Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32031 del 07/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 32031 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: ZAZA CARLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Daccò Pierangelo, nato a S. Angelo Lodigiano il 20/04/1956

avverso la sentenza dell’11/06/2013 della Corte d’Appello di Milano

visti gli atti, il provvedimento impugnato, il ricorso, i motivi aggiunti depositati
dal ricorrente e le memorie depositate dalla parte civile;
udita la relazione svolta dal Consigliere Carlo Zaza;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Gioacchino Izzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per la parte civile l’avv. Elena Iannuzzi in sostituzione dell’avv. Giovanni
Paolo Accinni, che ha concluso per il rigetto del ricorso depositando nota spese;
uditi per l’imputato gli avv.ti Massimo Krogh e Luigi Paolo Antonio Panella, che
hanno concluso per l’accoglimento del ricorso;

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Data Udienza: 07/05/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata, in parziale riforma della sentenza del Giudice
dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Milano del 03/10/2012, veniva
confermata l’affermazione di responsabilità di Pierangelo Daccò per il reato
continuato di cui agli artt. 416 cod. pen. e 216 r.d. 16 marzo 1942, n. 267,
commesso
1.1. ricevendo disponibilità finanziarie distratte o dissipate dalla Fondazione

27/10/2011, ed in particolare
1.1.1. in concorso con Mario Cal e Mario Valsecchi, rispettivamente
vicepresidente operativo e direttore amministrativo della San Raffaele, Pierino
Zammarchi, amministratore della Diodoro Costruzioni s.r.I., Gianluca
Zammarchi, amministratore della Metodo Impresa Generale Costruzioni s.r.I.,
Fernando Lora e Carlo Freschi, questi ultimi rispettivamente amministratore e
responsabile amministrativo finanziario e contabile della Progetti s.r.I., somme
derivanti dalla sovrafatturazione di commesse affidate dalla San Raffaele, dal
2006 al 2011, alla Diodoro ed alla Metodo per un ammontare non inferiore ad C.
700.000 ed alla Progetti per l’importo di C. 1.773.000, corrisposte alle predette
società e da queste ultime ritrasferite in contanti al Cal ed al Valsecchi, che le
consegnavano al Daccò, al fiduciario di questi Giancarlo Grenci o a società agli
stessi riferibili (capi A e F);
1.1.2. in concorso con il Cal e Gianluca Zammarchi, la somma di C.
1.000.000 erogata il 23/12/2008 dalla San Raffaele alla Metodo e da questa
girata il 234/12/2008 alla società MTB, riferibile al Daccò, con la fittizia causale
di un anticipo sull’acquisto di un immobile in Cile (capo B);
1.1.3. in concorso con il Cal ed il Valsecchi, il valore dell’acquisizione il
22/06/2007, da parte della San Raffaele tramite la controllata Airviaggi s.r.I., del
capitale della Assion Aircraft & Yachting Chartering Services Limited, società
riferibile al Daccò e detentrice dei diritti di utilizzo di un aereo Challenger, e del
finanziamento dei costi della stessa per oltre C. 35.000.000, sproporzionato
rispetto alle esigenze ed alla situazione economica della San Raffaele (capo C);
1.1.4. in concorso con il Cal ed il Valsecchi, la somma di C. 2.000.000
erogata dalla San Raffaele alla Assion, fra il 27/12/2007 ed il 13/02/2009
tramite le controllate Finraf s.p.a ed Airviaggi s.r.I., e girata al Daccò ed alla
Euroworldwide, società allo stesso riferibile, con la fittizia e comunque
sproporzionata causale del pagamento di prestazioni per la ricerca sul mercato di
un velivolo Bonnbardier, laddove la San Raffaele disponeva già dell’aereo di cui al
punto precedente (capo D);
2

e

,/

Raffaele del Monte Tabor, ammessa a concordato preventivo in Milano il

1.1.5. in concorso con il Cal ed il Valsecchi, la somma di €. 510.000 erogata
il 07/08/2007 alla società Harmann Holding GMBH, riferibile al Daccò, in
pagamento delle prestazioni di un contratto di consulenza falso e comunque
estraneo all’interesse economico della fallita (capo E);
1.2. costituendo altresì con il Cal, il Valsecchi, gli Zammarchi, il Lora, il
Freschi ed il Grenci un’associazione diretta alla commissione dei reati di
bancarotta fraudolenta, frode fiscale, appropriazione indebita e riciclaggio,
operante nella sovrafatturazione degli importi dovuto dalla San Raffaele ai

ritrasmesse dai fornitori al Cal o a società riferibili al Daccò e nella destinazione
delle somme provenienti dalla San Raffaele a conti correnti di società
appositamente costituite all’estero o di altri beneficiari non identificati, con la
giustificazione di fatturazioni fittizie, all’esecuzione di pagamenti in nero e al
soddisfacimento di esigenze personali (capo G).
2. La sentenza impugnata veniva riformata con l’esclusione dell’aggravante
del carattere transnazionale dell’associazione criminosa, contestata al capo G, e
la rideterminazione della pena in anni nove di reclusione, confermandosi la
condanna dell’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
3. L’imputato ricorre sui punti e per i motivi di seguito indicati.
3.1. Sui fatti di distrazione di somme derivanti da sovrafatturazioni, di cui ai
capi A e F, il ricorrente deduce in primo luogo ed in linea generale, per questo
come per gli altri capi e punti della sentenza impugnata, violazione di legge nel
carattere apparente della motivazione, dato dai ripetuti richiami anche testuali
alla sentenza di primo grado. Lamenta poi contraddittorietà della motivazione,
nella ritenuta prova della costituzione della provvista finanziaria oggetto di
distrazione mediante sovrafatturazioni, rispetto alle più volte ribadite conclusioni
della stessa sentenza impugnata sul mancato pagamento delle fatture, ricevute
dalla fondazione, in percentuali rilevanti, anche in attuazione di una precisa
strategia tendente a ritardare per quanto possibile i pagamenti verso i fornitori
per evitare di ricorrere al credito finanziario, evidenziata nella relazione dei
commissari giudiziali; derivando da ciò mancanza di prova dell’effettivo
pagamento agli emittenti delle fatture di somme superiori ai valori delle
prestazioni fatturate e, di conseguenza, della condotta specificamente contestata
nella distrazione di dette somme. Ulteriore contraddittorietà è dedotta con
riguardo alla contestata distrazione di somme provenienti dalla Progetti per
complessivi €. 526.000, in quanto risalente ad epoca compresa fra il 2002 e il
2005, nella quale l’imputato non aveva ancora intrapreso i rapporti con il Cal,
che la stessa sentenza impugnata dava atto essere iniziati dal 2006. Con i motivi
aggiunti il ricorrente, premesso che con l’allegata sentenza del Tribunale di

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(

fornitori, nella costituzione di disponibilità occulte con le corrispondenti somme

Milano del 30/04/2013, divenuta irrevocabile il 29/10/2013, i coimputati Lora e
Freschi, all’esito del giudizio ordinario nei loro confronti, venivano assolti per
insussistenza del fatto dall’imputazione in esame per mancanza di prova sul
carattere indebito dei pagamenti della fondazione in favore della Progetti,
denuncia il radicale contrasto di tale giudicato con le difformi conclusioni della
sentenza impugnata, richiamando l’orientamento giurisprudenziale per cui tale
situazione imporrebbe l’annullamento con rinvio alla Corte territoriale per
consentire alla stessa la valutazione della circostanza ai sensi dell’art. 238-bis

3.2. Sui fatti di distrazione della somma ceduta alla MTB, tramite la Metodo,
quale anticipo per una fittizia operazione immobiliare, di cui al capo B, il
ricorrente deduce violazione di legge e contraddittorietà della motivazione
laddove la prova vi veniva individuata nelle dichiarazioni del coimputato Gianluca
Zammarchi, il quale affermava che la somma era stata ricevuta dalla società
Metodo quale anticipazione su un contratto relativo ai lavori presso l’ospedale di
Olbia, e quindi per una causa lecita. Anche a questo proposito il ricorrente
denuncia inoltre con i motivi aggiunti il contrasto con la sentenza del Tribunale di
Milano del 30/04/2013, con la quale Gianluca Zammarchi veniva assolto per
insussistenza del fatto dall’imputazione in esame per mancanza di prova sul
carattere incongruo dei pagamenti della fondazione in favore della Metodo per il
lavori di cui sopra.
3.3. Sui fatti di distrazione del valore dell’acquisizione del capitale della
Assion, di cui al capo C, il ricorrente deduce violazione di legge nell’affermazione
di responsabilità per una condotta diversa da quella contestata, individuata dai
giudici di merito nell’uso personale dell’aereo nella disponibilità della Assion.
Lamenta comunque contraddittorietà della motivazione sul punto rispetto alle
riportate dichiarazioni della teste Galli, per le quali l’uso dell’aereo per scopi
personali era pagato dall’imputato mediante fatturazione alle società Eurosat e
Harmann, allo stesso riferibili. Deduce infine violazione di legge ed illogicità della
motivazione nell’affermazione del carattere distrattivo dell’operazione, finalizzata
ad acquisire un aereo utile per l’attività della fondazione e che risulta essere
rimasto nell’attivo a disposizione dei creditori, e della partecipazione
dell’imputato alla stessa, decisa dal consiglio di amministrazione della
fondazione, sulla base di dichiarazioni del teste Di Leo dalle quali emergeva
unicamente il manifestato interesse dell’imputato per l’acquisizione dell’aereo per
scopi inerenti alle necessità della fondazione.
3.4. Sui fatti di distrazione di somme erogate all’imputato ed alla
Euroworldwide, tramite la Assion, la Finraf e la Airviaggi, in pagamento di
ricerche sul mercato per l’acquisto di un velivolo, di cui al capo D, il ricorrente
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cod. proc. pen..

deduce carenza di motivazione in ordine alla dimostrazione della provenienza
delle somme, corrisposte dalla Finraf e dalle controllate Assion e Airviaggi, da
disponibilità della fondazione, e contraddittorietà con quanto accertato nella
sentenza di primo grado sul risalire i finanziamenti della fondazione alla Finraf ad
epoca precedente a quella delle erogazioni contestate.
3.5. Sui fatti di distrazione della somma pagata alla società Harmann per un
contratto di consulenza, di cui al capo E, e più in generale sulla sussistenza del
rapporto causale fra i fatti distrattivi contestati e il dissesto, il ricorrente deduce

essenzialmente sotto il profilo dell’elemento psicologico del reato, e violazione di
legge, rispetto ai principi affermati sul punto con la sentenza n. 47502 del
24/09/2012 di questa Corte, in una situazione nella quale l’importo delle
distrazioni contestate era complessivamente pari ad C. 43.996.000, di cui C.
35.000.000 riferiti all’acquisizione di un aereo che rimaneva all’attivo, con
minima incidenza su un passivo di circa un miliardo di euro, e taluni dei fatti
contestati, fra i quali per l’appunto quello di cui al capo E, si collocavano in
epoche precedenti di diversi anni a quella dell’ammissione al concordato
preventivo e nelle quali la fondazione non si trovava in stato di insolvenza, tanto
da percepire finanziamenti bancari. Il ricorrente, laddove si ritenga di aderire
all’orientamento giurisprudenziale difforme da quello citato, per il quale sarebbe
irrilevante il rapporto causale fra la condotta distrattiva ed il dissesto, propone
eccezione di illegittimità costituzionale di detta interpretazione per contrasto con
i principi di ragionevolezza e personalità della responsabilità penale di cui agli
artt. 3 e 27 Cost., e con quello di attribuibilità causale del fatto all’imputato
desumibile dall’art. 6 CEDU, richiamato dall’art. 117 Cost.
3.6. Sull’elemento soggettivo del reato di bancarotta, il ricorrente deduce
violazione di legge nella ritenuta irrilevanza della consapevolezza in capo
all’imputato dello stato di insolvenza della fondazione, la cui necessità è
viceversa affermata in generale nella già citata sentenza n. 47502 del
24/09/2012 di questa Corte e comunque sostenuta, per la posizione del
concorrente estraneo, dal altri arresti giurisprudenziali, ai quali aderiva la
sentenza di questa Corte con la quale veniva annullata, per vizio di motivazione
con riguardo a questo specifico profilo, l’ordinanza di convalida del fermo
dell’imputato e di applicazione nei confronto: dello stesso della misura cautelare
della custodia in carcere. Ulteriore violazione di legge è dedotta con riferimento
all’affermazione contenuta nella sentenza impugnata in ordine alla possibilità di
attribuire all’imputato la qualifica di amministratore di fatto, non contestata nelle
imputazioni, talune delle quali contenenti le specifica indicazione del Daccò quale
beneficiario delle società alle quali venivano destinate le somme, e comunque
5

carenza della motivazione, che trattava dei rapporti fra condotte e dissesto

non provata nel requisito dell’esercizio in modo continuativo e significativo dei
poteri tipici inerenti alla funzione. Il ricorrente lamenta poi illogicità delle ulteriori
conclusioni della Corte territoriale, per le quali la prova della descritta
consapevolezza era comunque sussistente, in quanto fondate su elementi non
significativi; e deduce infine mancanza di motivazione sulle prospettazioni
difensive in ordine alla necessità di approfondire i profili del possibile
collegamento delle distrazioni con rapporti personali del coimputato Cal,
deceduto a seguito di suicidio, con la Regione Lombardia, rilevanti nel momento

sull’illiceità penale delle condotte contestate.
3.7. Sull’affermazione di responsabilità per il reato associativo di cui al capo
G, il ricorrente deduce violazione di legge nell’individuazione dell’oggetto
giuridico del reato nell’ordine pubblico generalmente protetto dall’ordinamento e
non nell’ordine pubblico materiale, la cui lesione genera allarme sociale e
turbamento per i cittadini. Lamenta poi mancanza di motivazione sulla ricorrenza
nella specie di elementi dimostrativi di un’offensività del genere descritto, quali
un’organizzazione stabile e permanente connotata non solo da accordo, proprio
anche del concorso di persone nel reato nella forma aggravata, ma da una
convenzione fra gli associati, l’affectio societatis, la ripartizione dei ruoli ed un
programma criminoso che neppure veniva indicato nella sentenza impugnata.
Carenze motivazionali sono altresì denunciate con riguardo alla ritenuta prova
dell’affidamento all’imputato, nell’ambito dell’associazione, del compito specifico
di gestire i flussi finanziari, della costituzione di una rete di soggetti fiduciari, e
dell’elemento psicologico del reato, nonché in ordine al rapporto fra
l’associazione ed una realtà imprenditoriale regolarmente operante.
3.8. Sul rigetto di istanze di integrazione probatoria, il ricorrente deduce
mancata assunzione di prove decisive costituite dalla motivazione della citata
sentenza del Tribunale di Milano del 30/04/2013, dagli elementi acquisiti nel
corso della relativa istruzione dibattimentale e da documentazione attinente alla
costituzione di società estere riconducibili al Cal; e violazione di legge ed
illogicità della motivazione negli irrilevanti riferimenti alla mancanza di alcuna
pregiudizialità penale e di ragioni di contrasto di giudicati ed all’adozione nel
presente procedimento del rito abbreviato, che non è incompatibile con
l’integrazione probatoria in appello e d’altra parte non consente esiti ingiusti
nella differenziazione delle scelte processuali, e nella ritenuta tardività della
richiesta di acquisizione di documenti la cui esistenza era stata segnalata
nell’informativa di polizia giudiziaria, ma che erano stati resi effettivamente
disponibili solo successivamente alla sentenza di primo grado.
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in cui un’ipotetica destinazione al pagamento di tangenti imposte avrebbe inciso

3.9. Sull’aggravante del danno di rilevante gravità, il ricorrente deduce
violazione di legge ed illogicità della motivazione nella ritenuta applicabilità della
circostanza ai fatti di cui all’art. 223 legge fall., norma non richiamata dall’art.
219 nella previsione della circostanza in esame, e nel richiamo all’orientamento
giurisprudenziale per il quale, rinviando l’art. 223 all’art. 216, detto rinvio
comprenderebbe le circostanze previste dall’art. 219 per i fatti di cui all’art. 216;
in ordine al quale si osserva che l’art. 236 legge fall. rinvia, in tema di
concordato preventivo, unicamente all’art. 223, e che quest’ultimo richiama l’art.

dalla Corte territoriale si risolve pertanto in un’inammissibile interpretazione
analogica, vietata anche ove diretta a superare ritenute disparità di trattamento.
Nel caso in cui l’interpretazione criticata venga accolta, il ricorrente solleva
eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 223 legge fall. per violazione degli
artt. 25, 27 e 111 Cost..
3.10. Sul trattamento sanzionatorio, il ricorrente deduce mancanza di
motivazione con riguardo ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., al di là di un
generico riferimento al rilevante disvalore del fatto, nell’irrogazione di una pena
vicina al massimo edittale, illogicità dell’omessa valutazione dell’incensuratezza
dell’imputato e contraddittorietà del richiamo ad un ritenuta reticenza del Dacc6,
che avrebbe ammesso solo i fatti che non poteva negare, con i ripetuti accenni
della sentenza impugnata a dichiarazioni confessorie dello stesso imputato.
3.11. Sulla condanna dell’imputato al risarcimento dei danni, da liquidarsi in
separata sede, ed al pagamento di una provvisionale di €. 5.000.000, il
ricorrente deduce mancanza di motivazione in ordine ai danni che sarebbero
derivati dalle condotte contestate, tenuto conto di quanto sostenuto con i motivi
precedenti sulla carenza di prova della provenienza delle somme distratte da
operazioni di sovrafatturazione, sul rapporto causale fra le condotte ed il dissesto
e sulla permanenza all’attivo dell’aereo acquistato, e violazione di legge nella
sostanziale pronuncia della condanna civile quale automatica conseguenza del
riconoscimento della responsabilità penale, con inflizione di una sanzione
punitiva piuttosto che risarcitoria, non ammessa nel nostro ordinamento. Il
ricorrente propone altresì istanza di sospensione dell’esecuzione della condanna
al pagamento della provvisionale.
3.12. La parte civile ha depositato memorie a sostegno della richiesta di
rigetto del ricorso.

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216 per le sole conseguenze sanzionatorie, e che l’argomentazione condivisa

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi proposti sui fatti di distrazione di somme derivanti da
sovrafatturazioni sono infondati con riguardo all’imputazione relativa alle somme
corrispondenti alle fatture della Diodoro e della Metodo, di cui al capo A, e invece
fondati, nei termini che saranno in seguito precisati, per l’imputazione relativa
alle somme corrispondenti alle fatture della Progetti, di cui al capo F.
1.1. Deve in primo luogo escludersi la sussistenza del vizio di mera

lamentato dal ricorrente nella trattazione dei capi di imputazione di cui sopra, ma
con riferimento in via generale all’intero assetto argomentativo della sentenza
impugnata. Se è vero, infatti, che quest’ultima contiene diversi e peraltro
opportuni riferimenti anche testuali all’appellata sentenza del Giudice
dell’udienza preliminare, è vero altresì che la Corte territoriale non si è in alcun
modo sottratta, come si vedrà nel seguito, agli obblighi di autonoma e motivata
valutazione delle questioni poste dall’appellante, dando alle stesse specifiche
risposte, rispetto alle quali i richiami in discussione assumono la valenza di mere
premesse.
Insussistente è altresì la contraddittorietà denunciata nel ricorso fra la
ritenuta creazione, con la sovrafatturazione delle prestazioni fornite dalla Diodoro
e dalla Metodo, della provvista poi distratta, e le risultanze riportate nella stessa
sentenza impugnata in ordine al sistematico fenomeno di omesso, ritardato o
parziale pagamento delle fatture ricevute dalla fondazione, addirittura oggetto di
una mirata strategia di autofinanziamento.
L’esistenza sia delle contestate sovrafatturazioni che del ritorno di somme in
contanti dalle indicate società fornitrici era oggetto di congrua motivazione,
articolata nel preliminare richiamo alle considerazioni della sentenza di primo
grado, per il primo aspetto, sulle dichiarazioni dei coimputati e dei testi Galli,
Valsecchi e Donati, con particolare riguardo alla fatturazione di costi di entità
doppia rispetto a quella prevista per la costruzione di un complesso immobiliare
a Cologno Monzese e di un ospedale a Olbia, ed ai pregressi rapporti con il Cal
della famiglia Zammarchi, alla quale facevano capo sia la Diodoro che la Metodo;
e per il secondo profilo sulleararazioni di Pierino Zammarchi, della teste Galli,
segretaria del Cal, e dei: tkigéidiversi testimoni, ft tti=cfmii#1a=segnitaxita=dé-C-a4
Stelanietzertai, e dei coimputati Valsecchi, Lora e Freschi. Su questa premessa, la
Corte territoriale rammentava come la pratica della sovrafatturazione delle
prestazioni delle società riconducibili agli Zammarchi, e delle occulte restituzioni
delle corrispondenti somme in contanti, fosse stata specificamente confermata
dallo stesso Pierino Zannnnarchi, il quale quantificava dette restituzioni nella
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apparenza della motivazione nel richiamo alla decisione di primo grado,

precisa percentuale del 3% del fatturato; ed osservava che lo Zammarchi e la
Galli attribuivano altresì all’imputato le diretta ricezione delle somme, peraltro
ammessa nella sua materialità dal Daccò. La versione di quest’ultimo, per la
quale le movimentazioni delle somme ricevute dalle società fornitrici costituivano
in realtà restituzioni di denaro che egli aveva precedentemente versato al Cal, a
richiesta di questi, veniva ritenuta inattendibile per la mancanza di elementi
dimostrativi di tale assunto e per l’inverosimiglianza dello stesso, di contro, a
fronte della frequenza delle operazioni e dell’ammontare delle somme che ne

conclusione per la quale tali flussi finanziari, per non produrre un’altrimenti
inspiegabile decurtazione dei ricavi della Diodoro e della Metodo, non potevano
che derivare da disponibilità occulte create con le sovrafatturazioni, e quindi
provenienti in origine dalla fondazione; in tal modo venendo ad essere
confermate per altra via le indicazioni di Pierino Zammarchi e dei testi citati. E di
conseguenza insussistente è la contraddittorietà lamentata dal ricorrente rispetto
ad una pratica di mancato pagamento delle fatture riferita evidentemente in
senso generico ai fornitori, ma non riguardante specificamente le posizioni della
Diodoro e della Metodo.
1.2. A diverse conclusioni deve giungersi, come anticipato, per la distrazione
di somme contestate come provenienti dal pagamento e dal ritorno occulto di
somme corrispondenti a sovrafatturazioni delle prestazioni della Progetti.
Precisato incidentalmente che la censura, relativa alla collocazione
temporale del pagamento di somme versate dal Lora e dal Freschi per €.
526.000 fino al 2005 e quindi in epoca anteriore all’inizio dei rapporti del Daccò
con il Cal, trovava risposta già nella sentenza impugnata con la ritenuta
esclusione delle condotte relative a tali somme dalla condanna per un addebito
nel quale la data commissiva del fatto era indicata con inizio al 2006, per tale
imputazione, sulle considerazioni relative a quella precedentemente esaminata,
si innesta invero un fatto nuovo; indicato dal ricorrente, con i motivi aggiunti,
nella sopravvenuta irrevocabilità il 29/10/2013, in mancanza di impugnazione
del pubblico ministero, della sentenza del 30/04/2013 con la quale il Tribunale di
Milano, all’esito del giudizio ordinario, assolveva il Lora ed il Freschi dallo stesso
addebito per insussistenza del fatto ai sensi dell’art. 530, comma secondo, cod.
proc. pen..
In ordine alla rilevanza di tale circostanza, ai fini del giudizio sulla
fondatezza del ricorso, devono ritenersi condivisibili le argomentazioni già svolte
da questa Corte in un caso analogo, peraltro segnalato anche dal ricorrente (Sez.
6, n. 3702 del 04/12/2012 (23/01/2013), Capasso, Rv. 254766; si trattava
anche in quell’occasione dell’intervenuta definitività, successivamente alla
9

2r.

costituivano l’oggetto. Nessun vizio logico è a questo punto ravvisabile nella

proposizione del ricorso per cassazione, della decisione assolutoria, nei confronti
di coimputati giudicati con il rito ordinario, per la ritenuta insufficienza della
prova della sussistenza dello stesso reato contestato agli imputati che avevano
richiesto il giudizio abbreviato).
La situazione, per quanto detto comune al caso qui trattato ed al precedente
appena citato, presenta una peculiare coesistenza di aspetti significativi.
Primo di essi è la ricorrenza quanto meno della potenzialità di un contrasto
fra i fatti accertati nella sentenza qui impugnata ed in quella pronunciata nei

opposte conclusioni sulla prova della sussistenza dello stesso fatto contestato, e
non solo della partecipazione ad esso dei singoli imputati; contrasto che una
lettura anche meramente sommaria della sentenza del 30/04/2013 consente
peraltro di ricondurre alla prova dell’effettiva sovrafatturazione delle prestazioni
della Progetti, fatto il cui accertamento costituisce sicuramente presupposto
essenziale della configurabilità dell’addebito per come descritto nell’imputazione.
Ulteriore profilo ravvisabile nella fattispecie processuale venutasi a creare è
quello dell’essersi realizzati, solo in pendenza del giudizio di cassazione, gli
estremi per l’applicabilità in concreto della previsione di cui all’art. 238-bis cod.
proc. pen. in ordine alla possibilità di acquisire e valutare, nei termini di cui alla
norma appena indicata, una sentenza definitiva pronunciata in altra sede e
riportante l’accertamento di fatti rilevanti nel presente procedimento, che, ove
disponibile nel giudizio di merito, avrebbe consentito di verificare nel corso dello
stesso il contrasto con le conclusioni qui assunte in ordine alla ricostruzione della
vicenda.
Questa verifica tuttavia, e si tratta dell’ultima particolarità significativa della
situazione esaminata, inerisce ad una prospettiva di valutazione tipica del
giudizio di merito, e non può che essere effettuata in quella sede. Tanto non
permette di scrutinare nel presente giudizio di legittimità l’effettiva portata della
sentenza del 30/04/2013 nell’accertamento di fatti contrastanti con quelli ritenuti
provati nella sentenza qui impugnata; seguendone in particolare l’impraticabilità
dell’esame dei rilievi proposti dalla parte civile, con la memoria depositata,
sull’incidenza rispetto a tale contrasto della diversità dei riti processuali e di una
difforme valutazione sull’attendibilità delle dichiarazioni di testi e coimputati,
difformità che peraltro caratterizzava anche il caso affrontato con la citata
pronuncia n. 3702 del 2012 di questa Corte.
Risultanti di queste convergenti connotazioni sono per un verso il realizzarsi
di una situazione di contrasto con una diversa e definitiva decisione in tema di
sussistenza del fatto contestato, che può peraltro dar luogo, con la definitività
della sentenza impugnata, alle condizioni legittimanti un giudizio di revisione per
10

cI

confronti dei coimputati nel giudizio ordinario, in quanto decisioni pervenute ad

contraddittorietà fra giudicati ai sensi dell’art. 630, lett. A., cod. proc. pen.; e,
d’altra parte, l’impossibilità di valutare in sede di legittimità se tale contrasto si
fondi su accertamenti di fatti realmente inconciliabili. Il motivo di ricorso in
esame prospetta dunque un vizio di effettiva incoerenza della sentenza
impugnata rispetto ad una risultanza processuale, alla quale il passaggio in
giudicato della più volte menzionata decisione del 30/04/2013 conferisce
efficacia probatoria ai sensi dell’art. 238-bis cod. pen., che, pur presentandosi
come potenzialmente decisiva, non ha potuto dispiegare tale efficacia nel

procedimento trattato con il rito abbreviato nei confronti del Daccò e di quello
che ha seguito le vie ordinarie nei confronti dei computati. La rilevabilità in
questa sede di un vizio siffatto è conforme al sistema anche in considerazione di
evidenti ragioni di economia processuale e di rispetto del principio costituzionale
di ragionevole durata del processo, che impongono di non demandare ad un
eventuale giudizio di revisione la risoluzione di un contrasto che di tale sistema è
risultato fisiologicamente possibile, nel momento in cui l’ordinamento ammette
l’eventualità che imputati di uno stesso fatto criminoso optino per riti
procedimentali differenziati; essendone naturale rimedio l’annullamento della
sentenza impugnata con rinvio per un nuovo esame nel quale possa essere
valutata l’incidenza, sulla prova dell’addebito contestato, degli accertamenti di
fatto di cui alla sentenza separatamente pronunciata a carico dei coimputati.
Le segnalate peculiarità della vicenda processuale in discussione ne
escludono la riconducibilità all’orientamento giurisprudenziale, citato dalla parte
civile nella memoria depositata, che individua il giudizio di revisione come sede
delle doglianze riguardanti contrasti di giudizi (Sez. 3, n. 10207 del 24/09/1997,
Asselti, Rv. 209460; Sez. 5, n. 16275 del 16/03/2010, Zagari, Rv. 247261).
L’esame di queste ultime decisioni rivela infatti come le stesse, in sostanziale
aderenza ai principi affermati in termini più generali da questa Corte
sull’impossibilità di dedurre per cassazione vizi di contraddittorietà della
motivazione rispetto a provvedimenti diversi da quello impugnato, fondati su
differenti valutazioni di merito (Sez. 5, n. 34643 dell’08/05/2008, De Carlo, Rv.
240996; Sez. 3, n. 15987 del 06/03/2013, Parisi, Rv. 255417; Sez. 1, n. 4875
del 19/12/2012 (31/01/2013), Abate, Rv. 254193), si riferiscano a difformi
giudizi su casi analoghi a quello oggetto del procedimento oggetto del ricorso per
cassazione; e non, come nel caso di specie, alla particolare situazione nella quale
la sussistenza di un medesimo fatto sia oggetto di valutazioni diametralmente
opposte in procedimenti separati, e la possibilità di apprezzare l’efficacia
probatoria di una delle decisioni, legata alla definitività della stessa, si concretizzi

11

giudizio di merito per contingenti circostanze derivanti dai diversi sviluppi del

prima del giudizio di legittimità, ma successivamente all’esaurimento dei gradi di
merito costituenti sede propria di tale valutazione.
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio ad altra
Sezione della Corte d’Appello di Milano per nuovo esame che tenga conto, ai fini
del giudizio sulla responsabilità dell’imputato per il reato di cui al capo F, degli
accertamenti di cui alla sentenza definitiva del Tribunale di Milano del
30/04/2013, pronunciata nei confronti dei coimputati dello stesso reato.

punto precedente rendono fondata, per le stesse ragioni, l’assorbente censura
proposta nei motivi aggiunti, con riguardo all’affermazione di responsabilità
dell’imputato per i fatti di distrazione della somma ceduta tramite la Metodo alla
MTB quale anticipo per una fittizia operazione immobiliare, di cui al capo B, in
ordine all’intervenuto passaggio in giudicato della menzionata sentenza del
Tribunale di Milano del 30/04/2013, con la quale il coimputato Gianluca
Zammarchi veniva assolto per insussistenza del fatto dallo stesso addebito.
Anche rispetto a tale disposizione assolutaria, infatti, viene dedotto il contrasto
del giudizio di responsabilità del Daccò in quanto fondato sull’accertamento di un
fatto necessariamente presupposto dell’imputazione, quale l’incongruità dei
pagamenti effettuati dalla fondazione in favore della Metodo per le opere da
quest’ultima realizzate, la prova del quale veniva ritenuta insufficiente con la
sentenza definitiva nei confronti del coimputato; ed anche per questa
imputazione, conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere annullata
con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Milano per un nuovo esame
comprendente le conclusioni, in termini di ricostruzione dei fatti, della decisione
sulla posizione del Zammarchi.

3. I motivi proposti sui fatti di distrazione del valore dell’acquisizione del
capitale della Assion, di cui al capo C, sono infondati.
E’ in primo luogo infondata la censura di violazione del principio di
corrispondenza fra il fatto contestato e quello ritenuto con la sentenza
impugnata, che il ricorrente asserisce essere stato individuato nella condotta di
uso personale, da parte dell’imputato, dell’aereo di proprietà della Assion. Dalla
lettura della sentenza emerge chiaramente che il riferimento a tale condotta, in
quanto inserito su una decisione di primo grado nella quale la motivazione
dell’esistenza di una condotta distrattiva o dissipatoria era imperniata sui costi
sostenuti dalla fondazione per l’acquisizione e la gestione della Assion, assumeva
mera valenza di ulteriore elemento di prova, per un verso, dell’incongruenza di
tale impegno economico per un’utilità rappresentata unicamente dalla
12

2. Considerazioni puntualmente corrispondenti a quelle appena svolte al

disponibilità di un aereo, superflua rispetto alle effettive esigenze della San
Raffaele tanto da consentirne l’utilizzazione per fini propri dell’imputato; e, per
altro, del diretto coinvolgimento di quest’ultimo nell’operazione.
Consequenziale a queste osservazioni è l’insussistenza della dedotta
contraddittorietà delle conclusioni della Corte territoriale rispetto alle
dichiarazioni della teste Galli, per le quali i viaggi effettuati con l’aereo dal Daccò
per fini personali erano dallo stesso pagati con l’emissione di fatture nei confronti
di società allo stesso riferibili. A prescindere dalla congruità di tali forme di

di merito nella sottrazione alla fondazione di risorse sproporzionate rispetto ai
vantaggi derivanti dall’acquisizione della Assion ed all’impiego del velivolo di
proprietà della stessa, il cui uso personale da parte del Daccò era coerentemente
ritenuto quale dimostrativo della mancanza di adeguata utilità del mezzo per le
necessità della fondazione.
Sull’esistenza di una siffatta utilità, il ricorrente si limita a proporre rilievi di
merito, espressivi di una valutazione alternativa che non intacca la logicità delle
conclusioni della sentenza impugnata sul punto, fondate anche sul richiamo di
quanto osservato in primo grado in ordine all’essere la fondazione gravata di
tutte le spese sostenute dalla Assion, come risultante dalla documentazione
acquisita e dalle dichiarazioni dei testi Zacchio, Donati, Di Leo e Sari, questi
ultimi due componenti della società incaricata della ricerca dell’aereo sul
mercato. Insussistente è poi la dedotta contraddittorietà delle conclusioni dei
giudici di merito con la circostanza per la quale l’aereo della Assion rimaneva
nella disponibilità della curatela. Tale circostanza è infatti irrilevante rispetto ad
un’articolazione motivazionale riferita all’imputazione di distrazione o, comunque,
di dissipazione di risorse impiegate nell’acquisto di beni ritenuti, per quanto
detto, privi di effettiva utilità per la fondazione; risorse il cui esborso non veniva
in ogni caso compensato dalla liquidazione del velivolo in sede fallimentare.
In ordine infine alla materiale partecipazione dell’imputato all’operazione
contestata, i rilievi del ricorrente sono generici nella censura della sufficienza del
riferimento a quanto riferito dal teste Di Leo sull’interesse manifestato dal Daccò
per l’acquisizione dell’aereo, a fronte di quanto più ampiamente argomentato
dalla Corte territoriale sull’utile direttamente tratto dall’imputato dall’uso
personale del velivolo, secondo quanto riferito in proposito dalla teste Galli.

4. I motivi proposti sui fatti di distrazione di somme erogate all’imputato ed
alla Euroworldwide, tramite la Assion, la Finraf e la Airviaggi, in pagamento di
ricerche sul mercato per l’acquisto di un velivolo, di cui al capo D, sono infondati.

13

pagamento, infatti, la condotta penalmente rilevante era individuata dai giudici

Posto che il ricorrente non pone in discussione le conclusioni dei giudici di
merito sulla mancanza di alcuna proporzione fra i versamenti ricevuti
dall’imputato e dalla Euroworldwide e il valore della consulenza effettuata per le
ricerche di mercato, e comunque sull’evidente inutilità di tali ricerche laddove la
fondazione aveva già acquisito un aereo, spendendovi disponibilità che si è visto
peraltro essere state ritenute già esse incongrue con la sentenza impugnata, è in
primo luogo infondata la censura di carenza motivazionale sulla provenienza dei
predetti versamenti dalla fondazione. La Corte territoriale argomentava infatti sul

nell’evidenziare l’eccessività delle provvigioni collegava sostanzialmente i
pagamenti ad un’attività svolta nell’apparente interesse della fondazione; e per
altro alle stesse ammissioni dell’imputato sulla natura fittizia della consulenza e
sulla riconducibilità dei pagamenti a restituzioni di somme da lui anticipate per
l’acquisto dell’aereo della Assion da parte della fondazione, che anche da questo
punto di vista stabilivano un legame fra quest’ultima e i versamenti contestati.
Considerazioni, queste, alle quali il ricorrente nulla specificamente oppone in
ordine alle ragioni per le quali la Assion, la Finraf e la Airviaggi avrebbero
effettuato i pagamenti con disponibilità proprie, e non contesta peraltro che
finanziamenti siano stati erogati dalla fondazione alla Finraf; limitandosi a
rilevare in proposito l’anteriorità temporale di detti finanziamenti ai pagamenti
oggetto dell’imputazione, che non dà luogo alla denunciata contraddizione con
l’impiego per gli stessi di tali risorse o di altre provenienti dalla fondazione.

5. I motivi proposti sui fatti di distrazione della somma pagata alla società
Harmann per un contratto di consulenza, di cui al capo E, e sulla sussistenza del
rapporto causale fra questo e gli altri fatti distrattivi contestati e il dissesto, sono
infondati.
5.1. Infondata è per il vero, con specifico riguardo all’imputazione in esame,
la censura di mancanza di motivazione; laddove nella sentenza impugnata, pur
riaffermandosi il principio dell’irrilevanza in linea generale del collegamento
causale fra la condotta distrattiva ed il dissesto e, conseguentemente, della
distanza temporale intercorsa fra la prima ed il secondo, si richiamavano
comunque le dichiarazioni del teste Belloni in ordine alla difficile situazione
finanziaria manifestatasi già prima del 2003 nella gestione della fondazione, la
compatibilità dell’insolvenza di quest’ultima con il finanziamento erogato dalla
Banca Europea di Investimenti, riferibile anche alla ristrutturazione della
posizione debitoria, e quanto osservato nella relazione dei commissari giudiziali
con riguardo all’incidenza, sull’aggravamento del dissesto, dei debiti derivanti da
operazioni effettuate sistematicamente, e per importi rilevanti, per iniziative non
14

punto nel riferimento per un verso alle dichiarazioni del teste Di Leo, che

inerenti all’attività ospedaliera della fondazione. Riconoscendosi motivatamente
tale carattere all’operazione in esame in base alle dichiarazioni del teste
Valsecchi sulla persistenza dei problemi nei rapporti esteri della fondazione, che
la consulenza avrebbe dovuto risolvere, e degli addetti alla contabilità Zacchia,
Bozzato, Lorenzani, Taccardi e Migliaccio, i quali si dicevano all’oscuro di attività
svolte dalla società Harmann a favore della fondazione, ed alle ammissioni
dell’imputato sulla natura fittizia del contratto di consulenza in quanto destinato
a giustificare la restituzione di un prestito precedentemente erogato al Cal, del

5.2. Le censure del ricorrente, tuttavia, sono più in generale infondate, con
riguardo al tema del rapporto causale fra le condotte distrattive contestate ed il
dissesto, in quanto relative, come del resto rammentato nella sentenza
impugnata, ad un aspetto irrilevante ai fini della configurabilità del reato di
bancarotta fraudolenta.
Detta irrilevanza è stata reiteratamente ed anche recentemente affermata
da questa Corte sulla base dell’estraneità del dissesto alla struttura essenziale
del reato e della conseguente impossibilità di qualificarlo come evento dello
stesso, con l’ulteriore implicazione dell’indifferenza, rispetto alla realizzazione
della fattispecie criminosa, del suo collegamento eziologico con la condotta (Sez.
5, n. 34584 del 06/05/2008, Casillo, Rv. 241349; Sez. 1, n. 40172
dell’01/10/2009, Simonte, Rv. 245350; Sez. 5, n. 16759 del 24/03/2010, Fiume,
Rv. 246879; Sez. 5, n. 232 del 09/10/2012 (07/01/2013), Sistro, Rv. 254061;
Sez. 5, n. 7545 del 25/10/2012 (15/02/2013), Lanciotti, Rv. 254634; Sez. 5, n.
27993 del 12/02/2013, Di Grandi, Rv. 255567).
Il ricorrente ha posto l’attenzione su un arresto giurisprudenziale che in
radicale contrato con tale orientamento, identificando nello stato di insolvenza,
che abbia dato luogo alla dichiarazione di fallimento o, nel caso che ci occupa,
all’ammissione al concordato preventivo allo stesso assimilata ai sensi dell’art.
236, comma secondo, n. 1 legge fall., un elemento costitutivo essenziale del
reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, ha ritenuto che allo stesso non
possa essere negata la qualificazione di evento del reato; traendone la
conseguenza della necessaria esistenza, ai fini dell’integrazione del reato, di un
nesso causale fra tale evento e la condotta (Sez. 5, n. 47502 del 24/09/2012,
Corvetta, Rv. 253493).
Orbene, è agevole osservare, in primo luogo, come la citata pronuncia
costituisca un precedente assolutamente isolato a fronte di decisioni che anche in
epoca successiva, per quanto risulta dalla loro precedente e peraltro sommaria
elencazione, hanno ribadito il principio dell’irrilevanza dell’incidenza causale della
condotta sulla determinazione dello stato di insolvenza. E non può d’altra parte
15

quale non vi era peraltro alcun riscontro.

sottacersi come il caso oggetto della sentenza in esame presentasse
connotazioni singolari, riguardando la responsabilità di un soggetto titolare della
carica amministrativa di una società in un periodo delimitato e seguito,
precedentemente al fallimento della società stessa, dalla gestione di soggetti
diversi e da una procedura di amministrazione giudiziale, ai sensi dell’art. 2409
cod. civ., conclusasi senza rilievi di insolvenza.
A prescindere da queste considerazioni, deve tuttavia aggiungersi come, per
un verso, gli argomenti posti a sostegno delle conclusioni della sentenza

attribuita in quella sede; e come, per altro, dette conclusioni incontrino
insormontabili ostacoli di carattere sistematico, che la sentenza, pur facendosene
in parte carico, non riesce a rimuovere, e che di contro si traducono in elementi
determinanti a sostegno dell’interpretazione predominante.
5.2.1. Quanto al primo dei profili appena indicati, la sentenza Corvetta
richiama un orientamento giurisprudenziale che ha in effetti reiteratamente
qualificato il fallimento come elemento costitutivo dei reati di bancarotta (Sez. 5,
n. 683 del 19/06/1968, Tagliaferri, Rv. 108978; Sez. 5, n. 241 del 06/02/1969,
Cassano, Rv. 110785; Sez. 5, n. 580 del 06/04/1971, Santoro, Rv. 118409; Sez.
1, n. 687 del 06/04/1973, Pagot, Rv. 126075; Sez. 5, n. 6484 del 16/12/1975
(29/05/1976), Lancellotti, Rv. 133666; Sez. 5, n. 1761 del 21/12/1977
(17/02/1978), Tani, Rv. 137976; Sez. 5, n. 10076 del 17/05/1978, Baffi, Rv.
139835; Sez. 5, n. 10524 del 17/07/1981, Gini, Rv. 151091; Sez. 5, n. 3688 del
21/02/1986, Marra, Rv. 172663; Sez. 5, n. 306 del 17/11/1989 (15/01/1990),
Sargenti, Rv. 183026; Sez. 5, n. 2136 del 09/12/1999 (23/02/2000),
Tuttolomondo, Rv. 215477; Sez. 1, n. 1825 del 06/11/2006 (22/01/2007),
Iacobucci, Rv. 235793); rilevando, rispetto ad esso, la coerenza della
conclusione che indica il dissesto quale evento del reato, e la dissonanza, di
contro, dell’interpretazione che esclude la necessità del rapporto causale del
dissesto con la condotta.
Un esame accurato delle pronunce riconducibili a tale orientamento
evidenzia tuttavia come le stesse richiamino tralatiziamente, e senza particolari
precisazioni teoriche, una lontana ma non contrastata decisione delle Sezioni
Unite di questa Corte (Sez. U, n. 2 del 25/01/1958, Mezzo, Rv. 98004), che,
contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza Corvetta, non si era affatto
espressa nei termini definitori del fallimento quale elemento costitutivo del reato;
ma, seguita peraltro in questa prospettiva da altre pronunce successive (Sez. 5,
n. 33 del 17/01/1967, Turiaco, Rv. 103644; Sez. 5, n. 98 del 30/01/1968,
Scarinzi, Rv. 107572; Sez. 6, n. 1759 del 16/10/1969, Cianfrocca, Rv. 113250;
Sez. 1, n. 2129 del 27/10/1970 (18/01/1971), Angiolini, Rv. 116261; Sez. 5, n.
16

commentata si rivelino, ad un’approfondita analisi, privi della decisività ad essi

92 del 08/11/1971 (12/01/1972), Mari, Rv. 119793; Sez. 1, n. 374 del
20/02/1973, Alessandrini, Rv. 124661; Sez. 5, n. 2811 del 30/01/1985,
Squadrito, Rv. 168506), aveva testualmente qualificato la dichiarazione di
fallimento come «condizione di esistenza del reato».
Questa definizione manifesta chiaramente l’intento di denotare una realtà
diversa da quella dell’elemento costitutivo del reato, quanto meno nel significato
proprio del termine; attagliandosi la stessa ad una componente necessaria
perché il fatto sia penalmente rilevante, ma, come evidenziato dal termine

Tanto illumina il significato reale della successiva giurisprudenza, ove per un
verso definitoria del fallimento come elemento costitutivo del reato, ma per altro
dichiaratamente ripropositiva dei principi di cui alla citata decisione delle Sezioni
Unite, riferendolo inevitabilmente ad una nozione di elemento costitutivo in
senso assolutamente improprio; il ricorso alla quale appare mirato, come è reso
esplicito in molte delle pronunce citate, a rimarcare la rilevanza della data e del
luogo della dichiarazione di fallimento ai fini dell’applicabilità di determinati
istituti sostanziali e processuali, quali la prescrizione del reato o la competenza
territoriale. Che questo sia il contenuto effettivo della linea giurisprudenziale in
discussione è peraltro evidente laddove il fallimento è stato espressamente
ricondotto ad una categoria di elementi della fattispecie incriminatrice diversi da
quelli propriamente costitutivi del reato (Sez. 5, n. 15850 del 26/06/1990,
Bordoni, Rv. 185883).
Se questo è il senso che deve essere effettivamente attribuito alle definizioni
giurisprudenziali del fallimento come elemento dei reati di bancarotta, ne segue
che allo stesso non può essere riconosciuto alcun significato interpretativo nella
direzione della qualificazione del fallimento, o della situazione di insolvenza o
dissesto che ne costituisce il fondamento sostanziale, come evento dei reati in
esame.
5.2.2. Venendo ora a considerare i dati di carattere sistematico, i quali si
oppongono alla tesi che vede nel fallimento o comunque nel dissesto un evento
causalmente collegato alla condotta distrattiva, deve menzionarsi in primo luogo
la difficoltà di tracciare tale collegamento con un accadimento costituito da un
atto giudiziario, quale la dichiarazione di fallimento o l’ammissione al concordato
preventivo, estraneo alle determinazioni ed alla disponibilità del soggetto
agente; difficoltà che in effetti induce l’argomentazione della sentenza Corvetta a
riferire tale rapporto ad un evento identificato nel presupposto sostanziale del
fallimento, ossia il dissesto o lo stato di insolvenza, tuttavia diverso dalla realtà
espressamente indicata dalla norma incriminatrice nella sentenza dichiarativa del
fallimento o negli atti alla stessa equiparati.
17

/

«condizione», distinta dai dati costitutivi della struttura essenziale del reato.

Nella stessa sentenza esaminata, inoltre, si riconosce la difficile
ipotizzabilità di un rapporto causale fra il dissesto e le condotte di bancarotta
documentale. La risposta data dalla sentenza al problema, nel senso della
possibilità che il fallimento assuma funzioni diverse nella bancarotta documentale
ed in quella patrimoniale, non è convincente a fronte della collocazione
perfettamente analoga che il riferimento normativo alla dichiarazione di
fallimento presenta nella struttura testuale delle due fattispecie; dato, questo,
che sostiene di contro la tesi dell’irrilevanza del rapporto causale fra la condotta

ipotesi del reato di cui si discute.
Situazione analoga, questa tuttavia non affrontata nella sentenza
commentata, è quella che si riscontra per i casi di bancarotta postfallimentare di
cui all’art. 216, comma secondo, legge fall.; nei quali la posteriorità temporale
della condotta rispetto al fallimento esclude addirittura in radice alcuna possibile
dipendenza causale di quest’ultimo dalla prima.
Ma è altresì decisiva la circostanza per la quale la rilevanza del rapporto
causale fra la condotta ed il dissesto è espressamente prevista per le sole
fattispecie di bancarotta impropria di cui all’art. 223, comma secondo, legge fall..
Quanto osservato sul punto nella sentenza Corvetta, per la quale detta
disposizione fungerebbe da norma di chiusura e di estensione dell’incriminazione
a tutte le ipotesi dolose che cagionino il fallimento, in quanto tale rivelatrice
dell’implicita ricorrenza del descritto nesso causale in tutte le ipotesi di
bancarotta, non è sostenibile nel momento in cui nessun segnale di siffatta
implicita previsione è ravvisabile nelle norme incriminatrici diverse dal citato art.
223; la cui interpretazione quale norma di chiusura si presenta a questo punto
come il risultato di un’inammissibile forzatura. Né è significativo l’ulteriore
riferimento della sentenza commentata alla presenza, fra i reati societari il cui
rapporto causale con il dissesto determina la configurabilità del reato di
bancarotta impropria di cui all’art. 223, secondo comma, n. 1 legge fall., del
reato di illegale ripartizione di utili previsto dall’art. 2627 cod. civ., qualificabile
anche come ipotesi di bancarotta per distrazione, ed all’asserita irragionevolezza
dell’essere il rapporto causale in esame rilevante o meno a seconda che lo stesso
fatto sia qualificato come bancarotta impropria da reato societario o come
bancarotta fraudolenta patrimoniale. Il presupposto dell’argomentazione, ossia la
possibilità di qualificare senz’altro la condotta di illegale ripartizione di utili anche
come bancarotta per distrazione, è infatti insussistente in presenza della clausola
di riserva rispetto alle ipotesi in cui il fatto costituisca più grave reato,
espressamente prevista dal citato art. 2627; ed invero l’utile integralmente
distribuito, in quanto di spettanza dei soci e non della società, non integra di per
18

ed il fallimento, in quanto neppure astrattamente ravvisabile in talune delle

sé l’oggetto materiale del reato di bancarotta per distrazione, ma lo diventa solo
nell’ipotesi in cui la sua assegnazione avvenga senza la prededuzione dell’onere
tributario e della conseguente penalità, incidendo in tal modo la condotta su
disponibilità eccedenti quelle di pertinenza dei soci (Sez. 5, n. 17692 del
18/02/2009, Ferrari, Rv. 243612).
E’ invece estremamente significativo che l’art. 223, comma secondo, legge
fall. sia stato modificato dall’art. 4 d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61, con l’estensione
della previsione del nesso causale con il dissesto, precedentemente in vigore per

quelle di bancarotta impropria da reato societario, senza che analoga
disposizione sia stata con l’occasione introdotta anche per gli altri reati
fallimentari. Tanto infatti conferma ulteriormente il chiaro e persistente intento
del legislatore di riservare il requisito della necessità del rapporto causale fra la
condotta ed il dissesto al limitato ambito delle ipotesi di bancarotta impropria,
escludendolo di conseguenza per le altre fattispecie di bancarotta.
5.2.3. In conclusione, il precedente citato dal ricorrente non è in grado di
porre in discussione quello che, ove correttamente analizzato, si dimostra essere
un costante, radicato e coerente orientamento giurisprudenziale, per il quale il
fallimento, pur integrando condizione necessaria per la configurabilità dei reati di
bancarotta, solo in tal senso definita con l’improprio richiamo alla nozione di
elemento costitutivo del reato, non ne costituisce l’evento se non per le ipotesi di
cui all’art. 223, comma secondo, legge fall., nelle quali lo stesso è
espressamente previsto come tale. Al di fuori di tali ipotesi, come pure è stato
sottolineato in giurisprudenza (Sez. 5, n. 16759 del 24/03/2010, Fiume, Rv.
246879), la condotta presenta connotati intrinseci di offensività, che nelle
fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale si manifesta in particolare nei
confronti della garanzia generica che il patrimonio dell’imprenditore, secondo la
previsione dell’art. 2740 cod. civ., offre ai creditori, messa in pericolo dalla
destinazione di componenti del patrimonio a finalità diverse da quelle inerenti
all’attività imprenditoriale (Sez. 5, n. 36629 del 05/06/2003, Longo, Rv.
227148). Rispetto a tale dimensione di pericolosità, la dichiarazione di
fallimento, o le situazioni ad essa assimilate, svolgono la duplice funzione di
qualificare ulteriormente l’offesa nella prospettiva del pericolo che,
nell’eventualità dell’intervento della procedura concorsuale, il soddisfacimento
per quanto possibile delle pretese creditorie, a cui la stessa è funzionale, sia
pregiudicato dalla pregressa ed indebita diminuzione patrimoniale; e di
attualizzare tale lesività con l’effettiva apertura della procedura indicata. Ed in
quanto elemento qualificante ed attualizzante dell’offesa, l’atto giudiziale
determinativo della procedura concorsuale non è riconducibile ad alcuna delle
19

le sole ipotesi di bancarotta impropria per causazione dolosa del fallimento, a

categorie degli elementi costitutivi del reato in senso proprio, e tanto meno a
quella dell’evento, in ordine al quale sia possibile ragionare in termini di
necessario rapporto causale con la condotta.
In questa prospettiva risulta priva di fondamento il rilievo, espresso ancora
nella sentenza Corvetta, in ordine al contrasto della tesi dell’irrilevanza del
rapporto causale con l’art. 27 Cost., laddove la punibilità sarebbe fatta
dipendere, a prescindere dalla natura e dall’entità della distrazione, da
circostanze estranee alla volontà del soggetto agente, quali la dimensione del

con i creditori ad una soluzione negoziale di una crisi finanziaria. Tali circostanze
non incidono infatti sull’offensività del reato, contraddistinta dal pericolo che, ove
per qualsiasi ragione si dia luogo ad una procedura concorsuale, l’esito della
stessa venga condizionato da atti distrattivi che abbiano comunque ridotto il
patrimonio disponibile. E per le stesse ragioni è manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 216 legge fall., ove interpretato in
conformità alla tesi di cui sopra, proposta con motivo subordinato dal ricorrente.

6. I motivi proposti sull’elemento soggettivo del reato di bancarotta sono
infondati.
6.1. Detti motivi si fondano sul presupposto giuridico della necessità che
l’affermazione di responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta sia assistita
dalla consapevolezza dello stato di insolvenza della fallita, e comunque che
siffatta consapevolezza sia presente nel concorrente estraneo al reato, quale
deve essere qualificato il Daccò nell’impostazione accusatoria; e,
conseguentemente, su censure di violazione di legge e di illogicità motivazionale
nell’asseritamente vano tentativo della Corte territoriale di superare la mancanza
di prova, in ordine a tali presupposti, con l’attribuzione all’imputato della
posizione di amministratore di fatto della fondazione o, in ogni caso, con il
riferimento di elementi indicativi della consapevolezza del dissesto di
quest’ultima in capo al Daccò.
Per questo secondo aspetto, posto che il principio di correlazione fra l’accusa
e la sentenza di condanna non è violato ove la stessa condotta distrattiva
contestata venga ascritta ad un soggetto il cui contributo concorsuale,
specificamente descritto nell’imputazione, venga ritenuto come posto in essere
da un amministratore di fatto piuttosto che da un extraneus (Sez. 5, n. 13595
del 19/02/2003, Leoni, Rv. 224842; Sez. 5, n. 4117 del 09/12/2009
(01/02/2010), Prosperi, Rv. 246100), la ravvisabilità della prima qualificazione in
capo al Daccò veniva in primo luoòo congruamente motivata nella sentenza
impugnata con il riferimento all’aver lo stesso agito in modo stabile e
20

,

2

patrimonio dell’impresa o l’essere o meno riuscito l’imprenditore ad addivenire

continuativo, e per diversi anni, in stretta collaborazione con gli amministratori
formali della fondazione, gestendo in via esclusiva ingenti risorse finanziarie.
A non voler considerare ciò, la consapevolezza da parte dell’imputato, ove
considerato concorrente esterno nel reato, in ordine alla situazione di insolvenza
della fondazione, era anch’essa oggetto di un’esauriente motivazione, articolata
nel riferimento alle dichiarazioni del coimputato Pierino Zammarchi sulle difficoltà
della fondazione nel pagamento dei fornitori e su quanto riferitogli già nel 2002
dal Cal in merito ai rischi di mancato pagamento degli appaltatori, del teste

ed alla generalizzata conoscenza di tale situazione nell’ambiente sanitario
lombardo; dalle ammissioni del Daccò sulla sua approfondita cognizione di tale
ambiente, del sistema delle sovrafatturazioni, delle richieste del Cal di ottenere
somme da impiegare all’estero al di fuori del bilancio e del carattere fittizio delle
operazioni fra la fondazione e le società da lui controllate, dirette a consentirgli di
rientrare in possesso del denaro ceduto al Cal; dai contatti diretti dell’imputato
con l’intera struttura delle società controllate dalla fondazione, con i fornitori
privilegiati della stessa e con le società Assion, MTB, Euroworldwide e Hartmann,
coinvolte in talune delle operazioni contestate; e dalle dichiarazioni del
coimputato Valsecchi e dei testi Galli, Donati e Zacchia sulla presenza
dell’imputato all’interno della fondazione, sui suoi incarichi nei contatti con gli
Stati esteri e con la Regione Lombardia, sulla continuità dei suoi rapporti con il
Cal, documentati anche dal contenuto di un’agenda sequestrata a quest’ultimo, e
sul suo uso anche personale dell’aereo della fondazione. Elementi dei quali il
ricorrente discute la singola efficacia probatoria, con valutazioni di merito che
non evidenziano illogicità nell’argomentazione della Corte territoriale, fondata
sulla portata dimostrativa del complesso di tali risultanze, globalmente
considerato.
6.2. Al di là di questi considerazioni, la tesi difensiva è tuttavia, e
soprattutto, infondata in quello che è stato indicato in precedenza come il suo
presupposto giuridico, ossia la necessaria consapevolezza dello stato di
insolvenza della società fallita o, come nel caso di specie, ammessa al
concordato preventivo, in capo all’amministratore della stessa e, comunque, al
soggetto chiamato a rispondere quale concorrente esterno nel reato di
bancarotta.
Il ricorrente richiama anche a questo proposito la più volte citata sentenza
Corvetta, in quanto affermativa della necessità che lo stato di insolvenza sia
previsto e voluto quale conseguenza della condotta. Si tratta, anche per questo
aspetto, di un’affermazione isolata, a fronte di una giurisprudenza che ha
costantemente escluso la prospettiva del dissesto dall’oggetto del dolo dei reati
21

Belloni sulla difficoltà nel pagamento dei dipendenti della fondazione fin dal 2003

di bancarotta, individuando quest’ultimo come limitato, quanto in particolare al
reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, alla consapevolezza di dare a beni
della fallita una destinazione diversa da quella dovuta secondo la funzionalità
dell’impresa, privando quest’ultima di risorse e di garanzie per i creditori (Sez. 5,
n. 12897 del 06/10/1999, Tassan Din, Rv. 211538; Sez. 5, n. 29896
dell’01/07/2002, Arienti, Rv. 222388; Sez. 5, n. 7555 del 30/01/2006, De Rosa,
Rv. 233413; Sez. 5, n. 11899 del 14/01/2010, Rizzardi, Rv. 246357; Sez. 5, n.
44933 del 26/09/2011, Pisani, Rv. 251214; Sez. 5, n. 3299 del 14/12/2012,

del dissesto quale elemento costitutivo del reato, e come tale ritenuto
necessariamente coperto dal dolo secondo le regole generali; definizione che si è
visto al punto precedente non corrispondere all’effettiva funzione dello stato di
insolvenza, e dell’atto giudiziale che lo certifica, all’interno della fattispecie
incriminatrice, funzione viceversa riconducibile a quella di un elemento
qualificante dell’offesa propria del reato.
Non significativo in contrario è il richiamo della sentenza Corvetta a talune
pronunce (fra le quali la più volte menzionata Sez. 5, n. 16759 del 24/03/2010,
Fiume, Rv. 246879) per le quali il dolo del reato di bancarotta per distrazione si
risolve nella consapevolezza di sottrarre beni all’esecuzione concorsuale e di
determinare un depauperamento del patrimonio in danno dei creditori. Tale
assunto corrisponde infatti puntualmente alla descritta natura dell’atto
introduttivo della procedura concorsuale, quale elemento orientativo dell’offesa
di pericolo, tipica del reato di bancarotta fraudolenta, verso il possibile
pregiudizio per le ragioni dei creditori nell’eventualità che tale procedura venga
instaurata; e, ben lungi dall’introdurre il dissesto nell’oggetto del dolo, ne
mantiene il contenuto nei limiti del distacco dei beni distratti dal patrimonio
dell’imprenditore e della previsione delle conseguenze pregiudizievoli ad esso
strettamente inerenti nella prospettiva dell’ipotetico concorso dei creditori.
6.3. Una volta chiarita l’estraneità del dissesto, in quanto elemento non
qualificabile come costitutivo del reato di bancarotta fraudolenta, all’oggetto del
dolo caratteristico di detto reato, non vi sono ragioni, in aderenza alle regole
generali sul concorso di persone nel reato, perché a tale oggetto debba essere
attribuito contenuto diverso e più ampio, per la posizione del concorrente
estraneo, rispetto a quello che è richiesto all’amministratore della società. Ed in
tal senso è una reiterata affermazione giurisprudenziale (Sez. 5, n. 9299 del
13/01/2009, Poggi Longostrevi, Rv. 243162; Sez. 5, n. 16579 del 24/03/2010,
Fiume, Rv. 246879; Sez. 5, n. 1706 del 12/11/2013 (16/01/2014), Papalia, Rv.
258950), opportunamente richiamata nella sentenza impugnata, per la quale il
dolo dell’extraneus si risolve nella consapevolezza di concorrere nella sottrazione
22

Rossetto, Rv. 253932). Ma di un’affermazione fondata, altresì, sulla definizione

dei beni alla funzione di garanzia delle ragioni dei creditori per scopi diversi da
quelli inerenti all’attività di impresa, immediatamente percepibile dal concorrente
esterno, così come dall’imprenditore con il quale lo stesso concorre, come
produttivo del pericolo per l’effettività di tale garanzia nell’eventualità di una
procedura concorsuale, a prescindere dalla conoscenza della condizione di
insolvenza.
La conformità di tale indirizzo interpretativo alla individuazione della reale
natura del dissesto nell’ambito della fattispecie incriminatrice dei reati di

consentirebbe di per sé di disattendere il riferimento del ricorrente ad arresti
giurisprudenziali a sostegno dell’interpretazione per la quale il dolo del
concorre3itk estraneo nel reato di bancarotta fraudolenta comprenderebbe la
consapevolezza dello stato di insolvenza. Tuttavia, ad un’analisi accurata, tali
pronunce si rivelano in effetti non contrastanti con l’interpretazione
precedentemente esposta. Talune di esse (Sez. 5, n. 16388 del 23/03/2011,
Barbato, Rv. 250108; Sez. 5, n. 16000 del 10/02/2012, Daccò, Rv. 252309,
quest’ultima particolarmente segnalata dal ricorrente in quanto pronunciata in
materia di provvedimenti cautelari adottati nello stesso procedimento) si limitano
a richiamare una precedente decisione (Sez. 5, n. 23675 del 22/04/2004,
Bertuccio, Rv. 228905), la cui motivazione individuava anch’essa, in realtà, il
dolo dell’extraneus nella consapevolezza del possibile pregiudizio derivante dalla
distrazione per la garanzia dei creditori; riservando in tale prospettiva alla
conoscenza del dissesto una funzione meramente probatoria, quale elemento che
come altri, e quindi in funzione non necessaria, può risultare in concreto utile ai
fini della dimostrazione del dolo come sopra delimitato. Altra pronuncia (Sez. 5,
n. 41333 del 27/10/2006, Tisi, Rv. 235766), ad un esame completo della
motivazione, risulta incentrare il dolo del concorrente estraneo nella
consapevolezza non dell’insolvenza, ma del «rischio di insolvenza»; esplicando
tale nozione in termini descrittivi come pregiudizio per la garanzia dei creditori,
in una dimensione che ancora una volta corrisponde a quella che si è visto
essere l’offesa di pericolo propria del reato, nella prospettiva dell’eventuale
apertura di procedure concorsuali, non dissimile dall’oggetto del dolo del
soggetto intraneo all’impresa. Non è infine possibile trarre indicazioni contrarie
all’orientamento qui seguito da una decisione (Sez. 5, n. 27367 del 26/04/2011,
Rosace, Rv. 250409) che identifica il contenuto del dolo del concorrente esterno
nella «consapevolezza e volontà di aiutare l’imprenditore in dissesto a frustrare
gli adempimenti predisposti dalla legge a tutela dei creditori dell’impresa», ove al
riferimento al dissesto non è attribuito l’inequivoco significato dell’indicazione di

23

bancarotta, ed ai principi in tema di oggetto del dolo nei concorrenti nel reato,

una componente dell’oggetto del dolo piuttosto che di un’espressione meramente
descrittiva della posizione del concorrente interno.
Il dedotto vizio di violazione di legge e carenza motivazionale sulla
consapevolezza dello stato di insolvenza della fondazione in capo all’imputato è
in conclusione insussistente, in quanto riguardante un elemento estraneo al dolo
concorsuale della fattispecie concreta contestata.
6.4. Infondata è altresì la censura di mancanza di motivazione sull’ipotesi
del collegamento delle condotte distrattive con rapporti corruttivi del coimputato

infatti considerata nella sentenza impugnata, osservandosi come la stessa non
trovasse riscontri in atti al di là di vaghe allusioni di alcuni dei dichiaranti; e
come, in ogni caso, la destinazione finale della provvista costituita con le
distrazioni non escludesse il carattere illecito, rispetto alla normativa
fallimentare, delle modalità con le quali la provvista era stata costituita.

7. I motivi proposti sull’affermazione di responsabilità dell’imputato per il
reato associativo di cui al capo G sono infondati.
Infondata è in primo luogo la censura di violazione di legge
nell’individuazione dell’oggetto giuridico del reato, con le relative ricadute in
termini di identificazione delle connotazioni dell’associazione penalmente
rilevante, in un ordine pubblico inteso come generica protezione
dell’ordinamento, e non nell’ordine pubblico materiale offeso dalla produzione di
allarme sociale e turbamento per i cittadini. Il contenuto della nozione di ordine
pubblico, nel quale è stato anche recentemente ribadita la ravvisabilità del bene
giuridico tutelato dall’art. 416 cod. pen. (Sez. 1, n. 33662 del 09/05/2005,
Ballacchino, Rv. 232405; Sez. 6, n. 30791 del 16/07/2013, Fragalà, Rv.
255863), non è invero limitato alla pubblica tranquillità o alla sicurezza dei
cittadini, ma si estende al rispetto dei principi fondamentali sui quali si fondano
la convivenza civile e l’ordinato assetto della società (Sez. 3, n. 9725 del
13/04/1992, Arduini, Rv. 191910).
La sussistenza del reato associativo era pertanto correttamente motivata in
questi termini, nella sentenza impugnata, con l’individuazione di un gruppo
organizzato stabilmente dedito a condotte finalizzate al sistematico
depauperamento delle risorse della fondazione, promosso dal Cal e dotato di
rilevanti mezzi operativi costituiti dalla predisposizione di una vasta rete di
soggetti e società fiduciarie, della capacità di adattarsi ad eventi imprevisti, come
dimostrato dal subentro di Luca Zammarchi nelle funzioni svolte dal di lui padre,
allorché lo stesso veniva indagato per fatti di criminalità organizzata, e dalla
modifica delle cautele adottate per la custodia del denaro a seguito di una
24

Cal con esponenti dell’amministrazione regionale lombarda. Detta ipotesi veniva

perquisizione effettuata presso la sede della fondazione, e dall’esistenza di un
programma indeterminato, specificamente indicato dalla Corte territoriale,
contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, per l’appunto nello
svuotamento delle disponibilità della fondazione. Elementi, questi, tali da
configurare offesa all’ordine pubblico con riguardo alla sicurezza ed all’affidabilità
dei rapporti economici e delle relative obbligazioni creditorie. Né alcuna carenza
motivazionale è ravvisabile con riguardo al tema del rapporto fra la ritenuta
realtà associativa ed un ente economico, quale la fondazione, regolarmente

associativo non fosse limitato alla fondazione, estendendosi al complesso delle
società e dei soggetti economici collegati alla stessa nelle operazioni contestate;
non senza osservare come la questione sia comunque priva di decisività, laddove
i presupposti del reato associativo sono ravvisabili anche nell’utilizzazione, per la
realizzazione del programma criminoso, delle strutture di una società
commerciale regolarmente costituita (Sez. 6, n. 43656 del 25/11/2010, Bartocci,
Rv. 248816).
Infondate sono altresì le censure sull’identificazione del ruolo dell’imputato
del contesto associativo, puntualmente delineato dalla Corte territoriale
nell’inserimento del Daccò dal 2006 nell’intreccio dei rapporti facenti capo alla
fondazione, nella messa a disposizione delle società fiduciarie con le quali
l’imputato aveva rapporti, nei contatti del Daccò con gli altri imprenditori e le
società estere e, attraverso il richiamo dei rilievi della decisione di primo grado
sul punto, nel drenaggio delle risorse sottratte alla fondazione attraverso il
proprio commercialista Grenzi e l’emissione di fatture fittizie da parte di società
appositamente costituite; circostanze, queste, che implicano consapevolezza
dell’agire in un ambiente associativo finalizzato alla commissione di reati e
dunque la sussistenza dell’elemento psicologico del reato, escludendosi pertanto
anche il lamentato vizio di mancanza di motivazione su tale aspetto.

8. I motivi proposti sul rigetto di istanze di integrazione probatoria sono
assorbiti, quanto alla mancata acquisizione della motivazione della all’epoca non
ancora definitiva sentenza assolutoria del Tribunale di Milano del 30/04/2013,
per i reati di cui ai capi B e F, all’esito del giudizio ordinario nei confronti dei
coimputati Gianluca Zammarchi, Lora e Freschi, e degli elementi acquisiti nel
relativo procedimento, da quanto osservato ai punti 1.2 e 2 in ordine
all’annullamento con rinvio della sentenza impugnata per consentire al giudice di
merito la valutazione dell’incidenza probatoria, sul giudizio di responsabilità
dell’imputato per i predetti capi di imputazione, del contenuto decisorio della
sentenza del Tribunale a seguito della sopravvenuta irrevocabilità della stessa.
25

operante sul mercato. Dalle considerazioni che precedono emerge come l’ambito

Per il resto, i motivi in esame sono infondati con riguardo alla mancata
acquisizione di documentazione attinente alla costituzione di società estere
riconducibili al Cal. La sentenza impugnata era correttamente motivata sul punto
in aderenza ai principi affermati da questa Corte (Sez. 2, n. 3609 del
18/01/2011, Sermone, Rv. 249161; Sez. 1, n. 35846 del 23/05/2012, Andali,
Rv. 253729), per i quali la scelta del rito abbreviato, implicando accettazione
dello svolgimento del giudizio sulla base degli elementi di prova acquisiti ed
emergenti dagli atti del fascicolo del pubblico ministero, esclude la sussistenza di

l’integrazione degli stessi o la rinnovazione istruttoria in appello; ed al
permanere in capo al giudice dei poteri officiosi di assunzione anche in sede di
appello di nuove prove, ove ritenute assolutamente necessarie ai fini della
decisione, non si accompagna di conseguenza alcun dovere di motivazione in
ordine al mancato esercizio di detti poteri, pur in presenza di una sollecitazione
della difesa in tal senso. Non senza considerare che nella sentenza impugnata si
osservava come la richiesta di acquisizione della documentazione fosse stata
proposta solo nel corso del giudizio abbreviato dopo che l’esistenza dei
documenti era stata segnalata alla Procura della Repubblica prima
dell’instaurazione di tale rito; e che in ogni caso il ricorso non contiene alcuna
specifica allegazione sulla decisività del contenuto della documentazione in
questione rispetto alle argomentazioni a sostegno delle decisioni di merito.

9. I motivi proposti sull’aggravante del danno di rilevante gravità sono
infondati.
La tesi dell’inapplicabilità dell’aggravante in esame ai fatti di bancarotta
impropria previsti dall’art. 223 legge fall. in quanto commessi da amministratori,
direttori generali, sindaci o liquidatori di società fallite, sostenuta dal ricorrente e
in effetti condivisa da una pronuncia in tal senso di questa Corte (Sez. 5, n. 8828
del 18/12/2009, Truzzi, Rv.246154), è fondata sul testuale richiamo dell’art.
219, comma primo, legge fall., ad indicazione dei fatti per i quali le pene sono
aumentate laddove gli stessi abbiano cagionato un danno patrimoniale di
rilevante gravità, a quelli previsti dai soli artt. 216, 217 e 218 della legge, e sulla
ritenuta diversità strutturale ed analogica fra la bancarotta impropria e quella
ordinaria, che non consentirebbe un’applicazione estensiva della previsione
anche ai fatti di cui all’art. 223 senza incorrere in una non consentita
interpretazione analogica. Ormai ampiamente prevalente è tuttavia
l’orientamento, correttamente richiamato nella sentenza impugnata, per il quale
l’aggravante è applicabile anche alle fattispecie di bancarotta impropria in esame
(Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Cassa di Risparmio di_ Rieti s.p.a., Rv.
26

un diritto dell’imputato di dolersi dell’incompletezza di tali atti e di richiedere

247320; Sez. 5, n. 30932 del 22/06/2010, Poli, Rv.247970; Sez. 5, n. 127
dell’08/11/2011 (09/01/2012), Pennino, Rv. 252664; Sez. 5, n. 44933 del
26/09/2011, Pisani, Rv. 251215; Sez. 5, n. 10791 del 25/01/2012, Bonomo, Rv.
252009; Sez. 5, n. 18695 del 21/01/2013, Liori, Rv. 255839; Sez. 5, n. 38978
del 16/07/2013, Fregnan, v. 257762; e tanto sulla base di considerazioni
attinenti sia al dato testuale che alla ragionevole interpretazione delle norme.
Per il primo aspetto, un’analisi limitata al rinvio contenuto nell’art. 219,
comma primo, legge fall., indiscutibilmente riferito ai soli artt. 216, 217 e 218

norme applicabili nel caso di specie richiede infatti che detta analisi comprenda
anche il rinvio dello stesso art. 223, incriminante i fatti qui contestati, all’art.
216; per effetto del quale le condotte e le pene previste da quest’ultima norma
sono richiamate per sancire l’applicabilità delle seconde alle prime anche laddove
le condotte siano realizzate nell’ambito di società dichiarate fallite da
amministratori o altri soggetti agli stessi equiparati per la loro funzione
gestionale.
Il raffronto rende evidente la diversità sostanziale delle due disposizioni di
rinvio.
La prima, infatti, opera configurando per i fatti tipici previsti dall’art. 216
legge fall., oltre che per quelli incriminati dagli artt. 217 e 218, la circostanza
aggravante data dalla rilevante gravità del danno; il rinvio svolge pertanto in
questo caso una funzione integrativa, sotto il profilo degli elementi accidentali
del reato, delle fattispecie criminose di cui alle norme richiamate.
La seconda, invece, ricomprende nella fattispecie incriminatrice di cui all’art.
216 i fatti, corrispondenti alla stessa, posti in essere nella gestione di società
fallite da parte di soggetti della stessa incaricati; e ha di conseguenza una
funzione estensiva dell’ambito di operatività della stessa fattispecie-base del
reato di bancarotta fraudolenta. Il rilievo del ricorrente, per il quale l’art. 223,
comma primo, legge fall. richiamerebbe l’art. 216 a soli fini sanzionatori, è
contrario alla lettera della prima norma, che se effettivamente in apertura si
esprime nel senso dell’applicazione ai gestori di società fallite «delle pene
stabilite nell’art. 216», nel seguito qualifica i soggetti agenti come autori «dei
fatti preveduti nel suddetto articolo»; fatti che sono dunque espressamente
richiamati nella loro integralità.
E’ partendo dal rinvio presente nell’art. 223 che deve dunque procedersi
nella costruzione della complessiva fattispecie della bancarotta impropria del
gestore di società. E la descritta integralità del richiamo contenuto nello stesso
alla fattispecie di cui all’art. 216 non può che far intendere lo stesso come
implicitamente riferito anche all’elemento accidentale di quest’ultima, costituito
27

della stessa legge, è riduttiva. La complessità del sistema di rinvii esistente fra le

dalla circostanza aggravante della rilevanza del danno, introdotto in detta
fattispecie dal rinvio operato dall’art. 219, comma primo; norma che deve
pertanto ritenersi anch’essa indirettamente richiamata dall’art. 223, comma
primo, come applicabile al reato di bancarotta impropria ivi previsto.
Sotto altro profilo, laddove si ritenesse l’aggravante in esame non
ravvisabile nei fatti di bancarotta commessi dal gestore di società, si perverrebbe
all’irragionevole risultato di sottoporre l’imprenditore individuale ad un
trattamento sanzionatorio astrattamente più afflittivo, in quanto opportunamente

rispetto a quello previsto per i fatti sostanzialmente analoghi commessi
nell’ambito della gestione societaria, sicuramente non meno gravi, per i quali
sarebbe al più configurabile l’aggravante ad effetto comune di cui all’art. 61, n.7,
cod. pen..
Irrilevante è poi il riferimento del ricorrente alla circostanza per la quale
l’art. 236 legge fall., ricorrente nella fattispecie concreta in quanto riguardante
una società ammessa a concordato preventivo, rinvia unicamente all’art. 223;
nella prima norma non è infatti rinvenibile alcun dato in base al quale possa
escludersi che tale rinvio ricomprenda anche le disposizioni a loro volta
richiamate dall’art. 223.
Quanto precede qualifica l’interpretazione adottata dalla giurisprudenza
ormai largamente maggioritaria come conforme all’effettivo contenuto dell’art.
223 legge fall., e assolutamente non analogica; il che rende manifestamente
infondata l’eccezione di legittimità costituzionale di detta interpretazione,
proposta in via subordinata dal ricorrente.

10. I motivi proposti sul trattamento sanzionatorio e sulle statuizioni civili
sono assorbiti dalla decisione di annullamento con rinvio con riguardo alle
imputazioni di cui ai capi B e F, che incide sulla determinazione della pena e della
provvisionale determinata in primo grado sulla base del danno in quella sede
ritenuto accertato. Alla luce di quest’ultima considerazione, non vi è luogo a
provvedere sull’istanza di sospensione della provvisionale contenuta nel ricorso.
Il ricorso deve essere rigettato nel resto. La liquidazione delle spese della
parte civile va rimessa al giudizio rescissorio.

28

identificato anche negli effetti speciali della circostanza aggravante in esame,

P. Q. M.
capi B ed F e conseguentemente
Annulla la sentenza impugnata limitatamente ai

per nuovo esame ad altra

in ordine alla misura della provvisionale con rinvio
Sezione della Corte d’Appello di Milano.
Rigetta nel resto il ricorso.

Il Consigliere estensore

Così deciso in Roma il 07/05/2014

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