista nel corso di una telefonata. La medesima teste ha precisato di aver dovuto
sostituire la sorella nel suo lavoro, per circa venti giorni, per evitare che fossero mostrati i
lividi al volto ;
2. .violazione di legge in riferimento all’elemento psicologico del reato di minaccia : secondo
il giudice di pace , nel reato di minaccia contestato è necessaria per la sua configurazione
“una volontà effettiva di voler fare del male alla moglie “, sebbene sia pacifico che in questo
reato di pericolo sia sufficiente una volontà cosciente e libera del suo autore di arrecare
danno contra ius alla persona destinataria, senza che sia necessario il proposito di tradurre
in atto il male minacciato ;
3. vizio di motivazione : nella sentenza si parla genericamente di incongruenze tra la querela e
le dichiarazioni dei testi, senza che il giudice riferisca quali siano queste incongruenze,che
quindi risultano insussistenti.

Il lento svolgimento del giudizio di primo grado(alle prime udienze del 3 marzo 2009 e del
16.2.2010 ne è seguita un’altra ,dopo oltre tre anni ,i1 16 luglio 2013 ed infine si è svolta, il
successivo 7 novembre, l’udienza conclusiva) rende di prossima scadenza il termine di
prescrizione, che all’odierna udienza non può ritenersi ancora maturato , tenendo conto del
condivisibile orientamento giurisprudenziale ,secondo cui i tre impedimenti prospettati dal
difensore per contemporaneo impegno professionale, sebbene siano stati considerati meritevoli di
tutela con il riconosciuto diritto al rinvio dell’udienza, non sono da considerare ipotesi
d’impossibilità assoluta a partecipare all’attività difensiva e non hanno dato luogo pertanto
all’applicazione dei limiti di durata della sospensione del corso della prescrizione previsti dall’art.
159, comma primo, n. 3, cod. pen., nel testo introdotto dall’art. 6 della L. 5 dicembre 2005,
n.251(sez.2, Sentenza n. 17344 del 29/03/2011, Rv. 250076;
sez.1, Sentenza n. 44609 del 14/10/2008, Rv. 242042; contra
sez.4, Sentenza n. 10926 del 18/12/2013, Rv. 258618).
Ne consegue che la complessiva durata della sospensione della prescrizione ((1 anno, 1 mese,19
giorni) non consente di ritenere ,in data odierna, maturato il termine prescrizionale.
La sentenza va quindi annullata senza rinvio con trasmissione degli atti al Procuratore della
Repubblica di Reggio Calabria per il corso ulteriore, anche in riferimento alla prospettata
configurazione del reato ex art. 572 c.p., indicata nel ricorso della Procura Generale.
PQM
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio e dispone trasmettersi gli atti al Procuratore della
Repubblica di Reggio Calabria per il corso ulteriore.

D’altro canto, la configurazione della minaccia come reato di pericolo comporta che per la sua
integrazione non sia richiesta la reale lesione del bene tutelato , bastando che il male prospettato
possa incutere timore nel destinatario, menomandone potenzialmente, secondo un criterio di
medianità riecheggiante le reazioni della donna e dell’uomo comune, la sfera di libertà morale. Nel
generale contesto delle comuni relazioni interpersonali ,all’interno del gruppo familiare, non è
razionalmente individuabile — nell’attuale evoluzione della nostra civiltà- una situazione di
normalità, di conformità ad generale codice comportamentale che consenta di ritenere priva di
gravi conseguenze negative sulla libertà morale della componente femminile la verbale
prospettazione di un irreversibile male fisico , prospettazione resa attuale- in base al quadro di vita
familiare descritto nell’atto di querela e rimasto del tutto inesplorato – da un modesto ma concreto
passaggio dalle parole ai fatti (v. dichiarazioni della Sacopelliti Concetta, richiamate dal ricorrente).
Il riconoscimento della fondatezza di questo motivo comporta l’assorbimento delle altre doglianze
contenute nel ricorso.

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